Utopie e distopie - La guerra israelo-paestinese
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Fu la prima guerra israelo-araba del 1948-1950 a far tramontare l'idea di uno stato unico binazionale, trasformandola in una “utopia da intellettuali”. Non mi è capitato di sovente, ma stavolta sono pienamente d’accordo con Gad Lerner che, a proposito del massacro (non genocidio!) perpetrato prima in Israele e poi, più che decuplicato, a Gaza, individua la presenza operante di due distopie e l’assenza di una vera utopia. Le due distopie sono quelle perseguite da Hamas (una Palestina “from the river to the sea”) e dall’attuale governo israeliano (una Israele “from the river to the sea”), entrambe etnicamente “pure”. L’utopia dimenticata è quella della convivenza tra palestinesi e israeliani in un unico stato. La soluzione apparentemente realistica di cui oggi molto si parla e che è la più condivisa è quella dei “due stati per due popoli” sulla stessa terra. Dunque una soluzione, mutatis mutandis, simile a quella che nel lontanissimo 1548 si trovò per concludere la Guerra dei Trent’anni: cuius regio eius religio. Due stati confessionali, nei quali le libere scelte individuali saranno necessariamente limitate. La storia non è mai magistra vitae, con buona pace di Livio e dei tanti che ancora lo pensano, ma comunque offre esempi e soluzioni che non possono essere trascurati. Senza contare che ritagliare confini in una terra minuscola, attraversata già oggi da muri, compromessa da una colonizzazione israeliana selvaggia, potrebbe vanificare ogni sforzo di partizione. Non si può davvero sperare di meglio che tornare a più di quattro secoli fa? La dissoluzione violenta e sanguinosa della Jugoslavia condotta su base etnica non ci ha insegnato niente? Si peccas, peccas fortiter, avrebbe detto Lutero. Parafrasando, potremmo dire: se sogno ha da essere, perché non sognare in grande? Esaminiamo qualche dato concreto: La superficie totale dei territori interessati alla soluzione statuale binaria è di poco più di 26.000 kmq (compresa Gaza ed escluse le alture del Golan siriano), pari all’incirca a quella della nostra Sicilia. La popolazione conta un totale di circa 14 milioni di abitanti, situandosi tra quella del Belgio (10.000.000) e quella dei Paesi Bassi (17.000.000). Di questi, circa la metà sono israeliani di religione ebraica e il resto arabi palestinesi, in grande maggioranza musulmani sunniti. Il PIL/ab di Israele è pari a 54.710 $ (2022), quello dei Palestinesi in Cisgiordania e a Gaza è di 3.096 $, circa il 6% di quello israeliano. L’età media della popolazione è di 30,4 anni, con il 27,7% tra 0 e 14 anni in Israele. Molto più bassa in Cisgiordania e a Gaza (intorno ai 20 anni, con il 38% al di sotto dei 15 anni). Il tasso di alfabetizzazione è alto, sia Israele che in Cisgiordania, dove solo il 3% è analfabeta. Del resto entrambe le popolazioni sono, come si dice in arabo, “Ahl al-Kitāb”, “Genti del Libro”. Sono dati di una popolazione decisamente giovane, dotata di una buona base culturale, con un futuro promettente, che ha tutti i numeri per guidare la modernizzazione (Israele è all’avanguardia in molti settori delle più avanzate tecnologie) e la stabilizzazione di quella regione così turbolenta e politicamente instabile. Esempi, purtroppo solo sporadici, di pacifica convivenza esistono, sia nella semplice frequentazione quotidiana (soprattutto il Cisgiordania)[1] che in Israele[2]. Tuttavia la situazione politica internazionale (il conflitto israelo-palestinese è stato sempre eterodiretto) ne ha impedito la diffusione e l’efficacia. Le voci che oggi si schierano a favore di un unico stato sono minoritarie e quasi tutte di ambito accademico. Tuttavia l’idea non è affatto nuova. Nata negli anni '20 e fatta propria da un gruppo di intellettuali ebrei, tra cui Martin Buber, Hannah Arendt, Judah Magnes, sosteneva che il popolo ebraico non aveva bisogno d'uno stato ebraico per preservare la sua esistenza[3]. I fautori di tale prospettiva, presenti nelle audizioni condotte nel 1947 dalla Commissione delle Nazioni unite sulla Palestina, si opposero alla soluzione spartitoria, proponendo una struttura statuale federale, che salvaguardasse i diritti di tutti i cittadini, ma furono sconfitti. Fu la prima guerra israelo-araba del 1948-1950 a far tramontare l'idea di uno stato unico binazionale, trasformandola in una “utopia da intellettuali”. Alla luce di quanto sta accadendo oggi con il governo ultraconservatore di Benjamin Netanyahu e dopo decenni di sanguinosissime guerre, che ben poco hanno ottenuto se non di nutrire gli opposti estremismi, questa antica “utopia” si sta rivelando quanto mai realistica e l’unica peraltro in grado di assicurare la sopravvivenza della comunità ebraica, messa a repentaglio, sul medio-lungo periodo, da una dinamica demografica sfavorevole. Infatti, nonostante la “Nakba” del 1948, con i 700.000 palestinesi costretti all’esilio, gli arabi di Palestina non hanno cessato di crescere, soprattutto nei Territori Occupati, eguagliando oggi in buona sostanza la popolazione ebraico-israeliana. Gli intellettuali fautori dello stato unico federale sono diversi, sia tra gli arabi che tra gli israeliani, da Edward Said[4] a Gideon Levy[5] e molti altri. Spero che la loro voce si faccia sempre più forte. Concludo con le parole di Amos Oz (1939 – 2018): [1] https://ilmanifesto.it/la-tv-il-fucile-la-fuga-le-liberta-dei-giovani [2] Vedi l’esperimento di Neve Shalom/Wahat as-Salam, (“oasi della Pace”) [3] http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Marzo-2007/pagina.php?cosa=0703lm03.01.html [4] “The One-State solution” NYT, 10.01.99. [5] “Only Two Options Remain for Israel: Another Nakba or One State for Two Peoples”, Haaretz, 23.05.23 Claudio Salone
Professor of ancient literatures, Rome - https://claudiosalone39.wordpress.com/ |