La deludente politica fiscale europea

 
Nel 1981 il Consiglio tedesco degli esperti economici, al fine di contrastare la fase recessiva, propose un programma di stretta del bilancio; secondo quella che è stata definita la german view, se il consolidamento fiscale è effettuato attraverso un taglio delle spese pubbliche, che viene percepito come durevole, i consumatori prevedranno una diminuzione, in futuro, delle imposte, e quindi un maggior reddito disponibile. Pertanto i consumi cresceranno determinando un incremento nella produzione e nel reddito. In quel periodo la politica monetaria negli Stati Uniti e nel Regno Unito aveva subito un drastico cambiamento, dato che Paul Volcker aveva deciso di abbattere le aspettative inflazionistiche, e la stessa politica era stata adottata dalla Thatcher. I tassi d’interesse schizzarono in alto e il rapporto tra essi ed i tassi di crescita si capovolsero.
 
Quando il tasso d’interesse è più alto del tasso di crescita il debito diviene un onere, e al fine di fermare la crescita del debito pubblico è necessario ottenere un surplus del bilancio primario, cioè della differenza tra entrate e spese (al netto di quella per interessi). Nel 1982 la Danimarca fu il primo paese che tagliò il deficit, abbassando le spese pubbliche, ma anche aumentando le imposte. Nel 1987 anche l’Irlanda seguì la stessa strada; nelle prima metà degli anni novanta ci furono le esperienze dei paesi scandinavi, in particolare della Finlandia. Poiché ai tagli del deficit seguirono buoni incrementi del Pil, vi sono economisti che ritengono che la german view fu in azione in quei paesi. Altri pensano invece che i) si trattava di piccoli paesi, ii) vi furono svalutazioni della moneta e un forte calo dei tassi d’interesse, e che questi due fattori possono spiegare l’effetto positivo sul Pil.
 
Ora che tutti i paesi europei stanno effettuando una stretta di bilancio, possiamo aspettarci un aumento del consumo privato e quindi del Pil? Sarebbe wunderbar: l’area dell’euro, che ha ora un surplus di circa mille miliardi di dollari dei risparmi rispetto agli investimenti, diminuirebbe il surplus, dando un contributo alla ripresa mondiale. Purtroppo questa prospettiva appare un sogno troppo ottimistico. Più probabile che le cose andranno in senso opposto, con un lungo periodo di crescita lenta e di alta disoccupazione.
Potremmo chiedere alla BCE e al governo tedesco se sarebbero contenti nel caso in cui anche il governo statunitense seguisse la stessa politica restrittiva; forse sì, o forse avrebbero paura del calo che ne conseguirebbe per l’export europeo (e tedesco in particolare). Come dice Krugman, le affermazione di J:C: Trichet sono molto simili a quelle di H. Hoover di ottanta anni fa.
 
L’idea di pervenire ad una moneta unica (ed ad un unico mercato) era già stata concepita quaranta anni fa (piano Werner del 1970). Non è necessario sottolineare il significato storico di questo risultato; è più interessante il fatto che ci fu un reciproco guadagno, perché la Germania ottenne la fine definitiva delle svalutazioni competitive, e tutti gli altri paesi, in particolare quelli mediterranei, ottennero una riduzione degli interessi sul debito pubblico (gli spread si ridussero a pochi punti base). La crisi greca ha allargato gli spread di tutti i paesi europei (Francia compresa) e accelerato la fretta tedesca di lottare contro i deficit pubblici. La weltanschauung tedesca collega il deficit pubblico all’inflazione; gli operatori finanziari sono probabilmente meno certi di questa relazione causale, ma sono ora incerti sulla solvibilità di Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna ed anche Italia, in ordine decrescente. La politica di bilancio europea abbasserà la ripresa economica, cosicché l’obbiettivo di fermare la crescita del debito verrà spostato in avanti. E’ chiaro che se la Commissione europea (ed il Parlamento) fossero autorizzati a svolgere un maggior ruolo per quanto riguarda gli investimenti pubblici (secondo le linee delineate nel piano Delors di quasi venti anni fa), avremmo trovato un traino della domanda interna (a livello europeo), oltre a quella dell’export.
 
Sfortunatamente l’ipotesi di un grande piano di investimenti a livello europeo appare molto improbabile; pertanto si potranno manifestare due scenari. Il primo è uno in cui i problemi nel processo di consolidamento del debito pubblico greco determini un effetto domino per altri paesi mediterranei, con la creazione di un euro più forte e nordico; il secondo in cui un prolungato periodo di semi-stagnazione dia luogo a movimenti politici che puntano alla fuoriuscita dall’euro, o, come nel caso italiano, alla separazione delle regioni del Nord dal resto del paese.
 
Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it