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Susanna Camusso lo ha paragonato alla “Lady di ferro”, ma quello che il presidente del Consiglio sta cercando di imitare è il leader spagnolo, che con la sua feroce riforma del lavoro ha tacitamente ottenuto di poter continuare a sforare il vincolo di bilancio.
Matteo Renzi come Margaret Thatcher? Ma no, il paragone non tiene, se non altro perché il nostro è un leader post-ideologico (o almeno così crede lui), mentre la “Lady di ferro” è stata la prima esponente al potere di quella ideologia neoliberista che ha distrutto l’economia ma continua ad egemonizzare la politica.
Piuttosto, Renzi sta seguendo le orme di un altro leader conservatore, il capo del governo spagnolo Mariano Rajoy. La Spagna con la sua timida ripresa – vedremo presto quanto solida – è il paese di turno portato ad esempio dell’”austerità che funziona”. In realtà è ancor più un esempio di come venga applicato il principio “flessibilità in cambio di riforme”, più volte enunciato da chi comanda davvero in Europa, ossia Angela Merkel. Rajoy ha varato poco più di due anni fa una riforma del lavoro che ha quasi completamente eliminato l’equivalente dell’articolo 18 (che c’era anche lì), ha dato la prevalenza alla contrattazione aziendale a scapito di quella nazionale o regionale, ha quasi del tutto liberalizzato la possibilità di licenziare, riducendo nel contempo gli indennizzi da corrispondere ai lavoratori, ha dato la facoltà alle aziende di ridurre i salari se per tre trimestri hanno risultati negativi. Insomma, praticamente tutto quello che chiedono le tecnocrazie conservatrici: una Caporetto per i diritti dei lavoratori.
Rajoy lo ha fatto senza stipulare un patto formale con la Commissione Ue, ma altrettanto informalmente ha avuto la sua ricompensa: alla Spagna è stato consentito di sforare clamorosamente l’obiettivo del deficit su Pil, che ha raggiunto l’anno scorso il 7,2% ed è previsto per quest’anno a oltre il 5 (e probabilmente non scenderà sotto il 6). E questo getta una luce un po’ diversa sulla tanto conclamata ripresa spagnola, che appare dunque assai più figlia del deficit di bilancio che dell’austerità.
“A voler fare una proporzione – scherza, ma non troppo, l’economista Ruggero Paladini – ogni tre punti di riduzione dei salari “valgono” un punto in più di tolleranza sul deficit, visto che dopo la riforma i salari spagnoli sono calati del 9%”.
Capito il movimento? Renzi, evidentemente, lo ha capito. Dapprima ha sperato di ottenere la tanto sospirata flessibilità di bilancio, senza la quale la crescita non tornerà mai, un po’ sulla fiducia, dopo il suo grande successo alle elezioni europee, e un po’ grazie alle riforme istituzionali. Ma di quella concessine, finora, non s’è vista neanche l’ombra. Alla signora Merkel, alla Commissione e alla Bce dell’abolizione del Senato non può importare di meno, è la “riforma” del lavoro quella che conta, per permettere di proseguire la politica di svalutazione interna (leggi: riduzione dei salari) che continuano pervicacemente a perseguire.
A Renzi devono averlo detto, o comunque fatto capire chiaramente: “Vuoi la flessibilità di Rajoy? Bene, fai una riforma del lavoro come quella di Rajoy”. Fatta quella, probabilmente si troverà anche il modo di evitare a Renzi l’umiliazione di dover stipulare un patto formale con la Commissione, e lo sforamento sarà consentito, anche quello magari trovando un sistema che salvi la forma, come escludere certi capitoli di spesa dal conteggio del deficit.
Restano però due problemi, e non da poco. Il primo è che, ammesso che questa contro-riforma si faccia, non sappiamo quanta flessibilità verrà concessa in cambio, né possiamo chiedere garanzie in merito visto che questa sorta di trattativa si svolge tutto sul piano informale e del “non detto”. E se poi la “ricompensa” fosse uno 0,3% di Pil? Ci facciamo la birra.
Ma il secondo problema è anche più rilevante. Semplicemente, la politica di riduzione dei salari è sbagliata, seppure dovesse riuscire a far raggiungere un equilibrio sarebbe un equilibrio al ribasso, non una cura, ma un’amputazione dell’economia italiana. Persino nel fronte neoliberista se ne sta accorgendo qualcuno (l’economista Luigi Zingales). E’ quello l’equilibrio che vogliamo?