L’Europa è stretta, da tempo, tra le prepotenze di Usa e Russia. il problema di un’Europa che non si faccia travolgere dal vortice delle politiche di Trump.
Vent’anni fa era l’Iraq a essere accusato, oltre che degli attentati del 11 settembre, di spargere in giro polvere tossica. Per questo gli si faceva guerra; anzi, non guerra, nobile confronto tra veri eserciti. Saddam Hussein non ne aveva uno, secondo gli americani, ma solo una banda di irregolari, immeritevoli di essere rispettati come una forza legittima – e i combattimenti andavano avanti così, senza seguire le regole della guerra.
Allora, vent’anni fa, eravamo in molti a essere convinti di quanto fosse falso questo credo degli americani e dei loro alleati – il principale alleato di George W. Bush era allora Tony Blair, premier della Regina Elisabetta – e non era solo Arundhati Roy[1] a pensarla così, tanto che eravamo in molti a manifestare, dappertutto, e la gente in piazza era indicata – con un briciolo di esagerazione – “il secondo esercito del mondo”, a detta del New York Times, mentre nello stesso ordine di idee Roy scriveva che “Oggi l’unica istituzione mondiale più potente del governo di Washington è la società civile americana”. La grande scrittrice e militante indiana che pure affermava nel 2003 di avere fama di “antiamericana” e “antioccidentale”, si “sorprende improvvisamente nell’incredibile posizione di difensore del popolo americano e di quello britannico”.
Oggi è Vladimir Putin a sostenere che la sua aggressione in Ucraina non è guerra, ma è in corso una “Operazione militare speciale” con lo scopo di garantirsi che l’Ucraina non entrerà nella Nato e per contrastare gli attacchi ucraini in Crimea e nei nuovi piccoli stati filorussi di Doneck e Lugansk.[2]
Joe Biden presidente degli Usa prima di Donald Trump e gran parte dei paesi Nato hanno appoggiato con armi, denaro e solidarietà la causa dell’Ucraina e del presidente Volodymyr Zelensky con risultati apprezzabili (per gli amici della guerra di entrambi i campi). L’avvento di Trump al potere con i repubblicani ha però modificato il quadro. Il presidente americano ha ritirato il suo appoggio a Zelensky, lo ha anzi accusato di aver scatenato un’inutile, dannosissima guerra, ha riempito di improperi e di accuse Biden, il suo predecessore, addossandogli lo spreco di centinaia di miliardi americani e di innumerevoli distruzioni; inoltre si è detto sicuro di poter chiudere la partita in pochi giorni.
Trump ha accusato poi l’Europa – facendo poca differenza tra l’Unione europea e gli altri paesi – di essere nemica dell’America e di coltivare molti altri torti ed errori. Tra i giocatori di carte, in Italia, si direbbe che Trump, il capo del mondo libero ha sparigliato. Ammesso e non concesso che in Italia ci si occupi ancora di mondo libero e di suoi capi (essendo il gioco della scopa ancora praticato).
Tutto questo ha creato un notevole disagio nella vecchia Europa e negli stessi Stati Uniti, dove Bernie Sanders, senatore e persona libera, si fa sentire, ma sembra una voce isolata. Non c’è più il secondo esercito del mondo a difesa della libertà e della pace, ma una popolazione mondiale divisa, irresoluta e decisamente spaventata. E’ più importante salvare i confini dell’Europa, continente libero, Ucraina compresa, o assicurare la pace? Prima ancora: dobbiamo tutti arrenderci e metterci in fila, sull’attenti?
I governi d’Europa sono poi in condizione di maggior disagio, ciascuno piegato sui propri problemi. Bruxelles, che dovrebbe fungere da autorità centrale e ragionare per tutti, è attraversata da visioni discordanti. Più importante riarmare l’esercito ucraino o risolvere i problemi del bilancio di ogni Stato dell’Unione? La novella politica, espressione del governo di Washington, sembra la verità indiscutibile, inoppugnabile dei tempi correnti e rende tutto più ambiguo ed egoistico in Europa.
Passati quattro mesi dalla sconfitta elettorale negli Usa, molto dura per tutti i democratici nel mondo – ogni sfumatura è ammessa – da questa parte, in Europa almeno, si comincia, lentamente, a ragionare. Serve, da un lato, il susseguirsi degli “ordini esecutivi” del presidentissimo Donald. Alcuni di questi sono francamente intollerabili.[3]
Questa dozzina di punti e il modo stesso in cui vengono presentati, senza alcuna discussione in Parlamento mostrano un autoritarismo trumpiano difficile da digerire anche per i suoi abituali tifosi. C’è chi ha paura di questa svolta e tace, ma c’è chi si vorrebbe ribellare e prova a riflettere.
Questo – lo immagina chi scrive – è il senso della manifestazione di sabato 15 marzo a Roma, inventata da Michele Serra.
Così si comincerà a riavvolgere il film della storia: La povera Kamala era poi tanto male? In fondo ha ricevuto il 48,3 per cento dei voti popolari, contro il 49,8 di Trump. Trump, megalomane, decide di punire i paesi vicini e l’Europa per le loro colpe, (non averlo approvato al 110 per cento) e lo fa con dazi al 25 per cento per le merci importate. Il primo risultato è di spaventare tutti. I dazi fanno molta paura. Aumenteranno i prezzi per i beni – per il cibo – della povera gente, dappertutto.
Fa ancor più paura un altro aspetto, subito evidente ai capitalisti e ai finanzieri (ma anche a noi altri): Trump non ha letto le carte, non ha studiato, non conosce i numeri, spara bordate che sono spesso a vuoto o rimbalzano nei bazooka utilizzati per colpire e li fanno esplodere. Dati e numeri sono pure perdite di tempo per chi fa la storia. Il Wall Street Journal è molto esplicito in proposito e invita il suo pubblico a riflettere; è un pubblico fatto di banchieri e affaristi.
Comincia così una serrata critica, finanziaria e politica allo stesso tempo: dove finiremo, dove andremo a sbattere con le Borse, con i nostri soldi, con questo avventurismo di Trump? Allora comincia la marcia indietro; le scelte più fastidiose per i miliardari alleati di Trump vengono revocate o rimandate. Così avviene dei dazi contro Canada e Messico, nati per sgominare i migranti dal Messico, carichi di droghe antiamericane – tutti lestofanti secondo il discorso al Congresso di Trump – e costringere allo stesso tempo il Canada a diventare il 51° stato dell’Unione, ma con il risultato inatteso di sconfiggere l’agricoltura americana con il suo mais, la sua soia nel principale mercato di sbocco, nonché il formidabile aumento del costo del potassio importato dal Canada, necessario per gli anticrittogamici…e così via. (in materia l’articolo di Morya Longo, “Trump spacca bond, Borse, valute/Allargato il divario Usa-Europa”, Il Sole 24 Ore; 8 marzo 2025).
Trump è vendicativo come un imperatore romano mal consigliato, come un prelato dell’Inquisizione, in Spagna. Si è convinto negli ultimi giorni che la scuola pubblica sia frequentata in prevalenza da futuri democratici, sprovvisti di amore per l’America e che MAGA (Make America Great Again) non è la loro materia principale. Meglio allora chiuderla, la scuola pubblica, bloccare la spesa relativa, facendo contento Elon Musk, obbligando i figli dei democratici a imparare a casa o andare alle scuole private, scuole per bene.
Di fatto il generalissimo è convinto di poter chiudere la guerra ucraina in tre giorni – Biden non era riuscito a farla finita, tantomeno a vincere, in tre anni – e dunque decide di tagliare i rifornimenti all’Ucraina. In particolare le armi americane servivano ad avvistare e abbattere missili e droni russi, ciò che non è più possibile. Elon Musk che vende i ritrovati, è dapprima felice; poi però ci ripensa.
L’Europa decide di combattere da sola, costi quel che costi, la guerra a Putin. Keir Starmer, il premier inglese, si sente nuovamente europeo e questo dà maggior sicurezza ad alcuni altri, anche a quelli che dall’Europa avrebbero voluto scendere, per salire sul carro del vincitore.
Ursula von der Layen si comporta come un esperto giocatore di poker; alla rabbiosa puntata di Trump che ritira le sue armi, spara il suo rilancio da 800 miliardi. “Se non ci credete, se avete coraggio, venite a vedere” dice al mondo, perfino ai suoi amministrati, i tremebondi o perplessi paesi d’Europa. La leader italiana tergiversa, non sa se approvare o allinearsi a Washington o chiedere pace a Putin, come suggerisce l’alleato leghista. Sceglie allora di difendere il bilancio italiano (!!) senza aggravarlo di nuovi esborsi.
Mostra più coraggio il leader tedesco che rilancia a sua volta 500 miliardi da spendere negli anni venti per trasformare il suo paese e l’economia e la sua forza. Un’altra novella incredibile: chi si spaventa più per il riarmo tedesco? Anche il presidente francese conquista un giorno di gloria; egli offre all’Europa una manciata di force de frappe impiegando o promettendo la bomba, un po’ di soldati e qualche materiale volante: aerei da caccia e droni…
[1] Arundhati Roy, “Il mio cuore sedizioso”, Guanda, 2019.[2] Alla vigilia dell’Operazione speciale militare, Putin si è mostrato in televisione insieme ai rappresentanti di Doneck e Lugansk e insieme hanno firmato davanti al pubblico televisivo mondiale un patto di adesione dei due piccoli stati alla Russia.[3] -Abolizione dello ius soli, compreso nel XIV Emendamento. Inoltre è c’è uno stanziamento per costruire barriere al confine del Messico contro l’invasione. Si prevedono soldati in armi.
-Vari casi di imperialismo, a imitazione di antichi presidenti: McKinley è il più noto.
-Golfo del Messico cambia nome, diventa Golfo d’America; poi i casi di Groenlandia, Panama, financo Marte. Tutti obiettivi per il grande impero americano.
-Dazi e tasse sulle importazioni. L’obiettivo è Buy America, MAGA, rilancio industriale.
-Rilancio dei fossili e della ricerca di petrolio e gas per riprendere il controllo dell’energia.
-Nuova uscita dagli accordi di Parigi nel 2015 di Cop 21 per ostacolare i cambiamenti climatici.
-Sanità senza più autorità comune e centrale; l’Oms è eliminato, il negazionismo è accettato.
-Licenziamento di operatori pubblici con posizioni in contrasto con le idee di Trump.
-Tutte le decisioni sono d’immediata applicazione e autoritarie, senza discussione.
-Sospensione per 90 giorni degli aiuti all’estero.
.-Ripresa della pena di morte federale, prima abolita.
- Gli Stati Uniti riconosceranno solo due sessi maschio e femmina, e saranno chiusi i programmi su diversità, parità e inclusione nelle agenzie federali.