| claudio salone 14 marzo |
Sahra WAGENKNECHT, Die Selbstgerechten, Campus Verlag, Frankfurt/New York, 2022, p. 409 (ed.italiana, Contro la sinistra neoliberale, pref. V. Giacchè, trad. Alessandro de Lachenal, Giovanni Giri, Elisa Leonzio, Fazi Editore, 2022). Il libro risale ormai a due anni fa, ma ritengo importante riproporne qui la lettura, in vista delle elezioni europee, alle quali l’autrice si presenta candidata con il suo Bündnis (BSW, Bündnis – Vernunft und Gerechtigkeit), “Alleanza Sahra Wagenknecht” – Ragione e Giustizia), fondato appena all’inizio del 2024, ma che i sondaggi danno già al 6% di media nazionale - con una punta del 23% nel Land Sachsen-Anhalt - sopra Die Linke, ferma al 4,5% e ben oltre la liberal-democratica FDP (3%). BSW ha appena raggiunto 18.000 firme di sottoscrittori a fronte delle 4.000 necessarie per la presentazione della lista. In Italia è purtroppo ancora impossibile votare BSW, perché, come ha detto giustamente Lucio Caracciolo, le elezioni europee oggi servono solo a misurare i rapporti di forza interni ai partiti e alle coalizioni nazionali. Una sorta di mega sondaggio costosissimo (non per niente esperito con un sistema proporzionale puro). Così il PE fa e disfa maggioranze e legifera senza che le opinioni pubbliche dei singoli stati possano esercitare un effettivo controllo democratico, lasciando di conseguenza campo libero alle lobbies. Chi è che in Italia conosce i nomi dei commissari europei lettoni o estoni, che pure concorrono a determinare le nostre politiche nazionali? Né esiste da noi una formazione di sinistra apparentabile al BSW. Facendo un parallelo tra Italia e Germania, il PD occupa lo spazio politico della SPD, l’AVS corrisponde grosso modo ai Grüne e alla Linke tedesche, mentre la sinistra calendiana di “Azione” insiste in buona parte con l’area della Lifestyle Linke che è il bersaglio principale del libro della Wagenknecht. Resta il M5S, la cui collocazione non trova dei confini precisi, funzionando ancora da “vasca di laminazione” delle piene di malcontento. Ed è forse qui, in questo bacino magmatico che potrebbe innestarsi un movimento politico analogo al BSW, capace di dare senso e obiettivi a una forza che voglia coltivare una prospettiva progressista con solide fondamenta culturali. Nata nella DDR nel 1969, filosofa ed economista, Sahra Wagenknecht ha militato nella Freie Deutsche Jugend, l’organizzazione giovanile della SED. Esponente di spicco della Linke, ne è fuoriuscita per evidenti dissensi sulla linea politica. Il libro, il cui titolo tedesco “Die Selbstgerechten” è stato tradotto nell’edizione italiana con una perifrasi, “Contro la sinistra neoliberale” e che invece personalmente tradurrei “I compiaciuti” (naturalmente di sé), sviluppa un’ampia riflessione sul ruolo che assumono oggi le forze politiche che si definiscono “neoliberali di sinistra”. Un episodio narrato quasi all’inizio del testo riflette icasticamente il cuore della questione: ad agosto del 2020 la Knorr annunciò che la classica Zigeuner Sauce (“salsa alla zingara”)per evidenti motivi di correttezza politica, si sarebbe chiamata Paprikasauce Hungarische Art (“salsa alla paprika alla maniera ungherese”). Grande vittoria dei progressisti woke. Peccato che nel contempo ai 550 dipendenti dello stabilimento Knorr di Heilbronn venissero imposte condizioni di lavoro ben peggiori delle precedenti (sabato lavorativo, diminuzione del salario iniziale e blocco degli aumenti). Ecco dunque all’opera quella che nel libro viene definita la “Lifestyle Linke” di cui si diceva poc’anzi, quella sinistra “gentrificata”, che non si spende più per la coesione sociale (Zusammenhalt), per il recupero del senso di una comune appartenenza (Gemeinsinn), per la riaffermazione del ruolo centrale dello Stato nazionale in settori-chiave quali, ad esempio, la sanità e la casa, ma che si è ritirata nei suoi ben muniti fortilizi urbani (la “sinistra ZTL”, si direbbe in Italia) e ha finito per essere in buona sostanza il partito degli Akademiker, come li chiama l’autrice, dei ceti garantiti, concentrata sul fronte delle libertà individuali, del cosmopolitismo, dei diritti civili, delle gender theories, più sulla difesa delle diversities che non sulle questioni fondamentali della giustizia sociale e della lotta alle diseguaglianze. Un tale atteggiamento ha lasciato campo libero alle destre “incolte”, populiste e nazionaliste, in crescita in tutta Europa (vedi da ultimo il Portogallo) non tanto per le soluzioni concrete che propongono quanto per la capacità che hanno di offrire un principium individuationis alle masse sempre più consistenti di poveri ed emarginati e spesso anche ai ceti piccoli e medi, che temono per il proprio futuro e si sentono minacciati di retrocessione nella scala sociale a causa degli sviluppi incontrollati della globalizzazione. Wagenknecht rivolge altresì critiche pungenti, ad esempio, ai protagonisti “apocalittici” dei Fridays for Future, che si mostrano affatto insensibili ai temi economico-sociali della transizione, ai Grüne, dogmatici detentori di un astratto “bene” del pianeta, ma soprattutto alla neo-socialdemocrazia alla Schröder che, con la sua “Agenda 2010” e lo Harz IV, ha smantellato lo stato sociale e precarizzato milioni di lavoratori. Eppure è davanti agli occhi di tutti il fatto che “le magnifiche sorti e progressive” della globalizzazione successiva alla deflagrazione del blocco sovietico si sono rivelate ben altre rispetto all’ ottimistica “fine della storia” e al trionfo planetario della libertà e della giustizia. Dopo poco più di una generazione non possiamo che constatare la scomparsa della politica, fagocitata da un’economia liberista senza più freni, la nascita di enormi e incontrollate potenze sovrastatuali e la crescita stratosferica delle diseguaglianze. In Italia, ad esempio, dove i salari sono fermi dal 1991, il 5% della popolazione detiene il 46% della ricchezza totale; quarant’anni fa il rapporto tra salario operaio e retribuzione da dirigente era di 1: 45; nel 2020 il rapporto è passato a 1: 649. Il Gegenentwurf (“controproposta”) di Wagenknecht è quella di una sinistra che riprenda a fare il suo mestiere, che torni in primis a parlare di lavoro e di Welfare e che riconquisti la rappresentanza dei ceti più deboli, degli operai e dei lavoratori dipendenti, come pure del capitale d’impresa, oggi gravemente minacciato da un liberismo sfrenato e dai processi incontrollati di finanziarizzazione economica, nonché dall’estendersi dei monopoli globali (i Big Five, almeno due dei quali, Apple e Microsoft, hanno un bilancio molto superiore a quello dell’Italia). Si parla spesso della nostra come di una “società aperta”, ma se è vero che sono crollate le mura delle vecchie poleis, è altrettanto vero che sono aumentate a dismisura le pareti interne, con la conseguente perdita del Gemeinsinn di cui parla l’autrice nel sottotitolo del libro. I diversi strati sociali non si “frequentano” più, l’alto incontra il basso solo quando se ne serve per attività sussidiarie e di basso profilo (consegna di pacchi e cibi, assistenza alla persona). È in atto inoltre un fenomeno di feudalizzazione dei rapporti sociali, in cui le famiglie di appartenenza determinano sempre più il futuro dei figli. Né va trascurato il fenomeno esteso a tutta l’area OCDE del cosiddetto lavoro povero: gli occupati aumentano di numero, ma la disponibilità di risorse diminuisce. Take back control è il titolo di un paragrafo del libro (p. 295), lo slogan vittorioso della Brexit. Accusata di aver fondato una sorta di AfD di sinistra, l’autrice sottolinea la necessità di reimpossessarsi del controllo democratico delle decisioni europee, oggi lasciate alle élites burocratiche brussellesi e alle lobbies degli shareholder e di conseguenza di difendere le specificità nazionali. Da qui la sua visione di una futura unione politica europea in un quadro non già federale (un unico grande superstato europeo), ma confederale, che, all’interno della futura entità statuale europea salvaguardi la fisionomia storico-politica dei singoli paesi, poiché gli stati nazionali sono gli unici in grado di produrre politiche autenticamente sociali. Estranea al mainstream, Wagenknecht affronta lucidamente temi scottanti come quello legato all’immigrazione, che rischia di minare la coesione sociale e di fronte ai quali la Lifestyle Linke degli Akademiker tende ad assumere atteggiamenti neo-illuministi e moraleggianti, trascurandone l’impatto che si riverbera soprattutto sui ceti meno favoriti delle singole comunità nazionali europee. L’alternativa, secondo l’autrice, è la mera sopravvivenza di una sinistra fortemente minoritaria, foglia di fico delle vergogne di un liberismo selvaggio e distruttivo. |