Tra Covid e guerra è dramma lavoro

Da due anni ci fa cattiva compagnia la pandemia del Covid19, che s’è appena attenuata, non è finita. Nemmeno un po’ di respiro ed ecco la Russia aggredire l’Ucraina. Due settimane di guerra: chissà se e quando finirà. Eventi mondiali di portata storica e gravi fenomeni che affliggono la vita individuale e collettiva su più piani. Anzitutto sul piano economico-finanziario dove domina la globalizzazione. E poi sui piani sociale, sanitario e antropologico-culturale. I profughi dall’Ucraina sono per ora circa due milioni e mezzo: un’emigrazione biblica dai risvolti drammatici (tantissimi in Campania).

Le stesse sanzioni inflitte alla Russia dall’Occidente, pur sacrosante, avranno effetti deleteri: tanto in Russia quanto in Europa. Già ci s’accorge di quanto costa all’Europa dipendere dalla Russia e dall’Ucraina per materie prime e fonti di energia. I danni non sono uguali per tutto l’Occidente: meno pesanti per gli USA; abbastanza pesanti per l’Europa; molto pesanti per l’Italia, che forse dovrà pure rivedere taluni progetti del Next Generation Eu.

Pesantissimi i danni per il Mezzogiorno, per la Campania e per Napoli: piove sul bagnato! Qui, lo sappiamo, i problemi sono tanti, ma il più inquietante è la disoccupazione. Quanto potremo sopportare la mancanza di lavoro regolare (specie giovanile e femminile) in Campania e nell’area metropolitana di Napoli? Dove da tempo è inarrestabile la deindustrializzazione: molte aziende, nazionali e multinazionali, trasferiscono gli stabilimenti nel Nord-Italia o all’estero. Il più delle volte senza neanche addurre serie motivazioni di mercato: il caso della Whirpool è eclatante, ma ce ne sono molti altri.

La pandemia ha dato un duro colpo al lavoro: a quello regolare e persino a quello nero. Tante attività legate all’aumento del turismo sono scomparse. Pur disordinate e di poco pregio avevano contribuito bene o male alla sopravvivenza di persone e famiglie. Per un po’ gli ammortizzatori sociali hanno in parte arginato l’accendersi di un’aspra conflittualità sociale: dal reddito di cittadinanza all’indennità di cassa integrazione o di disoccupazione ai famosi ristori statali per la chiusura dell’attività produttiva in diversi settori.

Ora vedremo quanti e quali danni all’occupazione (regolare e irregolare) arrecheranno la guerra e le sanzioni alla Russia. Non saranno pochi né indolori: il blocco dell’esportazione di nostri prodotti farà fallire piccole e medie aziende; il blocco dell’importazione di materie prime già sta aumentando i costi di produzione di beni primari (pane, pasta, benzina, gasolio). Inoltre dalla Russia, adesso “paese-canaglia”, partiva un notevole turismo che le sanzioni impediranno.

Ancora non sappiamo se, per far fronte a quest’altra tragedia, l’UE e il Governo italiano adotteranno misure economico-finanziarie di ristoro delle ingenti perdite. Comunque, a parte l’aumento del debito pubblico, si tratterà di tamponare una piaga, dalla quale potrebbe sgorgare sangue vivo (speriamo solo in senso metaforico).

Si è spesso ripetuto che ovviamente l’occupazione o addirittura il “lavoro di qualità”, auspicato dall’UE, non si creano con leggi e decreti. Occorrono veri investimenti pubblici e privati, innovazione e formazione all’altezza dei tempi. Esigenze nel Mezzogiorno sempre avvertite e sempre insoddisfatte, spesso per incompetenza o indifferenza. Persino taluni strumenti amministrativi, almeno per mettere ordine nella gestione del mercato del lavoro, sono carenti per l’incapacità della classe dirigente locale, giacché le funzioni spettano alle Regioni.

Stendiamo un velo pietoso, per carità di patria, sulla geniale invenzione dei navigator per trovare lavoro ai percettori di reddito di cittadinanza, ora scomparsi. Parliamo piuttosto dell’organizzazione razionale ed efficiente dei Centri per l’impiego, motore pubblico dell’incontro domanda/offerta di lavoro. Se in Campania funzionassero servirebbero a molte cose: sapere i dati su disoccupazione e domanda di lavoro nelle varie zone e nei diversi settori produttivi;  orientare la formazione dei giovani; reimpiegare i licenziati da aziende dismesse; impiegare i fruitori del reddito di cittadinanza in lavori socialmente utili per servizi essenziali; monitorare le modifiche strutturali del mercato del lavoro.

Per esempio: se dall’Ucraina non arriveranno solo badanti e camerieri ma, com’è probabile, persone professionalizzate e colte, li accoglieremo e vaccineremo: e poi? Perciò si è spesso sperato, restando puntualmente delusi, che il Presidente De Luca – nel suo monologo settimanale sulle magnifiche sorti e progressive della Regione Campania – facesse il punto sull’organizzazione e sul funzionamento dei Centri per l’impiego, oltre a esaltare la lodevole sua iniziativa di stabilizzare i precari pubblici o di indire concorsi per l’assunzione di impiegati e funzionari della Regione (specie nella Sanità) o degli enti locali.

Eppure la Costituzione, quando all’art. 4 dice che la Repubblica riconosce il diritto al lavoro e promuove le condizioni che lo rendano effettivo, non intende certo dire che lo Stato dev’assicurare a tutti lavoro e salario, ma pretende che ogni istituzione della Repubblica competente del mercato del lavoro allestisca gli strumenti necessari al proficuo incontro domanda/offerta di lavoro. Com’è possibile non riuscire a organizzare un’adeguata struttura regionale in grado di gestire un essenziale servizio di politica attiva del lavoro?               

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.