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Il lungo viaggio da Schuman alla crisi del coronavirus.
Settant'anni fa - era la primavera del 1950 - quando Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, annunciò il progetto di una nuova Europa. Il primo passo fu la costruzione della CECA- la Comunità europea del carbone e dell’acciaio - che ha preso forma nel 1951, dando inizio al percorso che avrebbe portato all'Unione Europea e all'Eurozona come le conosciamo oggi, un percorso non sempre facile, ma comunque inarrestabile. Non a caso Schuman è stato protagonista di un cambiamento radicale nella storia europea.
La sua storia personale non sarebbe potuta essere così straordinariamente intrecciata tra due mondi contigui e conflittuali, come lo erano stati Francia e Germania. Era nato da padre francese e madre lussemburghese. Frequentò le migliori università tedesche dell'epoca: Berlino, Monaco, Bonn e, infine, Strasburgo. E aveva iniziato la sua carriera come giovane avvocato a Metz in Lorena, una regione che era stata per molti secoli parte della Francia prima che il Reich tedesco occupasse l'Alsazia - Lorena dopo la guerra franco-prussiana del 1870-1871.
La costruzione della nuova Europa - da Schuman a Monnet.
Schuman, che era nato in una regione con una lunga storia francese, ma in gran parte di lingua tedesca - avrebbe potuto continuare la sua professione legale e assumere un ruolo politico importante nel Reich tedesco. Ma la sua biografia ebbe una svolta decisiva. Schuman ha vissuto nel contesto culturale e politico tedesco fino alla fine della prima guerra mondiale, quando aveva più di trenta anni. Una volta terminata la guerra, l'Alsazia - Lorena divenne di nuovo una regione francese e Schuman iniziò una nuova carriera come politico francese.
Circa venticinque anni dopo, con la Francia liberata dal nazismo, fu eletto al parlamento francese e per un breve periodo fu primo ministro. Ma la sua fama è legata alla promozione nella primavera del 1950 della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA), primo passo verso la futura Comunità Economica Europea. L'obiettivo principale era l'inaugurazione di una nuova relazione tra Francia e Germania. Un traguardo coerente con la sua passata esperienza di doppia cittadinanza, prima tedesca e poi francese. La nuova Comunità comprendeva oltre alla Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Un successo per Schuman e, per la Francia - era il primo passo verso la nuova configurazione dell'Europa.
Nel corso di questo processo Schuman ebbe al suo fianco Jean Monnet, un protagonista d’eccezione nell’edificazione della nuova Europa. Monnet era stato responsabile del piano economico nazionale nella Francia del dopoguerra. Aveva una vasta esperienza internazionale. Dopo la prima guerra mondiale, era stato membro della Società delle Nazioni. Aveva poi vissuto negli Stati Uniti e viaggiato in un gran numero di paesi come esperto della programmazione economica. Tornato negli Stati Uniti nel 1940, godeva ormai di un grande prestigio, divenendo consigliere di Roosevelt e Churchill nel processo che portò alla Carta Atlantica nel 1941, e alla discesa in guerra degli Stati Uniti.
L’esperienza negli Stati Uniti lo segnò profondamente. Era il 1943, la guerra era ancora in corso, quando Monnet iniziò a delineare il progetto di unificazione europea che in futuro avrebbe dovuto portare agli Stati Uniti d'Europa.
Non stupisce che Schuman lo abbia nominato presidente della nuova istituzione, la CECA, che associava alla Francia, oltre alla Germania, l’Italia (guidata da De Gasperi), l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo. Era per Monnet il primo passo verso il più ambizioso progetto europeo. Ma nel 1953 il Parlamento francese pose un freno al processo. Monnet si dimise dalla presidenza della CECA e nel 1955 promosse il Comitato d'Azione per gli Stati Uniti d'Europa. Poi, nell'estate del 1957 il primo passo verso l’ambizioso traguardo europeo fu compiuto con l'inaugurazione della Comunità Economica Europea (CEE), di cui Schuman e Monnet furono giustamente considerati i principali artefici.
Gli anni travagliati della Francia
Il passaggio alla Comunità economica europea non fu tuttavia né facile, né scontato, come può apparire a un primo sguardo retrospettivo. Tra il 1950, anno in cui prese forma il progetto Schuman, che promuoveva la nascita della CECA, e il 1957 quando prese forma la Comunità Economica Europea, la Francia attraversò la fase più difficile della storia del dopoguerra. I governi cadevano come birilli con una durata media di pochi mesi, raggiungendo raramente un anno di governo. Un paese sconvolto prima dalla guerra in Indocina e poi dell'inizio della guerra d'indipendenza algerina.
Non è difficile cogliere l’asimmetria tra la promozione del progetto europeo e un paese lacerato dalla frammentazione politica e dalle guerre coloniali destinate a essere perdute. E non è un caso che la Quarta Repubblica sia caduta dopo una breve vita di circa un decennio. L'ironia della storia è che mentre Monnet coltivava l'idea di un futuro in grado di trascendere gli Stati-nazione, la Francia - il più tipico degli Stati-nazione - stava attraversando la più grave crisi del dopo-guerra.
Quando la guerra contro il movimento di liberazione algerino si mostrò irrisolvibile, i militari accusarono il governo di Parigi d’inettitudine. Massu, il generale che guidava l'esercito francese, minacciò di marciare su Parigi e di insediare un governo militare. La Quarta repubblica era in agonia. Il capo dell’ennesimo governo, Pierre Pflimlin, si dimise e la Francia si appellò, come ultima chance, a Charles de Gaulle.
Charles de Gaulle e la Quinta Repubblica
Il generale de Gaulle, dopo essere stato capo del governo provvisorio tra il 1944 e il 1946, era vissuto in disparte, sebbene conservasse la carica di capo del Rassemblement du Peuple Français (RPF). Ora, nel mezzo della peggiore crisi politica del dopoguerra, è chiamato a sedare la rivolta dell'esercito e ad aprire una nuova prospettiva per un paese in gravi difficoltà.
Ha dalla sua parte solo il suo carisma. Nel discorso inaugurale come capo del governo, promette, per disinnescare la mina della rivolta militare, di assumersi il compito di risolvere il conflitto in Algeria. Non dice come - probabilmente perché nemmeno lui sa come - ma l'impegno del vecchio capo della Resistenza appare credibile. In effetti, si rivelò un compito arduo. Ci vollero ancora alcuni anni prima che Ben Bella, il leader dell'insurrezione algerina, fosse rilasciato da una prigione francese, e nel 1962 ritornasse trionfante ad Algeri.
Al di là della tragedia algerina, De Gaulle aveva in mente, sin dall’inizio del suo nuovo mandato, un’idea certamente ambiziosa sul ruolo della Francia in Europa, e dell'Europa nel mondo. Un'Europa che doveva innanzitutto sottrarsi al ruolo imperiale assunto dagli Stati Uniti dopo la fine della seconda guerra mondiale. D'altra parte, la Germania non era più quella dei tempi di Schuman. Mentre la Francia era impegnata in guerre coloniali, la Germania era stata ed era un paese con una forte crescita economica. Se la Francia doveva giocare un ruolo primario in Europa, non poteva ignorare la necessità di una nuova fase del rapporto con la Germania.
È in questo quadro della strategia per il futuro dell'Europa che, pochi mesi dopo l'insediamento alla guida del governo, nel settembre 1958, De Gaulle invita Konrad Adenauer per un incontro in Francia. Non è la prima volta che il Cancelliere si reca in Francia. Ma questa volta sarebbe stato diverso. De Gaulle incontra il cancelliere non a Matignon, la sede ufficiale del governo a Parigi, ma nella propria residenza privata a Colombey les Deux Églises.
L'incontro apre una nuova fase nella storia europea. Entrambi sono consapevoli della necessità di una svolta nelle relazioni tra Francia e Germania. Per de Gaulle la partnership franco-tedesca deve cambiare il profilo dell'Europa, rafforzandola economicamente e assegnandole un ruolo di autonomia e di contrappeso all'egemonia statunitense.
Ma questo disegno tipico della “grandeur” francese non implica il superamento degli Stati-nazione, ma la loro piena cooperazione nel quadro di una politica europea che mira a contrapporsi alla sfida americana.
Adenauer, affascinato dalla personalità di de Gaulle, intravvede un passaggio storico definitivo che può cancellare le tracce di conflitti e sfiducia, che hanno caratterizzato nel corso della storia i rapporti tra i due paesi. L'incontro di Colombey segna un passaggio nella storia della Comunità – passaggio che sarà formalizzato nel 1963 con il Trattato dell'Eliseo. Un passaggio destinato a caratterizzare il decennio di de Gaulle alla guida della Francia, e la posizione della Francia nella Comunità Europea.
La nascita dell'euro
La Francia post-gollista è alle prese con un quadro imprevisto che avvia un cambiamento di scenario. La comunità europea subisce i contraccolpi della crisi economica provocata dalla liquidazione del sistema monetario basato sul dollaro. Nixon ha, infatti, posto fine nel 1971 al dollar standard, il sistema monetario basato sulla convertibilità del dollaro in oro sulla base del rapporto che equipara un’oncia d’oro a 35 dollari. L’Europa stenta a trovare un nuovo equilibrio nei cambi, e la CEE si divide all’interno con diversi livelli di crescita, fasi di recessione e aumento della disoccupazione. Il franco francese e la lira italiana sono in diversi gradi colpiti dal disordine monetario e dell’aumento dei tassi d’interesse. Il vecchio sistema monetario, risalente agli accordi di Bretton Woods verso la fine della seconda guerra mondiale, è dissolto.
Quando François Mitterrand sale all'Eliseo all'inizio degli anni Ottanta, la Francia è in difficoltà, mentre la Germania ha fronteggiato con successo la crisi monetaria, confermando la stabilità del marco. Dopo il fallito tentativo di rilanciare la crescita in Francia, e di fronte al rischio di un approfondimento del divario tra franco e marco, Mitterrand e Delors, ministro delle finanze, promuovono un nuovo passo fondamentale nella politica europea: un cambiamento radicale nell’assetto economico della CEE destinato a sfociare, alla fine del decennio, nella proposta di una moneta unica, secondo il disegno messo a punto dal comitato speciale guidato da Delors.
Per la Francia si tratta di un successo che consente il rilancio del partenariato franco-tedesco. La nuova moneta sarà una valuta di riferimento mondiale e scongiurerà la minaccia permanente dello squilibrio tra la stabilità e l'affidabilità del marco e la variabilità del franco e delle altre valute comunitarie. La nuova valuta europea non sarà più sottoposta alle fluttuazioni del dollaro che hanno segnato l’ultimo ventennio della Comunità Economica Europea. E’ un disegno mirato a liquidare gli squilibri che caratterizzano l’unificazione monetaria. E’ un disegno che potrebbe rivelarsi velleitario, ma è forgiato nel quadro di ottimismo che ha caratterizzato la seconda parte del decennio.
Ma qualcosa succede improvvisamente, nel giro di poche settimane, che muta radicalmente lo scenario storico dell'Europa del dopo-guerra. Gorbaciov decide di abbandonare la Germania dell'Est aprendo la strada a una nuova fase nella storia della Germania e dell'Europa. Gli equilibri interni al continente mutano profondamente Per la Germania, ricollocata al centro dell’Europa, si apre un nuovo capitolo della storia nazionale. In effetti, si tratta di un rovesciamento della storia del secondo dopo-guerra. Come scriverà lo storico inglese Eric Hobsbawm nel celebre saggio “Il secolo breve”, con la fine dell'URSS finisce in anticipo anche il ventesimo secolo.
C’era un rimedio? In effetti, nessuno, nel senso che la marcia della storia non poteva essere arrestata. Mitterrand non poté trattenere il suo disappunto. Al contrario, per Helmut Kohl la storia apriva le porte a un nuovo futuro per la Germania e per l’Europa, spazzando via le scorie del passato. E le porte del futuro andavano spalancate senza interporre ostacoli e temporeggiamenti. Kohl fece una mossa semplice e incontrastabile per la sua stessa definitività: annunciò, prima ancora che la polvere della caduta del Muro di Berlino si depositasse, l’unificazione della Germania.
Cambiava la geografia politica insieme con la chiusura di un lungo e drammatico capitolo della storia europea. Kohl ne era consapevole, e non aveva nessuna intenzione di sacrificare sull’altare della nuova Germania il rapporto di amicizia con la Francia. Colse il problema che si apriva per la Francia, non più potenza all’origine dell’Unione europea, ma improvvisamente riposizionata, con la liberazione dei paesi dell’Europa centro-orientale, al margine della nuova configurazione continentale.
Bisognava offrire a Mitterrand l’unica soluzione possibile: il passaggio alla moneta unica in un contesto nel quale i due paesi avrebbero avuto un ruolo paritario. Nell’ambito di un’Unione europea dotata di una moneta unica e di istituzioni super-partes i rapporti di egemonia scolorivano. O se si fossero riproposti, la partnership franco-tedesca, si sarebbe definitivamente collocata al vertice della nuova Europa. Per Kohl non potevano esservi dubbi: l'unificazione tedesca valeva il sacrificio del vecchio glorioso marco.
Rimaneva un aspetto non secondario: bisognava accelerare il compimento del processo. Come un matrimonio che deve essere celebrato per non lasciare campo alle riserve possibili delle famiglie e soprattutto a una delle due. Non era un segreto, infatti, che in Germania, per ragioni diverse, l’unificazione immediata appariva un’operazione azzardata, senza solide basi, dopo una pluridecennale separazione durante la quale i modelli economici e sociali erano profondamente mutati.
Se in Germania si manifestavano dubbi da parte di politici e intellettuali, per la Francia il processo messo in atto da Kohl era inarrestabile. Mitterrand fece buon viso a cattivo gioco. L’egemonia francese sul processo comunitario era, in effetti, finita col rovesciamento della storia continentale e l’apertura di una nuova era. Ma la partnership franco-tedesca sopravviveva o, quantomeno, mascherava la radicalità della metamorfosi. Con l’abile sostegno di Delors, in un tempo che più celere non poteva essere, alla fine del 1991, fu segnato il passaggio alla nuova fase della Comunità europea che sarebbe diventata l’Unione europea. E, con una traversata da compier nell’ambito dello stesso decennio, sarebbe stato attuato il rapido passaggio all’unione economica e monetaria.
Così, il “secolo breve” si avviava alla chiusura con un cambiamento radicale nella storia dell'Europa dopo le ferite della seconda guerra mondiale.
Il secolo della crisi
Il nuovo secolo si apre all’insegna dell’euro. Mentre il decennio è terminato con la crescita della zona euro, lo scenario in pochi mesi è cambiato radicalmente. Il cambiamento ha, in effetti, una dimensione globale in seguito al crollo dell’economia americana, che entra in una fase di stagnazione. Allo stesso tempo, Gerard Schroeder, il nuovo cancelliere tedesco succeduto a Kohl, avvia un processo di deflazione e di riforme che alimenta una fase di recessione e stagnazione nell'eurozona appena formatasi.
In questi casi, la combinazione di manovre monetarie e fiscali diventa uno strumento chiave. Ma il passaggio alla moneta unica ovviamente impedisce una manovra monetaria nei paesi colpiti dalla recessione. E la politica fiscale è vincolata ai parametri di Maastricht fissati nel decennio precedente. In altre parole, la nuova zona euro non può adottare la politica attuata da Greenspan negli Stati Uniti con l'abbassamento dei tassi d’interesse vicino allo zero e la svalutazione del dollaro. Una manovra che porterà alla ripresa dell’economia americana a metà del 2003, e allo sviluppo successivo.
In breve, la politica deflazionistica di Schroeder, volta a ripristinare lo squilibrio di bilancio tedesco dovuto alle spese per sostenere la riunificazione con l’ex Germania orientale, colpisce l'Eurozona ancora allo stato nascente.
Inizia così il nuovo decennio della zona euro in condizioni tutt'altro che ideali. Sappiamo, tuttavia, che l'economia dell'eurozona si stava dirigendo verso una confortante ripresa a metà del decennio. Ma è un conforto che non dura a lungo. Tra il 2008 e il 2009, in seguito alla crisi finanziaria americana, anche la zona euro è colpita dalla crisi. Tutti i paesi, inclusa la Germania, hanno avvertito il crollo della crescita e l'enorme aumento della disoccupazione. Tuttavia, nel pieno della crisi che, per la sua gravità, è stata paragonata a quella dei primi anni Trenta, l'obiettivo della politica economica è diventato la ripresa della crescita e la lotta alla disoccupazione di massa. Questa linea è seguita con un certo successo nell’eurozona (Grecia esclusa) tra il 2010 e l'inizio del 2011.
Secondo la diagnosi di Mario Draghi nel suo ultimo rapporto come governatore della Banca d'Italia a fine maggio 2011, l'Italia aveva subito danni inevitabili durante la crisi, ma non insostenibili: una diagnosi prudente ma non allarmistica. Ma nel giro di poche settimane il quadro si capovolge. Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea, appoggiato dalla Germania, dopo avere già adottato, al contrario degli stati Uniti, una politica monetaria deflazionistica, impone una politica economica ai paesi dell’eurozona diretta a ridurre il deficit e il debito pubblico accumulati nel corso della crisi del 2008-09. È il modo per approfondire le difficoltà economiche di alcuni paesi dell'eurozona come nel caso di Spagna, Portogallo, Grecia e, dopo l'attacco dei mercati finanziari, dell'Italia.
Un deludente decennio
Siamo all'inizio del nuovo decennio che non è oggetto di questo scritto. Tuttavia, un decennio sul cui sviluppo e sulla cui conclusione non possiamo avere dubbi. La zona euro ha registrato la crescita più bassa e, insieme, il più alto livello di disoccupazione e di povertà fra i paesi economicamente avanzati. Tra il 2018 e il 2019, prima ancora degli effetti della pandemia del coronavirus, assistiamo alla recessione anche in Germania.
Secondo le attuali previsioni delle organizzazioni internazionali, dall’UE al FMI, il ritorno ai precedenti standard economici richiederà alcuni anni. L'Italia tornerà al PIL pre-crisi intorno al 2023. In altri termini, cinque punti in meno rispetto al livello del 2007, quando era pari a quello dell’inizio millennio. Quasi un quarto di secolo perduto con l’aggravante di un forte deterioramento delle condizioni sociali. Da un lato, il dieci per cento della popolazione è diventato più ricco, come testimonia la concentrazione del risparmio nelle banche, mentre è enormemente cresciuto il numero di famiglie in condizione di povertà.
Questa non è una condizione di squilibrio particolare di un paese. La Spagna che prima della crisi del primo decennio registrava il debito pubblico più basso tra i grandi paesi dell'eurozona, intorno al 40 per cento del PIL, chiuderà, secondo le previsioni attuali, il 2020 con un debito del 120 per cento. E, sorprendentemente, la Francia andrà incontro a un rapporto debito / PIL più o meno pari a quello della Spagna.
La storia può essere controversa. Ed è sempre un rischio cercare di prevedere il futuro. Ma non possiamo ignorare i risultati deludenti dei primi venti anni dell’eurozona. L'evidenza della gravità della crisi, enfatizzata dalla pandemia di massa che colpisce tutti i paesi della zona euro, potrebbe (dovrebbe) forzare un cambiamento radicale nelle deludenti politiche che hanno segnato l’euro nel corso dei passati venti anni.