Una legge di bilancio nel deterioramento dei conti pubblici

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Già nel 2025 l'Italia rnerà a crescere meno della media europea. E molto probabilmente si troverà dopo le elezioni europee ad affrontare una procedura per deficit eccessivo.

La Commissione europea ha presentato il 15 maggio le previsioni di primavera, secondo le quali il Pil dell’area euro, dopo la frenata dell’anno scorso (0,4%), risalirebbe allo 0,8% nel 2024 e all’1,4% nel 2025. Una crescita che si conferma quindi abbastanza bassa, specie se confrontata con quella degli Stati Uniti (per non parlare della Cina), che nel biennio 2023-2024 crescono mediamente del 2,6% annuo per poi rallentare, secondo le stime del Fmi, all’1,9% l’anno prossimo.

 Ma ormai siamo abituati a questi modesti incrementi del Pil europeo, a cui si adegua anche l’Italia, che, dopo l’exploit del 2021-2022, in cui era cresciuta di oltre il 6% medio annuo, scende allo 0,9% sia nel 2023 sia nel 2024 per passare all’1,1% nel 2025.

Il governo si consola pensando che anche nel 2024, per il quarto anno consecutivo, il Pil italiano, sull’onda lunga del superbonus, aumenterebbe più della media dell’eurozona e soprattutto più di Francia e Germania. Ma già nel 2025 torneremmo a crescere meno della media europea e della stessa Francia (+1,3%), avvicinandoci all’1% previsto per una Germania in lenta uscita dalla recessione che l’ha colpita nel 2023 (-0,3%). E’ evidente che i maggiori investimenti pubblici dovuti al Pnrr non sono sufficienti a compensare il venir meno della spinta proveniente dai bonus edilizi.

All’interno di questo quadro macroeconomico preoccupazioni desta l’andamento dei conti pubblici. Le previsioni della Commissione indicano un aumento dell’indebitamento netto e del debito pubblico in rapporto al Pil, rispettivamente, dal 4,4% e dal 138,6% nel 2024 al 4,7% e al 141,7% nel 2025.

E’ implicitamente la conferma che molto probabilmente l’Italia si troverà dopo le elezioni europee ad affrontare una procedura per deficit eccessivo. Una sorte che probabilmente toccherà anche alla Francia. Ma il vero problema non è tanto quello di incorrere in una procedura da parte della Commissione quanto quello che, in una situazione di correzione strutturale dei conti pubblici, si dovranno trovare le risorse per la nuova legge di bilancio che verrà predisposta in autunno.

E qui il discorso si sposta sul Def 2024, approvato dal governo in aprile senza la parte programmatica, con il solo quadro di finanza pubblica tendenziale. Il ministro dell’Economia Giorgetti si è giustificato in conferenza stampa, dicendo che il governo dovrà presentare a settembre il piano fiscale previsto dal nuovo Patto di stabilità, di cui ancora non si conoscono esattamente le regole applicative. In realtà, il governo si è voluto tenere le mani libere per non scontentare gli elettori in vista dell’8-9 giugno.

Del resto, anche se non vengono esplicitati gli interventi che si intendono assumere nella legge di bilancio 2025, in una tabella un po’ nascosta contenuta nella Sezione II del Def viene indicato in quasi un punto di Pil il maggior indebitamento netto richiesto nel 2025 dall’andamento della finanza pubblica “a politiche invariate”.

 E’ l’equivalente di circa 19-20 miliardi, cifra molto vicina ai 18,2 miliardi che, secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, dovranno essere trovati per far fronte a una serie di misure previste dalla Finanziaria 2024 che scadono a fine anno e che il governo ha sempre assicurato di voler rinnovare.

In questa cifra rientrano il taglio del cuneo contributivo a carico dei lavoratori dipendenti (10,8 miliardi), il credito di imposta per gli investimenti nella Zona economica speciale del Mezzogiorno e il rifinanziamento della Nuova Sabatini (1,9 mld), il rifinanziamento delle missioni internazionali (1 mld), la detassazione del welfare aziendale e dei premi di produttività (0,8 mld), il sostegno agli indigenti (0,65 mld), il primo modulo di riforma dell’Irpef (0,6 mld), la riduzione del canone Rai (0,4 mld), le misure previdenziali per le lavoratrici dipendenti con due figli a carico (0,3 mld) ed altre misure. Senza contare che il governo aveva promesso di estendere la riforma fiscale, con l’accorpamento dei primi due scaglioni dell’Irpef, per un valore di quasi 5 miliardi.

La parola, dopo le elezioni di giugno, passerà alla Nadef di settembre, in cui il governo dovrà, da un lato, indicare un percorso credibile per portare entro il 2026 il deficit al di sotto del 3% del Pil, come promesso nello stesso Def, e, dall’altro, presentare le misure per la crescita e le riforme. Dove andare a prendere le risorse necessarie?

Escludendo per ora aumenti della tassazione, al Mef si ipotizzano interventi sulla spesa pubblica dei ministeri e sulle agevolazioni fiscali (le cosiddette tax expenditures). Per entrambe le voci ogni anno si promettono tagli sostanziali, che vengono poi puntualmente disattesi su pressione dei ministri competenti e delle varie lobby. Ed è allora probabile che molte misure promesse dal governo, e già contenute nella Finanziaria dello scorso anno, non vengano rifinanziate.

Attilio Pasetto

Economics analist