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L'errore della guerra irakena è stato evitato. La ferma opposizione della Russia, il buonsenso del presidente americano e il rifiuto della maggior parte dei paesi europei hanno evitato un conflitto che Arabia Saudita e Francia erano determinate a scatenare.
Il rifiuto dell'Arabia Saudita di accettare il ruolo di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la sostanziale opposizione della Francia a togliere l'embargo all'Iran, sembrano qualificarsi come i segnali più evidenti del cambiamento di rotta nelle relazioni tra Stati Uniti, Europa e Medio Oriente, e Mondo Arabo in generale.
La Guerra dell'Iraq e la tragica conclusione che ne è seguita, ha obbligato tutto l'Occidente a rivedere la sua politica estera fin ad allora portata avanti nell'area senza scosse eccessive. Le relazioni economiche e politiche, gli scambi commerciali, spesso le stesse informazioni riservate dei rispettivi servizi, seppure abbiano a volte subito qualche interruzione, sono però sostanzialmente continuati o sono ripresi secondo l'antico tracciato.
In Iran la cacciata dello scià da parte del nuovo regime sacerdotale, aveva provocato la durissima reazione americana, ma alla fine tutto venne sanato e tutto continuò come prima, anche perché la fine di Reza Palhevi aveva interrotto l'ambizioso programma nucleare considerato da Israele con lo stesso terrore di oggi, nonostante scienziati israeliani fossero stati invitati a partecipare al suo sviluppo ed alla sua mai avvenuta realizzazione. Il cambio di regime iraniano, in sostanza, fu considerato con sollievo da parte di tutte le cancellerie occidentali, ma le ripercussioni sul confinante Iraq non vennero prese nella dovuta considerazione.
Gli ayatollah dovevano pur continuare a vivere dei proventi del petrolio e se le donne iraniane erano obbligate ad indossare il chador, tanto meglio per i fabbricanti di tessuti. A beneficiare della legge sul nuovo abbigliamento furono soprattutto la Cina e l'India che inondarono il mercato iraniano di broccati, di sete ricamate e, per le meno ricche, di tessuti sintetici. Il tutto rigorosamente nero.
La svolta arrivò dall'Iraq. Improvvisa e agli inizi incautamente sottovalutata, venne subito salutata dai commercianti di armi come una nuova, insperata opportunità di guadagni, mentre le grandi potenze con inspiegabile superficialità, non seppero valutarne le devastanti conseguenze che sarebbero pesate per oltre vent'anni e che ancora non sono state risolte. Nell'ottobre del 1980, Saddam Hussein attaccò l'Iran. Aveva ingenuamente confidato in un sostegno degli Stati Uniti manifestamente ostili al regime degli ayatollah e che però gli fu negato, anche per la ragione che Israele per tutti gli otto anni che durò la guerra, continuò a sostenere e neppure troppo segretamente, l'Iran. Quando poi il rais di Bagdad ordinò l'attacco missilistico contro Israele, firmò fatalmente la sua condanna a morte. Isolato nel mondo arabo, emarginato dagli Stati Uniti e da gran parte dell'Europa, il sogno della supremazia irachena sul resto del mondo arabo, si infranse contro il muro invalicabile degli opposti interessi.
Ancora non sono ben chiari i motivi che spinsero il presidente americano Bush ad invadere l'Iraq e forse non lo saranno mai, anche se rimane il dubbio che gli Stati Uniti abbiano intrapreso la più crudele, insensata e costosa guerra di questo terzo millenio, per conto terzi. L'errore avrebbe potuto ripetersi ora, seppure in maniera ridotta e con partner completamente diversi, se Stati Uniti e la stessa Europa fossero caduti nella trappola siriana. La ferma opposizione della Russia, il buonsenso del presidente americano e il rifiuto della maggior parte dei paesi europei a venire coinvolti in una guerra dall'esito incerto e praticamente priva di ogni interesse economico, hanno evitato un conflitto che Arabia Saudita e Francia erano determinate a scatenare.
Le ragioni che si potrebbero addurre per questo nuovo aspetto della bellicosità di Parigi nel mondo arabo e medio orientale, possono essere molteplici, anche se ancora confuse e in ogni modo da verificare, come del resto succede per tutto quello che investe il mondo arabo-musulmano, sempre in bilico tra guerre tribali, guerre per interesse e violenze di natura religiosa. Resta comunque abbastanza evidente che in questi ultimi anni, la Francia ha improvvisamente alzato la voce nella politica della Regione, come non era accaduto dagli anni Ottanta, all'epoca della guerra del Ciad contro Gheddafi. Eliminato alla fine Gheddafi, con risultati assai simili seppure meno devastanti, a quelli ottenuti con l'eliminazione di Saddam Hussein, Parigi avrebbe voluto continuare la sua opera in Siria contro un regime odioso sotto ogni punto di vista, colpevole di avere nuociuto agli interessi francesi in Libano e, fatto ritenuto determinante, aspramente inviso all'Arabia Saudita.
Fallita la missione internazionale contro Damasco, la Francia di Hollande ha proseguito la sua azione di disturbo contro l'Iran, principale alleato della Siria in Medio Oriente e nemico giurato dell'Arabia Saudita. Il pretesto è stato offerto dalla proposta, avanzata dagli Stati Uniti, di eliminare l'embargo contro Teheran, in cambio della rinuncia allo sviluppo del sistema nucleare e al permesso concesso alle Agenzie internazionali di controllare ogni sito sospetto e perfino le miniere di uranio iraniane.
E' evidente che la fine dell'embargo contro Teheran era visto con crescente preoccupazione soprattutto da Gerusalemme, tanto che il Primo Ministro Netanyahu non ha esitato a lanciare un appello verso tutti gli alleati degli Stati Uniti perché si opponessero ad un trattato che costituiva, dal suo punto di vista, una intollerabile minaccia contro Israele.
L'Italia, dopo il letargo che ha caratterizzato la sua politica estera di questi ultimi decenni, si è svegliata all'improvviso, prima opponendosi contro la guerra in Siria, con motivi giusti e condivisibili nella sostanza quanto intollerabili nella forma, poi contro un accordo con l'Iran, sempre con lo stesso stile che ha fatto irritare tutta l'amministrazione Obama.
Alla vigilia della Conferenza di Ginevra, Washington si trova in una situazione di estrema delicatezza, con la Francia che minaccia di prendere le distanze dalla NATO annullando di fatto gli accordi di Sarkozy del 2009 e ritornando alle posizioni nazionaliste di De Gaulle, con l'Arabia Saudita che rimane il più forte baluardo filo americano della Regione e soprattutto con Israele, sempre più critico verso la politica di Washington e sempre più in contrasto con il Presidente democratico.
A questo punto, è facile prevedere che i tempi non sono ancora maturi per un accordo e che le cose resteranno come sono, rivelando ancora una volta l'inanità di una Conferenza di Ginevra, ormai superata dai tempi e considerata al più come un pretesto per non concludere niente senza irritare qualcuno. Questa, almeno, sembra la linea adottata recentemente anche dagli Stati Uniti.
Arrivato nella capitale degli Emirati Arabi Uniti, Abu Dhabi, il segretario di Stato americano Jonh Kerry, ha ingranato quella che a molti osservatori è sembrata una prudente marcia indietro. “ Il gruppo dei cinque +uno membri del Consiglio di Sicurezza- ha dichiarato l'11 novembre -si era riunito per presentare le nostre proposte agli iraniani. L'Iran, in questo momento, non ha potuto accettarle”.
Teheran non ha ancora risposto. Forse ha ragione la Cina: pensiamo agli affari, agli accordi economici, al reciproci interessi commerciali. Il resto non ci deve più riguardare.