Per Schlein il difficile comincia ora
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La sua vittoria conferma la ricerca di qualcuno che non abbia ancora fallito nel fermare il declino del paese. A pensarci bene, non ci si può stupire della vittoria di Elly Schlein alle primarie del Partito democratico. Tanto più perché ha rovesciato l’indicazione che era venuta dal voto degli iscritti al partito, che aveva dato a Stefano Bonaccini un consistente vantaggio. Non ci si può stupire perché quello che è accaduto è perfettamente in linea con il comportamento degli elettori da quasi un decennio ad oggi. La vittoria di Schlein è la continuazione logica degli effimeri trionfi di Renzi, poi dei 5Stelle, poi di Salvini e infine di Meloni. Di quest’ultimo non si può ancora dire che sarà effimero, ma si possono nutrire fondate speranze in proposito. L’atteggiamento di fondo è lo scontento. Scontento perché l’Italia di oggi è peggiore di quella di trent’anni fa, con molti più poveri, disuguaglianze insopportabili, servizi degradati. Soprattutto, perché allora si poteva sperare che domani sarebbe andata meglio, mentre oggi si può al massimo sperare di non essere ricacciati indietro nella scala sociale. E dunque allo scontento si unisce la sfiducia nella capacità dei partiti e di chi li guida di far migliorare la situazione, cosa che spinge una parte sempre maggiore di cittadini a non partecipare al voto. Chi ha ancora un barlume di speranza vota “per cambiare”, e quindi sceglie chi non ha ancora dato una prova negativa quando è stato alla guida. Ma la pazienza ormai è poca: come diceva quel personaggio del Corriere dei Piccoli, il Re Tamarindo: “Alla prima che mi fai – ti licenzio e te ne vai”. E avanti con un altro esperimento. Schlein è ora l’esperimento di quella parte del popolo progressista che ancora ritiene che il Pd possa prendere la guida del cambiamento. Bonaccini era prevedibile: non sarebbe stato diverso dai suoi predecessori, veniva dalla struttura di quel partito che da alcuni anni è sulla via del declino. E infatti gli iscritti – che, se hanno preso la tessera, sono evidentemente in maggioranza omogenei alla linea del Pd negli ultimi anni – avrebbero dato a lui la vittoria. A rovesciare il verdetto sono stati gli “esterni”, magari proprio quelli che a votare alle elezioni non ci andavano più. Una ulteriore prova del distacco del partito da quelli che una volta erano i suoi elettori. Ma attenzione, quello di Schlein non è un trionfo. Non tanto perché 54 a 46 non è una vittoria schiacciante, ma perché – secondo i dati provvisori – è stato raggiunto lo sperato milione di partecipanti, ma alle primarie del 2007 i partecipanti erano stati 3 milioni e mezzo. Schein ha vinto, e ora arriva la parte più difficile: deve convincere. Al momento delle sue intenzioni sappiamo poco, almeno riguardo ad alcuni temi rilevanti sui quali avevamo chiesto come la pensassero i candidati, che si sono guardati bene dal rispondere. Vari osservatori hanno rilevato che i programmi esposti dai due candidati non mostravano differenze rilevanti. Ed evidentemente per la vincitrice è stata la tattica giusta, perché spostava la scelta più sulla persona, cioè sul terreno dove fa premio la novità. Ora però la neo-segretaria dovrà combattere duramente su due fronti. Essendo il partito all’opposizione, almeno per ora il più difficile è il fronte interno: prendere in mano e domare un partito che per più di metà rimpiange Renzi e l’”agenda Draghi”, cioè quello che ha segnato il definitivo distacco da una identità di sinistra, per quanto pallida. Sempre che quella metà non decida di dare le valigie. Ma non potrà certo trascurare nemmeno il fronte esterno: ha avuto un’apertura di credito, ma, come si è detto, a perderla ci vuole poco. Per conservarla dovrà tirar fuori idee forti, e, se le riesce, tornare a parlare di un modello diverso di società che ricostruisca la speranza di cambiamento. Compiti difficili, molto. Ma o ci riesce, o sarà un’altra meteora. Carlo Clericetti
Giornalista - Collaboratore di "La Repubblica.it." Membro dell'Editorial Board di Insight. Blog: http://www.carloclericetti.it |