Nomine nel settore pubblico tra familismo e amichettismo
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Meloni sta affermando un “premierato” ante litteram, pur essendo tuttora solamente “prima inter pares” nel Consiglio dei Ministri. Una classe dirigente competente e autorevole – non solo nelle istituzioni pubbliche – non può essere selezionata secondo criteri stravaganti come il “familismo” o il cosiddetto “amichettismo”: neologismo, questo, coniato dalla Presidente Meloni. Che li ha già usati in alcune recenti nomine rivendicando la preminenza del suo ruolo. Ha detto che ora è lei a “dare le carte”, avendo finalmente imbracciato lo scettro del comando. Insomma Meloni sta affermando un “premierato” ante litteram, pur essendo tuttora solamente “prima inter pares” nel Consiglio dei Ministri (art. 92/1 Cost.). E tale sarà almeno finché non riuscirà a sovvertire l’impianto istituzionale dello Stato. Per adesso l’Italia rimane una democrazia parlamentare retta dalla Costituzione del 1948 su cui ella ha giurato nell’ottobre del 2022. Quindi le occorre cautela nell’uso dei criteri stravaganti di cui sopra. Gli stessi Ministri giurano fedeltà alla Repubblica, non al Presidente del Consiglio. A prescindere dalla sacralità dei concetti, “famiglia” e “amicizia” impediscono sempre valutazioni serie e imparziali di capacità, competenze e meriti di chi si candida a occupare un posto, specie “di comando”. Non solo nel senso strettamente burocratico ma in quello ampio di classe dirigente (intellettuale; accademica; culturale; artistica). A bocciare presenze familistiche o amichettistiche, ma incapaci e incompetenti, ci sono, secondo i casi, vari anticorpi. Come, per le imprese, l’ardua competizione nel mercato, ormai globale. O il non-gradimento degli aderenti ad associazioni dagli scopi più disparati. O, per altre istituzioni (culturali, artistiche, musicali), l’insuccesso presso utenti e acquirenti. Così, se in televisione un certo programma non raggiunge un buon livello di share, si cancella. Se sui giornali scrivono giornalisti mediocri si perdono lettori sovvenzioni e pubblicità. Se un teatro offre spettacoli non attraenti, perde abbonati e spettatori. E via di questo passo. Perciò i politici, pur cercando d’ingerirsi in imprese e altre istituzioni private, ci riescono a fatica e tra mille polemiche, anzi farebbero bene a starne alla larga. Persino la TV pubblica, un tempo considerata la maggiore agenzia culturale del Paese – sicché ogni governo se ne vuole subito impossessare – deve comunque competere con TV private nell’acquisizione di talenti e personaggi di successo. Tutt’altro discorso richiede l’ampia area pubblica. Qui, mancando anticorpi naturali, funzionano gli argini costituzionali, in particolare gli artt. 97 e 98 della Carta. L’art. 97 stabilisce che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” (comma 2). E che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso…” (comma 4). L’art. 98 poi impone agl’impiegati pubblici d’essere “al servizio esclusivo della Nazione” (comma 1); impedisce le promozioni dei membri del Parlamento se non per anzianità (comma 2); prevede persino eventuali “limitazioni a iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero” (comma 3). Chiude il cerchio il 2° comma dell’art. 54: “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. E giurano fedeltà alla Repubblica, non a un Governo. Dall’insieme di queste disposizioni – che fanno “sistema” – traspare lo “spirito costituzionale”, sintetizzabile nel principio per cui la dirigenza pubblica dipende funzionalmente dal Governo senza esserne subalterno. E’ al servizio dello Stato dopo la selezione coi criteri dell’imparzialità e del merito. Perciò la Corte costituzionale ha censurato le forme più estreme di spoil system (sentenze n. 103 e n. 104 del 2007) riducendo al minimo il carattere fiduciario delle nomine pubbliche da parte dei politici con ruoli istituzionali. La “fedeltà faziosa”, in sostanza, è incostituzionale. Sono banditi familismo e amichettismo, purtroppo sempre in voga nel costume italiano, poco accorto all’etica pubblica e talvolta addirittura all’estetica. Mario Rusciano
Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II. |