Un "deus ex machina" per l’eurozona
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L’aspetto più inquietante è l’ostinata persistenza delle politiche che hanno già dimostrato il loro fallimento. La svolta della Banca centrale giapponese, e l'appello alla BCE. Ogni volta che l’allarme cresce nell’eurozona, torna a salire l’invocazione di un deus ex machina, che è poi sempre Mario Draghi, presidente della BCE. La situazione economica non potrebbe essere peggiore. (si veda: R. Paladini, L'Autunno dell'eurozona). Sei anni dopo L’inizio della crisi, l’eurozona, per insipienza politica o per una perversa scelta ideologica, lungi dal risolverla, tende ad approfondirla (Paladini). Gli storici troveranno materia per indagare il processo politico che paralizza il cuore dell’Europa, e non potranno non rimanerne stupiti. L’aspetto più inquietante è l’ostinata persistenza delle politiche che hanno già dimostrato il loro fallimento. Di fronte a questa situazione si ripete con crescente frequenza l’appello al grande sacerdote di Francoforte che controlla le chiavi della politica monetaria. L’appello ha un senso, se si considera il ruolo fondamentale che ha svolto in America la Federal Reserve. Ora, mentre questa si accinge a dichiarare conclusa la sua missione, è la Banca centrale giapponese a decidere una vasta manovra shoc per portare il Giappone fuori dalla crisi. E’ molto probabile che proprio le clamorose decisioni della Banca giapponese abbiano rilanciato l’attenzione sulla Banca centrale europea, e rafforzato la determinazione di Mario Draghi di tornare a intervenire con misure “non convenzionali” per scongiurare il rischio incombente di una lunga e distruttiva deflazione. In ogni caso, l’esempio giapponese, ipoteticamente applicato all’eurozona mette in gioco non solo gli strumenti tipici della politica monetaria, ma lo stesso paradigma politico che governa l’eurozona . La Banca centrale giapponese, , come ricorda Martin Wolf (Financial Times, 5/11/14), ha deciso di acquistare titoli del debito pubblico in una misura equivalente al 16 per cento del PIL. Per dare un significato concreto a questa decisone, possiamo dire che per paesi come l'Italia e la Francia, un’analoga da parte della BCE equivarrebbe all’acquisto annuo di titoli di stato nell’ordine di 250 miliardi euro. Poiché, assumendo l’esempio della Banca centrale giapponese si tratterebbe di titoli con una maturità a lungo termine di 7/10 anni, e con tassi d’interesse nominali prossimi allo zero e tassi reali negativi, saremmo di fronte al progressivo consolidamento di una parte molto rilevante del debito, sostanzialmente affrancato dall’onere degli interessi. I paesi dell’eurozona in difficoltà, da un lato, si gioverebbero di un ridotto ricorso al mercato per il rinnovo del debito pregresso, beneficiando di una riduzione dei tassi; dall’altro, potrebbero impiegare una parte delle risorse rese disponibili dalla Banca centrale per una massiccia operazione di rilancio della crescita e dell’occupazione. Non si tratta di fantasie estemporanee. La massiccia e prolungata manovra monetaria con la liberazione di enormi risorse per il bilancio ha consentito agli Stati Uniti di ricondurre il PIL al disopra del livello antecedente alla crisi, e di ridurre la disoccupazione al si sotto del 6 per cento. Può l’eurozona contare su una politica analoga? In linea di principio, non si vede perché no. Il punto è che per essere praticabile questa politica dovrebbe superare due ostacoli. Il primo è l’opposizione della Germania a manovre della BCE non più puramente difensive - come quelle adottate per salvare l’euro da un incombente collasso - ma esplicitamente dirette all’espansione dei bilanci statali per consentire l’aumento degli investimenti pubblici, ormai unico strumento efficace di contrasto alla catastrofica combinazione di recessione e deflazione. Dunque, il ricorso al grande sacerdote di Francoforte è il segno della disperazione e insieme della speranza in un cambiamento che liberi l’eurozona dal rischio di un lento suicidio. |