Non era uno sciopero politico[, pp. 1 e 8]
di Mario Rusciano Certamente a star male, tra gl’italiani, sono i lavoratori dipendenti, i cassintegrati, i precari, i pensionati dei ceti medio-bassi. Ancora peggio stanno i “poveri assoluti”, i disoccupati e i lavoratori in nero, i lavoratori neri. Accantonati gli slogan propagandistici della destra sulle misure “eccezionali” del Governo per i disagiati – “mai viste prima”: dice Meloni – risulta che esse sono il classico “piatto di lenticchie”, che non modifica la condizione di questi soggetti ormai stremati. Il sindacato che li rappresenta risponde con slogan – forse talvolta eccessivi o sgradevoli – frutto dell’esasperazione. Legata al rifiuto del Governo di almeno “ascoltarlo” per discuterne, non solo “informarlo” all’ultimo momento e a cose fatte. Il “dialogo sociale” auspicato dall’UE è un sogno! Alla fine, la maggioranza del sindacalismo confederale ha fatto ricorso allo “sciopero generale”. Che ha mobilitato mezzo milione di lavoratori e lavoratrici: da Torino (con intrusione di antagonisti guastafesta) a Bologna a Napoli. Esclusi dallo sciopero le ferrovie per evitare troppi disagi alla collettività già provata da altri scioperi e da quotidiane disfunzioni del servizio. Salvini continua a negarle e, in compenso, “precetta” riducendo lo sciopero d’alcune categorie. Atteggiamento tipico della destra: reprimere, non prevenire. Ma gli scioperi si potrebbero evitare se solo il Governo riconoscesse l’esigenza del confronto sociale, della contrattazione collettiva (pubblica e privata), degli aumenti salariali, della sicurezza del lavoro. Il Governo dice d’aver fatto cose eccezionali per i ceti più deboli, laddove è modesta la riduzione del cuneo fiscale e dell’Irpef; sono limitati i “bonus natalizi”. Insomma la realtà dice tutt’altro com’è sott’occhio. E’ forse un’invenzione che davanti ai Centri assistenziali (laici e cattolici) aumentano le persone che chiedono da mangiare? E’ un’invenzione che, a causa dello sfascio della sanità pubblica – specie al Sud – aumentano le rinunzie a curarsi? E’ un’invenzione l’aumento dei giovani migliori che scappano dall’Italia, insoddisfatti del lavoro? In effetti ad accorgersene, prima del Governo e della maggioranza, saranno gl’imprenditori (e le amministrazioni per gl’impiegati pubblici) di fronte ai probabili “micro-conflitti” che s’accenderanno. Perché la controparte contrattuale dei lavoratori sono i datori di lavoro, verso cui i dipendenti rivendicheranno aumenti salariali, più sicurezza, meno precarietà. E a chi altri potrebbero rivolgersi? Certo lo “sciopero economico-contrattuale” ha per bersaglio il datore di lavoro (pubblico o privato), mentre lo “sciopero generale” di solito ha per bersaglio anzitutto il Governo. Le cui politiche economiche, fiscali, industriali e del lavoro appaiono sbagliate, insufficienti o financo contrarie agl’interessi di chi lavora. Interessi che non mutano secondo il bersaglio: sono sempre gli stessi interessi che hanno per così dire i “vasi comunicanti”. L’esercizio del “diritto di sciopero generale”, nel rispetto delle regole, è allora lo “strumento costituzionale” per incanalare la rabbia dei lavoratori verso obiettivi di fondo gestiti dal Governo, non dai datori di lavoro. Logicamente, se il Governo non finanzia doverosamente i servizi essenziali – sanità, scuola, trasporti, asili-nido ecc. – questi non funzioneranno e i lavoratori dovranno sottrarre al salario i soldi per procurarseli privatamente. Chiederanno perciò ai datori di lavoro aumenti salariali, specie in periodi d’inflazione. Ma intanto gl’imprenditori, stranamente, tacciono anziché schierarsi, almeno in questo, al fianco dei lavoratori. Priva di senso comunque è l’accusa della destra al sindacato di fare uno “sciopero politico” se le decisioni governative colpiscono appunto chi sta peggio. Lo spirito della Costituzione (anche materiale) e la realtà storico-politica del Paese spiegano le naturali interconnessioni tra “azione sindacale” e “azione politica”: distinte e autonome, ma all’occorrenza convergenti. Del resto anche Sbarra, Segretario CISL, partecipava alla manifestazione d’una forza di destra. Nessuno pretende che il Governo accolga supinamente le richieste sindacali, ci mancherebbe. Strano però che non voglia neppure discuterle – forse nel timore di trovarle fondate – preferendo ignorare la rappresentanza sociale. Vuole anzi dividerla non sapendo che può essere un boomerang. Perciò anche un Governo di destra dovrebbe capire qualche verità elementare. In un Paese industriale avanzato, il buon andamento dell’economia e l’aumento della produttività dipendono soprattutto dall’apporto dei milioni di lavoratori, che andrebbero motivati, non mortificati. Inoltre il sindacato è un “corpo intermedio” essenziale, specie se critico. Venendo meno, il malcontento dei lavoratori s’accumula in aggregazioni spontanee per poi esplodere nelle piazze senza controllo. Perché la “rivolta sociale” viene dai lavoratori, non dal sindacato che ne è il sismografo. Che al Governo non interessi la coesione sociale l’avevamo capito. Ma davvero preferisce lo scontro poliziesco alla protesta ordinata? Editoriale Corriere del Mezzogiorno, domenica 1 dicembre 2024 Mario Rusciano
Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II. |