Versione italianaUn piano per salvare l’euro e frenare la speculazione L'Europa ha perduto la guerra tra i governi eletti e le agenzie di rating non elette. I governi cercano di governare, ma le agenzie di rating dettano le regole. Gli elettori lo sanno e alcuni Stati membri si oppongono a trasferimenti di bilancio verso altri Stati. Eppure, alcuni di essi, tra i quali la Germania, hanno profittato di un euro che ha un tasso di cambio più basso e più competitivo di quanto sarebbe in un’Eurozona formata solo da un nucleo ridotto di paesi forti. Il default da parte dei paesi più esposti dal punto di vista del debito colpirebbe le banche e i fondi pensione nel centro dell’Europa come nella periferia. Nessuno è immune. La risposta è non meno Europa, ma più. Jean-Claude Juncker e Giulio Tremonti hanno proposto la conversione di una quota del debito nazionale in obbligazioni UE come strumento di stabilizzazione della crisi attuale. Siamo d'accordo. La decisione di una simile conversione non richiede l’unanimità. Si tratterebbe di una cooperazione rafforzata, come fu la creazione stessa dell’euro. I governi che volessero mantenere obbligazioni proprie, come potrebbe essere il caso della Germania, potrebbero farlo. Siamo d'accordo con Juncker eTremonti sul fatto che le obbligazioni europee possano essere commerciate a livello mondiale e attrarre le eccedenze dei fondi sovrani e delle economie emergenti i cui governi rivendicano un sistema valutario più articolato. Si tratterebbe di flussi finanziari verso l'Unione piuttosto che di trasferimenti fiscali al suo interno. Ma suggeriamo che la conversione di una quota del debito nazionale verso l'UE non deve essere posta sul mercato. Potrebbe essere detenuta direttamente dall’Unione. Non essendo oggetto di scambio sarebbe esente dalla valutazione delle agenzie di rating. Il suo tasso di interesse potrebbe essere deciso in una misura sostenibile dai ministri delle finanze dell'Eurogruppo. Sarebbe immune dalla speculazione. Governerebbero i governi piuttosto che le agenzie di rating. L'amministrazione Roosevelt non ebbe bisogno di far finanziare o garantire i bond degli Stati Uniti da parte degli stati dell’Unione, come la California o il Delaware, esigere trasferimenti di bilancio, o acquistare il loro debito. E non ha bisogno di farlo l'Unione europea per emettere i suoi bond. Le obbligazioni USA sono finanziati con la politica fiscale comune. L'Europa non ne dispone. Ma gli Stati membri la cui quota di debito nazionale è stata convertita in bond UE possono servirlo tramite le entrate fiscali nazionali, senza trasferimenti di bilancio da parte degli altri. L'Europa ha anche un ulteriore non trascurabile vantaggio. La maggior parte degli Stati membri è fortemente indebitata in seguito al salvataggio delle banche. Ma questo non è il caso dell’Unione. Anche considerando l’acquisto di parti del debito nazionale dopo maggio dell’anno scorso, il suo debito è inferiore all’1 per cento del suo PIL. Si tratta di meno di un decimo dell’ammontare delle obbligazioni emesse dagli Stati Uniti per finanziare il New Deal, il cui successo consentì di finanziare il piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale, di cui la Germania fu il principale beneficiario. I bond europei non avrebbero necessariamente bisogno di nuove istituzioni. La BCE è il guardiano della stabilità dei prezzi, ma la BEI può intervenire a salvaguardia della crescita. I finanziamenti di progetti sono già doppi rispetto a quelli della Banca Mondiale. La quale da 50 anni ha emesso proprie obbligazioni senza garanzie nazionali o trasferimenti fiscali. Nessuno dei principali stati membri dell'Eurozona potrebbe richiedere prestiti garantiti dal debito nazionale. -
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