Tendenze della contrattazione collettiva in Europa

Sottotitolo: 
L'attacco ai salari e la difficile difesa dell'occupazione. Tra negoziazione e conflitto sociale in Germania, Gran Bretagna, Spagna, Irlanda e Svezia.

Nel 2010 l’aggravamento della crisi  in relazione alla sostenibilità dei debiti sovrani di alcuni paesi maggiormente esposti (dalla Grecia, all’Irlanda, alla Spagna, Portogallo) ha determinato l’affermarsi di politiche di radicali riduzioni dei bilanci pubblici e di compressione della spesa pubblica soprattutto attraverso il congelamento o la riduzione dei salari pubblici.

E’ in questo scenario di crisi che si è svolto il confronto tra le parti sociali nei principali paesi europei. Il confronto ha riguardato soprattutto la questione del lavoro a orario ridotto, con il sostegno pubblico per compensare le perdite salariali che ne derivano. - qualcosa di simile alla Cassa Integrazione Guadagni Italiana, anche se con le specificità delle diverse legislazioni di ciascun paese.

Sul fronte della gestione degli effetti della crisi sono stati numerosi gli accordi di tutela dell’occupazione, di “concession bargaining” e di  utilizzo delle “opening clauses”. Gli esempi più noti sono quelli delle Czech Airlines (ČSA),  della società di trasporto publico di Praga (DPP ), della Daimler e della Schaeffler in Germania, dell’Audi e della ISD Dunaferr e ZF in Ungheria, della Sony in Spagna, della Honda e della Toyota nel Regno Unito.

  Le dinamiche retributive e le relazioni industriali
 I sistemi di relazioni industriali in Europa sono stati sottoposti dalla crisi a profonde tensioni sotto il profilo della contrattazione collettiva. Da questo punto di vista, è di grande interesse l’analisi del Rapporto  della "European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions" di Dublino, che delinea le caratteristiche fondameli della contrattazione collettiva in Europa nel 2009 .
Dal Rapporto si evince che la crisi economica ha avuto un effetto modesto sulle dinamiche retributive contrattuali nel 2009, anche perché spesso  (Belgio, Grecia, Ungheria, Irlanda, Romania) i contratti erano stati rinnovati prima dell’arrivo della crisi. Nei paesi del Nord Europa, ad esempio, caratterizzati da contratti pluriennali, i salari contratti negli anni precedenti hanno mantenuto (o accresciuto) il potere d’acquisto, in relazione alla caduta dell’inflazione. Tuttavia, le retribuzioni di fatto hanno spesso subito l’effetto della larga diffusione del lavoro a orario ridotto per far fronte alle riduzioni della produzione imposte dalla crisi.

  La contrattazione in Germania
I salari contrattuali in Germania nel 2009 sono cresciuti in media del 2,6%, rispetto al 2,9% del 2008, ma quelli di fatto, secondo i dati del Rapporto della Fondazione di Dublino sono caduti nel 2009 dello 0,4% (+2,3%, nel 2008)   a causa del lavoro a orario ridotto ma anche dell’utilizzo delle “clausole di apertura” previste dai contratti e della riduzione della copertura contrattuale dei lavoratori tedeschi. Nel  2010, tuttavia, le imprese dell’industria metalmeccanica ed elettrica, hanno messo in luce che il declino dell’area coperta dalla contrattazione collettiva si era arrestato e che secondo gli ultimi dati dell’Istituto di Ricerca sull’occupazione, il 32% degli impianti con il 52% dei dipendenti era direttamente coperto dalla contrattazione collettiva.
In realtà, nel corso degli anni 2000 il costo del lavoro aveva registrano un andamento negativo (-1,2% il 2008 sul 2000) che era il riflesso di un forte slittamento, wage drift , negativo delle retribuzioni di fatto rispetto a quelle contrattuali  . Nel periodo considerato le retribuzioni contrattuali reali avrebbero registrato, infatti,  una dinamica complessiva positiva di circa il 6% . Mentre, quelle di fatto, perdono, invece, secondo i dati Ocse, l’1,2% . Questo slittamento negativo sarebbe da attribuirsi, da un lato, alla caduta della copertura della contrattazione collettiva  (nella Germania Ovest, dal 76% dei lavoratori del 1998 al 62-63% del 2007-2008, con una lieve ripresa nel 2009, fino al 65%); dall’altro, anche al ricorso alla clausole d’apertura (che consentono delle deroghe per affrontare situazioni di particolare difficoltà) e ai cosiddetti “patti aziendali per l’occupazione”, notevolmente cresciuti nel periodo 2008-2009.  Questi trend si accompagnano a una caduta dei tassi di sindacalizzazione che dal 1990 a oggi ha toccato e superato il 50% .

La contrattazione decentrata nel Regno Unito
Il sistema inglese di relazioni industriali è fortemente decentralizzato. La maggior parte della contrattazione collettiva all’infuori del settore pubblico è avvenuta a livello d’impresa. L’Indagine del governo sul mercato del lavoro del 2009 indica che il 33,6% dei dipendenti era coperto da un accordo collettivo nel 4° trimestre del 2008. Nel settore privato la copertura era nel 2008 solo del 18,7%. Se in media il tasso di crescita delle retribuzioni contrattate è stato del 3%  sono stati numerosi i casi di imprese che prevedevano un congelamento delle retribuzioni.
Secondo la ricerca condotta dalla Confindustria britannica, su circa 700 imprese, il 55% stava programmando un congelamento retributivo in vista del prossimo round di negoziazione salariale; un altro 40% prevede solo modesti incrementi salariali.
Secondo una ricerca – condotta su un campione di 1600 lavoratori - dei promotori della campagna “Keep Britain working” (manteniamo gli inglesi al lavoro), il 27% dei lavoratori del Regno Unito ha subito una riduzione della retribuzione, il 24% delle ore lavorate, e il 24% ha dovuto rinunciare a premi e benefits: tutto ciò ha mostrato una flessibilità senza precedenti della forza lavoro inglese. A maggio 2009, la "Low Pay Commission" (Commissione sui bassi salari) ha proposto un aumento del salario minimo da ottobre 2009 di circa l’1,2%. A giugno 2010, la Confindustria britannica (CBI) ha pubblicato un documento nel quale chiede al governo delle regole più stringenti per le consultazioni in caso di sciopero (le azioni sindacali possono essere decise solo con il sostegno di almeno il 40% dei lavoratori) ed un periodo più breve di consultazioni obbligatorie nei casi di eccedenze di personale .

 Il nuovo accordo interconfederale in Spagna 
In Spagna, per la prima volta dal 2002  la contrattazione si è svolta al di fuori della cornice di un accordo interconfederale, a causa dell’impossibilità di trovare un intesa sul tasso di incremento salariale. In Novembre le parti sociali hanno convenuto di aprire il confronto per un nuovo “patto sociale”.
A febbraio del 2010 è stato firmato unitariamente il nuovo accordo interconfederale sull’occupazione e la contrattazione collettiva che copre il periodo 2010-2012 . L’accordo si basa su una diagnosi condivisa delle caratteristiche principali della crisi spagnola (la debole domanda interna, la crisi dell’edilizia, l’elevato debito pubblico e privato, l’insufficiente competitività). Le guidelines per la contrattazione sono divise in due sezioni:
•    occupazione, formazione, flexisecurity e diritti di informazione e consultazione: l’accordo prevede la promozione di un’occupazione stabile attraverso un bilanciamento tra flessibilità delle imprese e sicurezza dei lavoratori, sebbene anche con il ricorso al lavoro temporaneo; la promozione della formazione; il coinvolgimento dei lavoratori per le modifiche dell’organizzazione del lavoro rese necessarie dall’innovazione tecnologica .
•    questioni salariali: si prevede una sostanziale moderazione salariale. I tassi di crescita concordati sono: 1% per il 2010, tra 1% e 2% per il 2011, e tra  1.5% and 2% per il 2012. Queste linee sono accompagnate da clausole di uscita ove la situazione aziendale lo imponesse.
Nel 2010 il conflitto sociale ha riguardato le misure di austerità varate dal governo spagnolo (drastiche misure di riduzione del deficit pubblico, attraverso una riduzione media delle retribuzioni pubbliche del 5%, congelamento delle pensioni, cambiamento delle regole di pensionamento, ecc.) che hanno portato allo sciopero generale del settore pubblico dell’8 giugno del 2010 . A settembre le organizzazioni sindacali hanno unitariamente proclamato uno sciopero generale contro la riforma del mercato del lavoro approvata dal governo.

 Gli accordi in Svezia
La maggiore organizzazione imprenditoriale ha abbandonato l’”accordo di cooperazione”, ma regge il modello contrattuale. Nel settore manifatturiero è stato firmato un accordo che prevede schemi di orario ridotto e di sospensione temporanea del lavoro, che ha dato vita ad una fitta serie di accordi a livello territoriale. Le trattative per i rinnovi dei contratti nel 2010 si erano annunciate difficili in quanto i datori di lavoro proponevano un congelamento retributivo, mentre i sindacati chiedevano aumenti annui del 3% per rilanciare la domanda e sostenere i consumi. Ad aprile, la maggiore organizzazione degli imprenditori, la Association of Swedish Engineering Industries (anche se con il dissenso di altre associazioni di imprese) ha dichiarato di voler  fuoriuscire - da ottobre 2010 - dal cosiddetto “Industrial agreement”.,  firmato nel 1997 con lo scopo di garantire una moderazione salariale coerente con i tassi medi di crescita delle retribuzioni in Europa.
Ciononostante, il "bargaining round" del 2010 per il settore industriale si è concluso per i maggiori settori industriali,  con accordi che, in generale, hanno previsto aumenti del 3,2% per i successivi 22 mesi.

  La crisi delle relazioni industriali in Irlanda
In Irlanda, dopo la decisione dell’ Irish Business and Employers’ Confederation (IBEC), di denunciare a dicembre 2010, il Transitional Agreement del 2008, a marzo del 2010, e di affidarsi alla contrattazione al livello d’impresa, l’Ibec e l’Irish Congress of Trade Unions (ICTU), hanno concordato un protocollo (valido per tutto il 2010), che fornisce le linee guida della contrattazione in relazione a competitività, informazione e consultazione – sottolineando la priorità della difesa dell’occupazione – e costituisce una commissione tripartita (anche con il governo) per monitorare e coordinare le trattative salariali . Tuttavia, una ricerca dell’Ireland’s Central Statistics Office (CSO) ha messo in evidenza una sostanziale riduzione del costo del lavoro per le imprese private, determinata dalla riduzione degli organici (l’occupazione è diminuita dell’8%), dalla compressione delle ore lavorate e delle retribuzioni orarie medie.

  Il conflitto sociale in Francia
In Francia le organizzazioni sindacali hanno unitariamente indetto numerose manifestazioni nazionali rivendicando  misure più forti di rilancio dell’economia, la difesa dell’occupazione, la riduzione dello squilibrio tra crescita dei profitti e dei salari. Infatti, secondo un rapporto dell’ INSEE, nonostante la quota distributiva del lavoro sia rimasta sostanzialmente costante negli ultimi 20 anni (un risultato in contrasto con i dati Ocse esaminati nel rapporto Ires), negli ultimi 25 anni i dividendi degli azionisti sono aumentati di 5 volte: questo ha comportato che oggi, i profitti vanno per il 57% in investimenti, per il 36% agli azionisti e solo per il 7% ai lavoratori dipendenti. In seguito alla crescita dell’inflazione del 2% a maggio è stato incrementato lo SMIG (salario minimo garantito). In autunno la Francia ha visto l’esplosione di un enorme conflitto sociale tra governo e sindacati, sulla questione della riforma delle pensioni, con una larga partecipazione anche di giovani e studenti e la partecipazione di milioni di persone.

  Occupazione e lavoro a orario ridotto in Fracnia e Germania
Anche in Francia, il governo ha adottato misure per promuovere il lavoro a orario ridotto. Complessivamente c’è stata un’intensa contrattazione a livello nazionale interconfederale, anche come conseguenza della legge del 2007 che obbliga il governo a consultare le parti sociali sulle questioni connesse all’occupazione. Un accordo nel settore chimico ha previsto iincrementi retributivi e della formazione nei periodi ad orario ridotto; nel settore meccanico, un accordo promuove il ricorso alla formazione per prevenire il ricorso al lavoro ad orario ridotto e comunque per formare i lavoratori che ne siano coinvolti. Ancora nel settore metalmeccanico, è stato raggiunto un accordo unitario per migliorare la sicurezza del lavoro per i lavoratori qualificati del settore: l’accordo prevede un periodo di mobilità che permetta ai dipendenti con almeno due anni di anzianità di accettare un altro posto con un’altra impresa, mantenendo il diritto di ritornare nel precedente impiego .

In Germania, la centralità della questione del lavoro a orario ridotto per  gestire gli effetti della crisi è dimostrata dal fatto che numerosi accordi di settore (commercio all’ingrosso, nel Nord Reno–Westfalia, l’industria del legno e plastica in Sassonia, e quella della carta), hanno previsto delle clausole specifiche, come, delle compensazioni aggiuntive per i lavoratori coinvolti. I metalmeccanici del Baden-Württemberg, hanno firmato un accordo ad aprile 2009 che introduceva un nuovo modello di compensazione delle retribuzioni per i lavoratori a orario ridotto con l’obiettivo di ridurre i costi per le imprese, ma di dilazionare le eventuali eccedenze quanto più possibile e di fornire la necessaria formazione ai lavoratori. L’accordo consentiva anche di prolungare i contratti a tempo determinato fino a quattro anni (il doppio di quelli previsti precedentemente). Un accordo sempre nel settore metalmeccanico nel Nord Reno – Westfalia ha introdotto uno “staffing pool” che consente di affittare temporaneamente i lavoratori di un’impresa con surplus di personale a quelle che invece registrano delle carenze.  I metalmeccanici del Baden-Württemberg e del Nord Reno - Westphalia , a febbraio 2010, hanno firmato un nuovo pacchetto di accordi centrati sulla salvaguardia dell’occupazione e sulla formazione piuttosto che sulla crescita retributiva .

Giuseppe D’Aloia

Researcher with IRES (Roma).Recent book: "Salari e contratti in Italia e in Europa,2004-2006"(with L.Birindelli and A.Megale)