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OPEC è stata l'unica organizzazione al di fuori della sfera del potere e l'influenza dell'Occidente, che è stato in grado di influenzare profondamente l'economia mondiale e anche la sua politica.
I paesi esportatori di petrolio festeggiano quest’anno i cinquant’anni dell’Organizzazione – l’Opec – da essi creata nel 1960 per rispondere alla riduzione del prezzo del petrolio decisa dalle grandi compagnie. La prospettiva di una forte riduzione del loro reddito avvicinò allora paesi molto diversi fra di loro. Molti, ma non tutti, avevano un recente passato coloniale: non l’aveva il Venezuela, il primo promotore dell’organizzazione; e i paesi del Golfo, specie il Kuwait, consideravano l’ex potere coloniale una protezione dall’espansionismo iracheno. Inoltre le loro riserve di petrolio greggio avevano dimensioni e costi molto diversi.
Primo compito dell’Opec fu dunque convincere paesi molto diversi fra di loro a controllare assieme la materia prima che producevano. Questo lavoro ebbe successo, tanto che i paesi Opec hanno visto persino una guerra fra due membri non compromettere la loro permanenza nell’Organizzazione. Paesi fino ad allora sotto dominio coloniale cominciarono a definire un proprio status politico, e ad assumersi la responsabilità delle loro decisioni. La creazione della compagnia petrolifera di Stato portò in molti casi ad un embrione di tecnocrazia, che si è nel tempo sviluppato, anche se in modo diseguale. Non c’è dubbio che almeno alcuni dei paesi membri dell’Opec siano oggi cresciuti e trattino da pari con le potenze mondiali.
Dopo cinquant’anni, quei paesi possono essere soddisfatti del loro lavoro. A parte l’Onu, l’Opec è, si può dire, l’unica organizzazione internazionale fuori dai paesi occidentali che abbia profondamente influenzato l’economia e la politica del mondo intero.
Alla prima fase dell’Opec, di preparazione e di studio, contribuì, nei primi anni ’60, anche l’Eni, che preparò, su richiesta dell’Opec, uno studio che quantificava il monopolio petrolifero delle majors. L’Eni vedeva con favore la creazione dell’Opec, anche se Mattei pensava che i produttori avrebbero dovuto appropriarsi dell’industria petrolifera, e spodestare le compagnie anche abbassando il prezzo: una strada che avrebbe favorito i consumatori, ma che risultò opposta a quella seguita. L’Opec iniziò con un confronto aspro con i paesi consumatori, che non avevano strumenti per influire sul mercato, e temevano di essere danneggiati dagli aumenti di prezzo. Le grandi imprese petrolifere, le majors, erano abituate a negoziare, e interessate, come l’Opec, ad aumentare il prezzo; e il governo americano appoggiò in una prima fase le richieste dello Scià di Persia. Alcuni fra i paesi membri dell’Opec nazionalizzarono le loro riserve, pensando di poter trarre il massimo vantaggio dalla loro produzione, altri no: ma l’Opec non definì mai una posizione politica favorevole o contraria alla nazionalizzazione.
L’opinione pubblica occidentale definì subito l’Opec come il “monopolio del petrolio”. La fase di scontro durò a lungo, ma toccò l’apice fuori dall’Opec. L’embargo contro alcuni paesi occidentali fu deciso nel 1973 dall’Oapec, cioè dall’Organizzazione dei paesi arabi esportatori di petrolio (e non dall’Opec) per appoggiare la parte araba nella guerra con Israele. L’embargo fallì. Ne seguì una lunga fase di prezzi alti, e di stretto controllo della produzione, che durò a lungo, e fu gradatamente erosa dalla concorrenza del nuovo greggio ( tra cui il Mare del Nord) e dal fatto che il contenimento della produzione Opec ricadeva tutto sull’Arabia Saudita, il paese con maggiori riserve, che scese fino a produrre molto meno del suo potenziale, e infine reagì decidendo di vendere il suo petrolio al prezzo di quello del Mare del Nord. L’Arabia Saudita riconobbe così la legge economica che ad un prezzo alto segue non solo una riduzione della domanda (una legge a cui i produttori inizialmente non credevano, dato che il petrolio era necessario e inevitabile) ma anche un aumento dell’offerta.
Si normalizzò quindi definitivamente, se così si può dire, l’Opec nella sua posizione di un’organizzazione di produttori volta a massimizzare l’introito, ma senza per questo inasprire i rapporti con i consumatori, e rispettando le leggi dell’economia. L’Opec aveva imparato a tener conto degli effetti del prezzo sulla domanda a breve e a lungo termine. L’Oapec, che dopo lo scacco dell’embargo era divenuta una sede di studio, organizzò con l’Eni un grande convegno nel 1981 a Roma, in cui si discusse un modello econometrico che esplicitava, fra l’altro, l’ipotesi dell’imminente crollo del prezzo del petrolio, che puntualmente si verificò. Alla fine si stabilizzò un mercato del greggio dominato dall’Opec, con le grandi compagnie nel ruolo di “free riders”, di coloro cioè che traggono giovamento dal prezzo alto stabilito dagli altri produttori.
Il mercato era sensibile alle variazioni della domanda, ed il prezzo cedente parzialmente cancellò le politiche dei consumatori di contenimento dei consumi, che avevano messo in difficoltà quei paesi Opec che avevano cercato di integrarsi fino alla distribuzione dei prodotti petroliferi, i quali incontrarono una forte concorrenza in quel settore; altri scelsero invece di esportare non solo greggio ma anche prodotti raffinati. Lungo tutto questo periodo, il confronto fra produttori e consumatori avveniva in buona parte attraverso le due associazioni, l’Opec e l’Agenzia Internazionale dell’Energia, che non comunicavano e non avevano fiducia reciproca. A tanti anni di distanza si può finalmente raccontare come un contatto personale segreto del vice segretario dell’Opec Fadhil Chalabi ( il segretario generale non venne nominato per anni ) con il massimo livello dell’Agenzia, combinato dagli italiani, diede vita ad un processo sia pure lento di reciproca comprensione, fino alla vera e propria collaborazione di oggi. Fra le due istituzioni non vi sono oggi né conflitti e né rivalità. Lo scenario è pronto per una collaborazione più ampia, fra le istituzioni e fra le compagnie petrolifere dei paesi produttori e le altre.
Quale è oggi la funzione dell’Opec, e quali sono le prospettive future? In tutte le fasi della sua vita, l’Opec è sempre stata nemica delle volatilità del prezzo del petrolio, che non permette ai suoi membri di prevedere a medio termine l’andamento dei loro introiti e quindi della loro economia. Essi sono usciti malconci dall’esplosione del prezzo del petrolio nel nuovo millennio, e la conseguente flessione della domanda, non ancora del tutto riassorbita. Su questo punto vi è una decisa convergenza di interessi fra paesi produttori e consumatori: anche le previsioni a medio e lungo termine di questi ultimi vengono regolarmente smentite dalle oscillazioni piu o meno violente e imprevedibili del prezzo. Il meccanismo speculativo innestato dall’enorme crescita del mercato dei future è il principale responsabile della volatilità del prezzo, che risente di mutamenti anche minimi dell’offerta e della domanda future. Qualche ragionamento in materia è stato fatto fra produttori e consumatori nell’International Energy Forum, che per altro fino ad oggi non ha mostrato l’energia necessaria a far sì che la strategia anti volatilità venga seriamente adottata da coloro che hanno possibilità d’influire.
Per quanto riguarda il futuro, sembra che l’Opec futura non sarà molto dissimile da quella del passato. Essa non è riuscita ad accogliere anche altri paesi: non è riuscita né a fare entrare nei suoi ranghi i paesi del Mare del Nord, e neanche il maggior produttore attuale, la Russia, né a coordinare con quest’ultimo le rispettive strategie produttive. Inoltre, essa sembra ancora interessata esclusivamente al petrolio, e ignora il gas naturale, per cui è stata creata un’altra organizzazione, di cui poco si sa. Sembra di poter dire che la struttura dell’Opec rimarrà quella che è oggi, nonostante l’ingresso recente di un altro produttore africano, e che non vi saranno in futuro grossi allargamenti o importanti mutamenti di strategia.