Ministri, purché siano competenti
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Lle figure del «politico» e del «tecnico» non esistono in natura. Al massimo esistono potenziali talenti grezzi da affinare nel tempo: attraverso, rispettivamente, studio e pratica della formazione politica . L’onorevole Meloni, dopo la vittoria elettorale del 25 settembre, è Premier in pectore del futuro Governo. Sta perciò studiando i dossier lasciati aperti dal Governo uscente e stilando la lista dei ministri. Che a suo dire saranno d’alto profilo. Non ha ancora ricevuto l’incarico da Mattarella, ma deve bruciare i tempi in un percorso faticoso e tutto in salita. Da un lato le questioni sul tappeto — tra guerra, crisi energetica, pandemia, inflazione e tanto altro — sono assai complesse e spinose. Dall’altro lato comporre la compagine governativa è un problema dalla soluzione quasi sempre «cruenta» (metaforicamente). Non è facile (non lo è mai stato) tenere insieme aspirazioni personali di leader (grandi e piccoli) e aspettative dei partiti d’una coalizione vittoriosa alle elezioni. È vero che non tutti i partiti sono parimenti vittoriosi e rappresentativi, ma tutti sono indispensabili per fare maggioranza. Un interrogativo bizzarro: ministri tecnici o ministri politici? Diatriba alquanto inutile e financo un po’ ridicola. Risposta lapalissiana: servirebbero ministri tecnici con sensibilità politica e ministri politici con competenze tecniche. Sgombriamo anzitutto l’equivoco: nella democrazia parlamentare ogni governo (fatto di politici o di tecnici) va considerato «politico» a tutti gli effetti appena ottenuta la fiducia del Parlamento, investito dalla sovranità popolare espressa dalle Camere. Ma poi, a ben riflettere, le figure del «politico» e del «tecnico» non esistono in natura. Al massimo in natura esistono potenziali talenti grezzi da affinare nel tempo: attraverso, rispettivamente, studio e pratica della formazione politica oppure conseguimento di prestigiosi titoli e riconoscimenti attestanti specifiche competenze. In una parola è la cultura (in senso lato), risultante dal curriculum , che produce veri politici o veri tecnici. Il fatto è che negli ultimi decenni entrambe le posizioni hanno perso lo smalto d’una volta. Non essendoci più partiti strutturati e radicati nella società, non esistono più né «scuole politiche» dove si studia leggendo i classici, né «sezioni di partito» dove si discute coi cittadini. Qualche buona lettura e l’esperienza nei territori sono il primo stadio d’una «carriera» politica. Oggi invece i politici crescono (si fa per dire) sui social e nelle campagne elettorali. Così, a parte la bruttura del «voto di scambio» e della corruzione dei signori delle tessere, si affermano persone che bucano il video, coniano slogan a effetto, intrattengono relazioni con la stampa, sono ben imparentati, tra famiglie di sangue e correnti di partito. Inservibili persone che hanno studiato e studiano, coltivano ideali e sono capaci di fare scelte meditate anziché cavalcare istanze popolari del momento. Beninteso tali istanze sono importanti, specie in epoche di crisi di eccezionale portata come quelle che stiamo attraversando. Ma un conto è se vengono difese da persone disinteressate e di buon senso, un altro conto è se vengono difese da chi privilegia, rispetto all’interesse generale, l’interesse proprio o del partito. Certo in teoria l’interesse generale verrebbe meglio difeso da tecnici, imparziali per definizione, se non fosse che costoro non sempre sono davvero all’altezza dell’incarico, perché l’eccesso degli specialismi frammenta la competenza dell’insieme. Tanto per fare un esempio: un ministro delle infrastrutture e dei trasporti potrebbe essere competente sulle infrastrutture e sapere poco o niente sui trasporti. E si potrebbero fare tanti altri esempi. In ogni caso politici e tecnici hanno sempre bisogno di contornarsi di esperti dei vari settori per fronteggiare i mille problemi che richiedono soluzioni mirate e dettagliate. Nell’attuale situazione politica — ma per la verità non diversamente da altre situazioni in epoche più o meno recenti — si registrano pressanti aspirazioni — di personalità note e intraprendenti — poco fondate, tanto sul piano tecnico quanto su quello politico. Esemplare il caso dell’onorevole Salvini, il più sconfitto dei vittoriosi. L’insistenza a tornare al Viminale è a dir poco sorprendente. Avanza come titolo decisivo la sua precedente esperienza di Ministro degl’Interni nel Governo M5S-Lega, che non è stata affatto brillante, nonostante si ostini a vantarsene. Continua a lodare i «suoi» decreti sicurezza — esempi di mediocre fattura legislativa nella materia — e specialmente il blocco delle navi d’immigrati. Che però gli è costata l’accusa di «sequestro di persona»: per cui, tra l’altro, è tuttora sotto processo. Gli auguriamo l’assoluzione ovviamente, ma vedere in Tribunale un Ministro degl’Interni imputato per l’esperienza precedente di Ministro degl’Interni è francamente sconfortante. In definitiva il dilemma non è tra «tecnici» e «politici» — e naturalmente il discorso, oltre che per i ministri, vale pure per gli assessori regionali e comunali — ma tra competenti e incompetenti a fare buona politica una volta passati a governare un’istituzioni. (L'articolo è stato pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno ) Mario Rusciano
Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II. |