Meridione, destra divisa - Calderoli, Riforme e volgarità

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Lo stretto legame fra “regionalismo differenziato” (Lega), “presidenzialismo” (FdI) e “giustizia” (FI) sconvolgerà l’assetto istituzionale della nostra Repubblica.

Superflua l’ultima volgare uscita di Roberto Calderoli per capirne intolleranza e repulsione verso il Sud (Angelo Agrippa, Corriere del Mezzogiorno, martedì scorso). Egli spesso esce al naturale per sfogare ciò che pensa dei meridionali. Lo ricorda financo Goffredo Buccini in un corsivo sul Corriere della Sera di mercoledì scorso. D’altronde ben conosciamo la “signorilità istituzionale” di Calderoli. Indimenticabile l’etichetta – una “porcata” – da lui stesso appiccicata alla tristemente famosa sua riforma elettorale. Semmai fa ridere l’ultimissima uscita: uno come Calderoli osa prendere in giro – chiamandoli “professoroni” – i maggiori costituzionalisti italiani (non solo meridionali), che nell’audizione parlamentare, quasi all’unanimità, hanno qualificato il suo disegno di legge sull’autonomia regionale differenziata un esempio di “analfabetismo costituzionale”. Giudizio duro tecnicamente argomentato. Che, in qualsiasi altro Paese civile, avrebbe affossato senz’appello un’iniziativa dannosa all’Italia: sul piano politico, sociale ed economico.

Invece, qui da noi, è stata approvata dal Senato e sta per esserlo dalla Camera.

Ma, al di là dei modi volgari, il vero problema è se Calderoli riesce a portare sulle sue stravaganti posizioni, oltre ovviamente alla Lega-Nord, l’intera destra da Nord a Sud. In verità i recenti servizi di Gimmo Cuomo (sul nostro giornale) rivelano finalmente giunta l’ora in cui comincia a incrinarsi il fronte-Sud della destra. Qualche suo autorevole esponente (Occhiuto in Calabria; Laboccetta in Campania) denuncia la gravità del regionalismo differenziato. Chissà se il loro timido dissenso riuscirà a fermare l’accanimento di Calderoli. Pare difficile perché da questo prende l’avvio, con effetti a cascata, l’ampio nefasto stravolgimento costituzionale della nostra Repubblica parlamentare.

Difatti l’interdipendenza tra “regionalismo” leghista e “presidenzialismo” (poi diventato “premierato”) di FdI provocherà gravi problemi politico-istituzionali all’intero Paese. Prima però emergeranno – logicamente dopo le elezioni europee – le contraddizioni nella destra. La più clamorosa nella Lega-Nord che gioca su due tavoli. Sull’uno gioca Calderoli, sull’altro Matteo Salvini. Il primo, esponente importante della Lega-Nord (secondo partito governativo) vuole spaccare la Nazione – differenziando, in prerogative e risorse, l’autonomia delle diverse Regioni italiane – coll’automatica conseguenza d’intollerabili diseguaglianze tra cittadini di Nord e Sud.

Mentre Salvini, essendo leader della Lega-Nord (prima che Ministro e Vice Premier), da alcuni anni pretende d’estendere il suo bacino elettorale a tutta la Nazione, riuscendo addirittura a eleggere consiglieri leghisti nelle istituzioni rappresentative del Mezzogiorno (Regioni, Comuni ecc.). Non è contraddittorio che, mentre Calderoli punisce i cittadini meridionali colla riforma regionale, Salvini chiede i suffragi degli stessi cittadini che Calderoli intende punire e non fa che offendere?

E’ allora incomprensibile che Regioni del Mezzogiorno – anzitutto Abbruzzi (che oggi vota) e Basilicata (che voterà ad aprile) – possano dare credito alla destra. Dove c’è un partito che non fa mistero della sua vocazione padana antimeridionale (esposta in bell’evidenza nel distintivo leghista degli affiliati, Ministri inclusi).

Intanto, lo stretto legame fra “regionalismo differenziato” (Lega), “presidenzialismo” (FdI) e “giustizia” (FI) – frutto dello scambio politico nello scellerato patto elettorale Meloni-Salvini-Berlusconi – sconvolgerà l’assetto istituzionale della nostra Repubblica. La destra sostiene che, essendo tali riforme nel suo programma di governo, sono state approvate dagl’italiani col voto del settembre 2022. Ma francamente è assai dubbio che la maggioranza di quella bassa percentuale di votanti nel 2022 abbia scelto la Meloni per la promessa di riforme istituzionali genericamente a stento accennate nei tratti propagandistici. Semmai l’ha scelta per le populistiche promesse, peraltro impossibili da mantenere, di riduzione delle tasse e di altre amene realizzazioni rivelatesi solo fumo.

Infine qualche domanda cui nessuno risponderà. E’ mai possibile che, in un grande Paese europeo come l’Italia, si pensi di realizzare riforme strutturali di eccezionale rilevanza costituzionale, bocciate sul piano tecnico-giuridico dai più illustri costituzionalisti italiani quasi all’unanimità? Li si accusa di pregiudizio politico-ideologico, ma non si entra mai nel merito delle materie con argomentazioni altrettanto tecnico-giuridiche.

Per esempio: è scontato che nel 2001 il centro-sinistra sbagliò metodo e merito nel riscrivere il titolo V della Costituzione (illudendosi d’arginare la minaccia di secessione della Lega-Nord). Negli anni la destra non fa che rinfacciare al centro-sinistra la riforma del 2001 pur approfittandone perché di suo interesse. Ma adesso, dopo quasi venticinque anni, un Parlamento e un Governo che avessero seriamente a cuore unità e coesione del Paese, dovrebbero correggere quell’errore nell’interesse generale della Nazione oppure aggravarne le pessime conseguenze, non solo per il Mezzogiorno, nell’interesse della coalizione?    

(Editoriale Corriere del Mezzogiorno,  10 marzo 2024)   

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.