Sopravvivrà l’euro al prossimo anno?

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 L’irreversibilità dell’euro non lè più un dogma..Una somma di turbolenze può scatenare la "tempesta perfetta" destinata a liquidare la moneta unica.

Ci sono buone probabilità che l’euro non diventerà maggiorenne. Difficile dire cosa può scatenare la tempesta perfetta, ma i candidati sono molti: il referendum nel Regno Unito, la vittoria del Trump austriaco, il riaffacciarsi della Grexit, un nuovo stallo elettorale in Spagna, o tutte queste cose insieme. Ma anche se la Brexit sarà scongiurata, il candidato verde in Austria rovescerà i risultati del primo turno, Tsipras riuscirà a convincere Berlino e Bruxelles a non esagerare troppo, e infine le elezioni spagnole permetteranno la nascita di un nuovo governo; ebbene anche in questo caso dovremo ancora aspettare le elezioni francesi e tedesche, eventualmente nel momento di una crisi dei migranti.

Il punto è che l’atteggiamento dei vari governi sulla politica monetaria della BCE (il QE) e sulle politiche fiscali (il rispetto del fiscal compact) mostra chiaramente che quella che una decina di anni fa sembrava assodata, cioè l’irreversibilità dell’euro, non lo è più. In un articolo del 2006, Charles Wyplosz, parlando[1] di come l’euro di fosse affermato e consolidato, affermava: “Ulteriore evidenza può essere trovata guardando all’evoluzione degli spread. Si sono ridotti dal 2001, un’indicazione della crescente credibilità dell’euro. Il momento di maggior turbolenza è avvenuto nella primavera del 2005 quando, in seguito al rigetto della proposta di Costituzione (europea), un numero di osservatori cominciò a chiedersi se l’area euro potesse rompersi. In quel momento un ministro italiano.Calderoli, chiese pubblicamente di abbandonare l’euro e tornare alla lira. Lo spread italiano raddoppiò, da 14 punti base a 28 in giugno; lo spread medio saltò da 4 a 10 punti base.” La conclusione di Wyplosz è la seguente: “Questo episodio conferma le precedenti conclusioni. Sì, i mercati reagiscono a importanti eventi ma no, non hanno preso seriamente in considerazione la rottura dell’euro. Non solo i 28 punti di spread sul debito sono molto bassi, ma sono molto al di sotto dell’inizio del 2001.”

Avete letto bene: non 140 e 280 punti base ma 14 e 28. Oggi Italia e Spagna sono contente di avere lo spread a 142 e 147 punti base, mentre lo spread francese, che era praticamente nullo, è ora a 36 punti base. E questi valori dipendono solo dal “whatever il takes” di Draghi del luglio 2012, e dalla politica monetaria della BCE. In effetti che i mercati avessero azzerato gli spread non è sorprendente: una moneta unica implica tassi unici. E’ vero che il trattato proibiva acquisti di titoli pubblici in asta, ma la normale rutine della BCE si basa su tali titoli. Quindi che dietro i titoli pubblici ci fosse la BCE era considerato ovvio dagli operatori finanziari, così come la Federal Reserve sta dietro i titoli statunitensi e la Banca d’Inghilterra dietro i titoli britannici.

Ma nell’ottobre 2010 la  Cancelliera Merkel convinse il Presidente Sarkozy a  rendere pubblico il “coinvolgimento del settore privato”, cioè delle banche, in caso di default di un Paese della zona euro, esplicitando un accordo ufficioso avvenuto al Consiglio europeo di maggio. In teoria tale coinvolgimento sarebbe dovuto iniziare dopo il 2013, alla scadenza di un accordo (informale) con le banche che avrebbero dovuto conservare i titoli greci. I mercati non credettero alla dichiarazione di Deauville, anche perché in Germania si era diffusa l’opinione, in effetti fondata, che le banche francesi, che avevano la quota più alta di titoli greci, li stavano vendendo. Un mese dopo Akerman, presidente della  Deutsche Bank, in un incontro riservato con Merkel e Schäuble, dichiarò che la sua banca avrebbe venduto non solo i titoli greci ma anche quelli dei paesi più a rischio. Fu così che l’Irlanda e il Portogallo dovettero uscire dal mercato finanziario e chiedere aiuto, mentre gli spread di Italia e Spagna cominciarono a salire, raggiungendo i livelli che esistevano prima dell’euro.

 Angela Merkel ha successivamente ammesso che la dichiarazione di Deauville non era stata un successo; ma in realtà era perfettamente coerente con le posizioni espresse dal governo tedesco. Coerente con la decisione del bail in delle banche private decisa nell’agosto 2013, per tutti i titoli emessi dalle banche anche prima di quella data; coerente con le proposte di porre dei limiti all’ammontare di titoli sovrani da parte delle banche; proposte per ora respinte dalla maggioranza dei paesi europei. Del resto è ben nota l’opposizione della Germania a qualunque forma d’intervento che introduca forme di condivisione dei rischi, anche quando la ragionevolezza d’interventi di questo genere è evidente.

Recentemente sette economisti del CEPR [2]argomentano in questo modo: “Molti paesi in Europa si trovano di fronte a stringenti vincoli fiscali che rendono difficile reperire nuove risorse attraverso le imposte. L’aumento di imposte da parte di ciascuno stato membro ridurrebbe la tanto necessaria crescita economica, e aggiungerebbe un più alto eccesso di onere fiscal. Dalla prospettiva della politica del “tax smoothing” l’emissione di obbligazioni è allora desiderabile. Allo stesso tempo, la crisi dei rifugiati comporta dei costi immediati, per la sicurezza delle frontiere e per integrare gli immigrati, ma dei benefici in futuro, quando i nuovi cittadini europei integrati contribuiranno alla prosperità dei paesi membri. Emettere obbligazioni quindi è la forma appropriata di finanziamento di queste spese”.

Gli stessi economisti hanno scritto un Rapporto CEPR (A New Start for the Eurozone: Dealing with Debt ) nel quale propongono un modo per gestire i debiti dei paesi dell’euro. Nessun dubbio sulla necessità di affrontare il problema, basti pensare al caso greco. Ma non è necessario entrare nel merito della proposta, perché, come le proposte precedenti, non ha nessuna possibilità di essere presa in considerazione. Il problema è capire le ragioni del rifiuto; non c’è dubbio che da parte di ambienti della classe dirigente tedesca (la Bundesbank) vi è un desiderio di chiudere l’esperienza dell’euro; in altri invece è più probabile che si tratti di un mix di cultura ordo-liberale e di timore delle reazioni della opinione pubblica. Quando Schäuble ha detto che i risultati elettorali di Alternative für Deutschland erano dovuti alla politica di tassi bassi (e anche negativi) della BCE, ha dato una spiegazione probabilmente sbagliata, perché la campagna di AfD è stata tutta sul problema degli immigrati. Tuttavia è evidente che i risparmiatori tedeschi sono sorpresi ed irritati, così come lo sono le banche e le assicurazioni del paese.

Ovviamente Schäuble dovrebbe sapere che attenuare il QE, cioè di una politica monetaria (troppo) espansiva, comporta la necessità di cancellare il fiscal compact e passare ad una politica fiscale espansiva, sia a livello comunitario (euro bond) che a livello dei singoli stati membri. Poiché ciò non avverrà, sarà la politica, nella forma di qualche risultato elettorale, a determinare il terremoto monetario, anche se è difficile prevedere che cosa potrà succedere.


[1] C. Wyplosz, European monetary union: the dark sides of a major success, Economic Policy, April 2006.

[2] Corsetti et al. Reinforcing the Eurozone and protecting an open society, Vox 4 May 2016.

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it