L’acqua e le nostre catastrofi
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L’aumento di fenomeni disastrosi, in crescita accelerata in ogni angolo del mondo di acqua, fuoco, calore, siccità è un fatto che non è possibile negare. Possibile è solo farli conoscere ai distratti e alle distratte. In questi giorni è sott’acqua gran parte dell’Europa centrale, dalla Polonia all’Austria per effetto di Boris, il nubifragio più violento dell’ultimo trentennio, dalla Vistola al Danubio e poi di nuovo l’Italia, con Faenza, l’Emilia e le Marche di nuovo alluvionate per la terza volta in poco più di un anno. Negli stessi giorni, il Brasile, in gravissima siccità, è devastato da un incendio inarrestabile, grande due volte la Svizzera. Le previsioni per i prossimi decenni indicano un tempo atmosferico molto più caldo e soprattutto un susseguirsi crescente di siccità, alluvioni, incendi, fuochi inarrestabili e naturalmente calore insopportabile. In Italia e in ogni luogo. Con una straordinaria lucidità di visione la studiosa inglese Gaia Vince ha indicato qualche anno fa i quattro fenomeni tremendi – fuoco, caldo, acqua, siccità – come i quattro cavalieri dell’Antropocene. Essa intende quella linea di pensiero, che attribuisce agli umani la capacità – perversa capacità (forse un po’ ambiziosa, piena di sé) – di far saltare il banco, con le proprie forze, chiudere l’Olocene e aprire, a furia soprattutto di fossili, carbone, petrolio e gas, l’era dell’Antropocene. Ammesso che sia possibile, almeno da parte di persone timide come chi scrive, non schierarsi in partite come “Antropocene sì, Antropocene no”, l’aumento di fenomeni disastrosi, in crescita accelerata, impossibili da sventare, in ogni angolo del mondo, dei quattro mascalzoni – acqua, fuoco, calore, siccità – è un fatto che non è possibile negare. Possibile è solo farli conoscere ai distratti e alle distratte. L’acqua che ha sommerso nel 2023 in maggio la Romagna era ampiamente temuta, dopo un semestre di siccità e caldo anomalo; forse non era localizzata, forse non era previsto che succedesse proprio lì, o forse sì. Gli storici, gli ambientalisti, i meteorologi sono al lavoro per dare risposte esaurienti. Si sa ormai che lo spargimento di acque dei fiumi di Romagna, 23 corsi d’acqua, tra torrenti e fiumi 1 , in due successive inondazioni a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, 1-3 e 14-15 maggio del 2023 è il risultato di mesi senza pioggia e di alte temperature in Appennino e nella Pianura Padana, interrotto improvvisamente da acquazzoni e violente tempeste, il tutto in un territorio ricco e coltivato ma ormai arido. Un fenomeno inconsueto, ma fisicamente, geograficamente e geologicamente ineccepibile. Capiterà ancora. Non in Emilia Romagna forse, dati gli interventi di risistemazione territoriale, non subito almeno. Gli Appennini sono però lunghi e larghi e il caldo eccessivo, sommato alla mancata pioggia causerà altri episodi simili, presto. Altre catene montuose ne accompagneranno o seguiranno fedelmente la traccia, ammesso che non abbiano già fatta sentire la propria forza. La città di Milano è spesso in balia di tre fiumi, che un tempo erano pressoché dimenticati dai milanesi: Seveso, Lambro, Olona; ora però uno dopo l’altro o tutti insieme esondano, mandando la città, impreparata, sott’acqua. Nella prima settimana di settembre 2024 tutto ciò è avvenuto un’altra volta. Poi, ancora, nella settimana successiva. Gli esperti delle Nazioni Unite, dopo gran dibattimento, hanno definito e poi ripetuto, molto recentemente, la loro dottrina: ritengono che il riscaldamento attuale della Terra abbia origini umane e che il suo rapido aumento in corso sia causato da un uso crescente di materiali fossili i cui inevitabili residui sono stati studiati attentamente e indicati sotto il nome collettivo di gas serra; essi infatti costituiscono una sorta di coltre (effetto serra) che ricopre il globo e la mantiene calda in modo eccessivo, con conseguenze difficili da tollerare. Ne deriva la convinzione generalmente diffusa che sia indispensabile ridurre e poi interrompere l’uso di energie e attività connesse ai fossili, per rallentare o nel caso migliore fermare la corsa verso il caldo soffocante che altri uffici studi, extra Nazioni Unite, prevedono da molto tempo. Il nuovo clima, comporterebbe nel giro di pochi decenni l’impossibilità di svolgere attività agricole, se non addirittura di sopravvivere. Nel 2015, tra novembre e dicembre, a Parigi, nel corso di una importantissima riunione indicata come COP 21 gli scienziati – e i politici dopo di loro – si sono accordati sulla necessità di non superare di un grado centigrado e mezzo (2 gradi al massimo) la temperatura media dell’epoca immediatamente precedente alla civiltà industriale e delle macchine, pena il disastro generale. Gli Stati più forti e ricchi si sono preoccupati e pentiti delle loro colpe industriali e macchinistiche (servendosi delle quali hanno conquistato il resto del mondo per i lunghi secoli successivi) e hanno convenuto, con qualche lamentela, di ridurre un po’ per volta, in sostanza ritoccare, la produzione e l’uso di minerali fossili, considerati responsabili dell’aumento di CO2. L’aumento di CO2 e del resto dei gas serra ha portato conseguenze anche nel modo meno sviluppato, con effetti disastrosi. Gaia Vince 2, una studiosa e giornalista inglese, di cui si è fatto cenno prima, ha sviluppato un notevole interesse in merito. Nella parte più interessante del suo discorso non si occupa tanto delle dibattute beghe sull’effetto serra, ma delle conseguenze future e riesce a spiegare bene dove andremo a sbattere, noi umani, tra non molto; e come sarebbe possibile evitare che finisca tutto, o finisca troppo male. Del suo libro, “Il secolo nomade”, hanno scritto e parlato molte persone esperte . Assai utile è un’intervista per la Stampa di Francesca Mannocchi che è probabilmente servita da primo contatto italiano con Vince, per suscitare l’interesse collettivo. Detto in breve, nel libro viene accolta l’idea di una trasformazione dell’assetto geografico-abitativo della popolazione sulla Terra, dovuta all’eccessivo calore, con un rapido (poche decine di anni) e obbligato abbandono delle terre prossime all’Equatore, comprese quelle cosiddette temperate, quelle abitate, quelle ricche, quelle che hanno dato origine alla civiltà che conosciamo. La salvezza si otterrà mediante uno spostamento verso i poli delle attività umane, agricoltura compresa. Nel caldo eccessivo diffuso, mari e oceani si gonfieranno e ricopriranno coste e città. Un mondo diverso, con Venezia sott’acqua e così pure la Florida e Los Angeles, è quello che ci si prospetta e si dovrà imparare ad abitare, accogliendo nei paesi ricchi e geograficamente fortunati, miliardi di altri esseri umani rifugiati dai paesi in preda alla siccità o travolti dalle piene di mari e fiumi, per vivere insieme una vita diversa e degna. I temi suggeriti sono dunque due: il disastro ambientale conseguente al caldo – un caldo indotto, in gran parte innaturale ma umano – e il trasferimento di miliardi – miliardi! – di sfollati ambientali. Il tutto subito, entro cinquant’anni; e noi tutti, sopravvissuti, apprenderemo la politica, le leggi, le invenzioni, la società, la cooperazione, l’accoglienza, amichevole se non a braccia aperte, per tutti i figli le figlie dell’uomo, quale che sia la loro origine e il colore della pelle. L’annata del Covid 19 potrebbe essere servita come insegnamento a molti di noi. “Se po’ fà”, direbbero a Roma. L’alternativa è la guerra: l’ultima guerra. O se si preferisce, tante ultime guerre, su scacchieri diversi e poco diverse tra loro. Gaia Vince scrive un magnifico programma, con qualche tocco fantastico; ma ci sarà molto da lavorare per apprenderlo e metterlo in pratica. Guglielmo Ragozzino
Esperto sui temIi ambientali e sociali. Collaboaore de "Il Manifesto".Scrive su "Sbilanciamoci" e cura l’edizione italiana di Le" Monde diplomatique". Ha scritto insieme a Gb Zorzoli un libro sul petrolio, “Un mondo in riserva” (Franco Muzzio Editore, 2006). |