Ucraina - Il Paradosso è servito

Sottotitolo: 
Una vicenda potsa  in una logica binaria diretta a schierarsi denza sfumature.

Il paradosso è servito: al confine russo-finlandese pare brucino ogni giorno dieci milioni di euro di gas, mentre in Europa, dove il gas russo arriva ormai con il contagocce, ci attende un autunno difficile, con razionamenti domestici e preoccupanti prospettive per il sistema industriale.

Quel gas che brucia invano alle porte di San Pietroburgo è un po’ la metafora della inanità della politica estera europea.

Dopo sei mesi di guerra tra Russia e Ucraina, di sanzioni sempre più ampie e dure contro Mosca, la situazione sul terreno vede il Donbass all’80% controllato dalle truppe di Putin, il mar d’Azov trasformato in un lago russo, Kherson e Kharkiv periclitanti, per non parlare della centrale atomica di Zaporizhia.  Nel frattempo si calcola che il sistema industriale europeo abbia perduto circa 70 miliardi euro con il blocco dell’interscambio con la Russia (gas escluso).

Il sostegno di USA, UK e UE al governo ucraino dell’ubiquo Zelenski è stato massiccio, sostenuto da una martellante e talvolta stolida campagna di propaganda antirussa.

Difficile reperire altri dati che non siano quelli relativi alle sole brutalità russe. Un po’ come il manifesto rossonero del PD, lo scopo è quello di indurre le opinioni pubbliche occidentali a leggere tutta la vicenda in una logica binaria e a schierarsi senza sfumature, un tempo si diceva senza se e senza ma, da una parte o dall’altra: da quella dei buoni sempre (gli ucraini) o da quella dei cattivi sempre (i russi).

Peccato che la politica sia ben altra cosa, cioè a dire innanzi tutto sia l’arte di conciliare interessi contrapposti per arrivare a un compromesso accettabile per tutte le parti. Interessi che si intersecano anche all’interno dell’Europa, dove c’è, ad esempio, un Olanda riottosa a mettere un tetto al prezzo del gas (la Borsa gasiera è ad Amsterdam!) e una Germania in forte difficoltà, con il surplus commerciale pressoché azzerato e una minaccia mortale per la grande industria come si dice oggi fortemente energivora.

A tale proposito viene da chiedersi: al di là delle sanguinose apparenze, questa guerra per procura, condotta dagli USA contro la Russia e i suoi disegni di riequilibrio mondiale delle forze, non è forse alimentata oltreoceano anche per indebolire il peso della Germania sulla scena globale e con esso quello della UE, da sempre nel mirino degli Stati Uniti?  La “minaccia tedesca” è stata evidente negli anni precedenti la pandemia, quando la Germania occupava il terzo posto tra le grandi potenze economiche e aveva un surplus commerciale con gli USA di alcune decine di miliardi di euro.  Ecco che il conflitto del Donbass, mantenuto opportunamente acceso, ha rivelato una sua obiettiva utilità nel rimettere al posto (subordinato) che le spetta la UE, scelleratamente allargata ad est, senza alcuna modifica degli statuti comunitari.

Ciò è avvenuto per volere degli Stati Uniti, prontamente recepito dalla élite di governo brussellese, legata alla finanza globale e poco propensa a “fare politica” in senso proprio, se non nelle forme folcloristiche di quella poveretta della von der Leyen, che si veste con la bandiera ucraina un po’ come faceva anni fa Paolo Poli con il nostro tricolore (lui però faceva ridere, lei no).

Quello che stupisce è come le opinioni pubbliche europee non si siano accorte del “gioco”.

Come si fa, ad esempio, a sostenere, come fa l’ineffabile Calenda, che le navi gasiere (chissà perché ce l’ha soprattutto con Piombino!) ci libereranno dalla dipendenza dal gas russo? Ha idea delle quantità di gas liquefatto trasportabile e dei costi annessi? Il gas russo, fino a che si vorrà adoperare questa materia prima, resta per noi senza concorrenti: costa poco (il costo degli impianti è stato pressoché ammortizzato), è disponibile in grandi quantità e rapidamente. Si dice che abbiamo riempito le nostre riserve all’80%, ma non si dice che quelle stesse riserve potranno mantenere in vita il sistema industriale per due, tre mesi al massimo, per di più in inverno.

Davvero crediamo che l’Ucraina possa riconquistare il Donbass e la Crimea? Davvero crediamo che l’Ucraina possa sconfiggere i russi da sola, cioè a dire senza l’intervento diretto della NATO, con le tragiche conseguenze che ne deriverebbero? I casi sono due: o si è molto, molto ingenui o molto, molto cinici. Non si conosce il numero dei caduti ucraini, che è comunque ingente, dei rifugiati all’estero e degli sfollati in patria: si tratta di milioni di povera gente; il sistema infrastrutturale (ferrovie, aeroporti, strade) è largamente compromesso, il debito pubblico ucraino è volato in pochi mesi a oltre il 100% di un PIL già povero (le statistiche anteguerra - vedi il Calendario Geografico De Agostini - parlano di un PIL pro-capite ucraino pari a un terzo di quello russo). Fino a quando l’Europa e gli USA, con la scorta del disastrato governo Johnson, potranno “metterci una pezza” e continuare a sborsare miliardi a fondo perduto in armi e sussidi?

In sintesi:

La strategia di Putin, per chi la sa leggere, è ormai abbastanza chiara: strangolare lentamente l’Ucraina, senza attaccare le grandi città al di fuori del Donbass, in attesa che la forza delle cose (l’inverno) provochi un cambiamento di governo a Kiev.

La strategia di Biden è altrettanto chiara: tenere impegnata la Russia in una guerra di logoramento, stavolta senza mettere in campo truppe americane, ma facendo morire altri al posto loro (la lezione dell’Afghanistan è servita a qualcosa) e nel frattempo indebolire economicamente l’Europa, l’euro, già sceso stabilmente sotto il dollaro, e in particolare la potenza industriale tedesca, in attesa dello scontro decisivo con la Cina.

La strategia dell’Europa? Non pervenuta, se non per balbettii, sottomissioni acritiche al volere di Washington, delega alla NATO della politica estera.

Eppure ci sarebbe spazio per un’azione diplomatica più incisiva e autonoma (basti vedere cosa ha fatto e fa quel gran democratico di Erdohan, capo indiscusso della Turchia, membro della NATO). Certo, è molto tardi e l’implosione dell’Ucraina è alle porte, ma forse si può fare ancora in tempo a organizzare (sul modello della CSCE degli anni ‘70/’80) una grande conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, che affronti i disequilibri politico-strategici del nostro continente, per portarli a un punto di caduta che, senza pifferi e fanfare, raggiunga il miglior risultato possibile per tutti.

Claudio Salone

Professor of ancient literatures, Rome - https://claudiosalone39.wordpress.com/