Occupazione senza crescita
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Il 2025 si prospetta come un altro anno di galleggiamento, non diversamente dal 2024, che nelle stime del governo doveva vedere una crescita doppia del Pil. I dati sull’occupazione relativi a ottobre 2024 indicano un aumento degli occupati rispetto a settembre, mese che aveva interrotto provvisoriamente una tendenza positiva in corso da tempo. Più in generale, il trend dell’occupazione dopo il Covid è risultato, salvo qualche sporadica battuta d’arresto, in costante aumento. Dopo aver toccato il punto di minimo, con 22 milioni di occupati a giugno 2020, l’occupazione è infatti progressivamente risalita superando ampiamente i 23 milioni del periodo pre-pandemico e attestandosi infine, da quattro mesi, poco sopra i 24 milioni. E’ un risultato indubbiamente importante, che però non ha trovato una piena corrispondenza con la crescita del Pil. In particolare, come mostra la tabella seguente, nell’ultimo biennio, 2023-2024, l’aumento delle unità di lavoro ha ampiamente superato quello del Pil, con conseguenze negative sulla produttività. Previsioni per l’economia italiana (variazioni %) 2022 2023 2024 2025 Prodotto interno lordo 4,7 0,7 0,5 0,8 Unità di lavoro 3,7 2,3 1,2 0,8 Tasso di disoccupazione* 8,1 7,7 6,5 6,2 Retribuzioni lorde per ula 2,3 2,4 2,6 2,6 *punti percentuali Fonte: Istat, dicembre 2024 A cosa è imputabile questo disallineamento? Innanzitutto, occorre dire che l’Italia ha sempre avuto tassi di attività e tassi di occupazione inferiori alla media europea e quindi lo spazio di crescita, sotto questo punto di vista, era e continua ad essere ampio. Facendo il confronto con il periodo pre-Covid, a fine 2019 il tasso di attività (forze di lavoro in rapporto alla popolazione di riferimento) era pari al 65,5% e ora siamo neanche un punto sopra (66,4%). Più significativo invece l’incremento del tasso di occupazione (occupati in rapporto alla popolazione di riferimento), passato nello stesso arco temporale dal 59% al 62,5%. Fattori più specifici dell’aumento occupazionale avvenuto negli ultimi tre anni vanno ricercati:
Specialmente nei settori tecnologicamente più avanzati, da un lato si accelera l’upgrading delle competenze attraverso l’assunzione di personale qualificato, dall’altro si tende a trattenere anche in periodi di crisi la forza lavoro più competente per evitare di andare a cercare nelle fasi di espansione personale specializzato di non facile reperimento a costi di reclutamento crescenti (fenomeno del labour hoarding) .Il disallineamento tra occupazione e crescita pare però destinato a rientrare. Lo indica chiaramente l’Istat che prevede nel 2025 un aumento dello 0,8% sia del Pil sia delle unità di lavoro, sottolineando come le prospettive dell’occupazione siano in peggioramento a partire dal secondo semestre 2024 in quasi tutti i comparti. Si rientrerebbe così nella normalità, con la necessità per il prossimo e gli anni successivi di spingere sulla crescita se si vuole aumentare l’occupazione. La diminuzione del tasso di disoccupazione, in corso da tre anni, rallenterebbe, ma in media annua continuerebbe anche nel 2025, posizionandosi al 6,2%, quasi due punti in meno rispetto al 2022. La dinamica delle retribuzioni lorde per ula, in leggero aumento nel 2024 rispetto ai due anni precedenti, non cambierebbe nel 2025. Il rallentamento della dinamica occupazionale è confermato anche, come osserva il Ref, dalla riduzione congiunturale delle ore lavorate per occupato nel secondo e terzo trimestre dell’anno, che indicherebbe un raffreddamento della domanda di lavoro, con un minore ricorso allo straordinario e un aumento della cassa integrazione nell’industria. Anche le più recenti indagini congiunturali evidenziano attese di decelerazione dell’occupazione da parte delle imprese e di peggioramento della disoccupazione da parte delle famiglie. Sulla base delle previsioni correnti il 2025 si prospetta come un altro anno di galleggiamento, non diversamente dal 2024, che nelle stime del governo doveva vedere una crescita doppia del Pil. Nell’occupazione è probabile che assisteremo a dinamiche molto diverse fra i servizi e l’industria. I primi, specialmente quelli legati al commercio, alla ristorazione e al turismo, dovrebbero continuare il trend positivo degli anni post-Covid e crescere moderatamente, con ricadute positive sul mondo del lavoro. Molto difficile si prospetta invece la situazione dell’industria manifatturiera - dall’automotive al sistema moda passando per la meccanica – con aspettative di maggiore cassa integrazione e licenziamenti. La stessa previsione dell’Istat rischia di rivelarsi troppo ottimistica. Il problema non può essere ignorato né dal governo Meloni, che continua a glorificarsi degli 847.000 posti di lavoro creati negli ultimi due anni, né dalla Commissione europea. Attilio Pasetto
Economics analist |