L'unica soluzione possibile

Sottotitolo: 
L'elezione del Presidente. Uno spettacolo esteticamente indecoroso per i leader, eticamente non onorevole per i “grandi elettori” e preoccupante per gl’italiani.

E’ poco elegante per chi scrive esordire dicendo “l’avevo detto”. Sta di fatto che in un intervento sul Corriere del Mezzogiorno del 29 dicembre s’era scritto che, nella difficile situazione del Paese e nella prevedibile confusione del quadro parlamentare, l’unica cosa realistica da “non fare” sarebbe stata cambiare i titolari delle due istituzioni che, insieme al Parlamento, sono i pilastri della nostra democrazia costituzionale: il Capo dello Stato Mattarella e il Capo del Governo Draghi.

E dopo una settimana di fallimento dei tentativi di un impossibile accordo sul nuovo Presidente della Repubblica tra forze politiche contrapposte, si è tornati al punto di partenza: la conferma di Sergio Mattarella. Per arrivare a questo risultato, abbastanza scontato fin dall’inizio, i cittadini hanno dovuto assistere al poco edificante spettacolo di una baraonda elettorale financo per il Quirinale.

La girandola dei nomi; le divisioni tra i partiti e dentro i partiti; l’incapacità dei leader di controllare i loro gruppi parlamentari; la baldanzosa temerarietà di alcuni di questi leader di credersi tanto rappresentativi da assicurare invece la compattezza del proprio partito. Uno spettacolo esteticamente indecoroso per i leader, eticamente non onorevole per i “grandi elettori” e preoccupante per gl’italiani. Per la verità lo spettacolo era stato preannunciato, la settimana precedente, dall’avanspettacolo di Berlusconi che ha bloccato il Paese nell’attesa di sciogliere la riserva sulla sua candidatura, cercando nel frattempo consensi tra i molti parlamentari nomadi o trasformisti. I quali, benché anime vaganti nella politica, gli hanno risposto picche.

Tanto che Berlusconi, fatti i conti, ha preferito il ritiro dalla tenzone. Subito fatto passare dall’intero centro-destra, non si sa perché, come atto di grande generosità nei confronti del Paese. Mah! Accantonata la candidatura di Berlusconi, che pare abbia continuato a mandare messaggi dall’ospedale, è iniziata la sarabanda sull’onda delle troppe variabili di cui è stata caricata l’elezione del Capo dello Stato. Un appuntamento altamente istituzionale, certamente anche politico, ma di quella Politica con la “P” maiuscola, da tempo assente in Italia a vantaggio di una politica di bottega. Le cui radici affondano pure in qualche legenda che – pur dopo l’elezione di Mattarella, cioè scampato il pericolo di eleggere chissà chi – vanno comunque sfatate guardando al futuro.

Una legenda è che il centro-destra, essendo maggioranza nel Parlamento e nel Paese – pura presunzione! – ha il diritto di rivendicare un suo candidato al Quirinale, giacché dal 1946 tutti i Presidenti sono stati “di sinistra”. Qui soccorre la Storia e i mutamenti nel tempo del quadro politico. Nella cosiddetta prima repubblica, dopo il Capo provvisorio De Nicola (liberale) e il liberale Einaudi, tutti i Presidenti sono stati democristiani (Gronchi, Segni, Leone e Cossiga. Quindi non di sinistra, con l’eccezione di Saragat (socialdemocratico ma di centro) e di Pertini (socialista). Nella cosiddetta seconda repubblica: Scalfaro (democristiano), Ciampi (indipendente), Napolitano (ex comunista) e Mattarella (indipendente di estrazione democristiana). In pratica, gli unici davvero di sinistra sono stati Pertini e Napolitano.

A meno di non dire che i democristiani sono sempre stati tutti “di sinistra”. Affermazione ardita, se si pensa che ci sono democristiani nel PD e democristiani nel centro-destra (tutti peraltro fino a ieri mattina potenziali elettori di Casini). Un’altra legenda è che il Presidente della Repubblica dev’essere politico e non tecnico, soprattutto quando c’è già un tecnico Presidente del Consiglio. Una demarcazione debole rispetto a quella forte tra competenti e incompetenti. Per giunta si dice che dev’essere super partes: il che per un politico è praticamente impossibile.

E va ricordato che l’Italia, nei momenti di crisi – solitamente di natura economico-finanziaria – è stata sempre salvata da tecnici la cui competenza ne ha fatto buoni politici. Se infatti si esclude nel 1992 Giuliano Amato, prima che politico giurista di razza (ieri eletto Presidente della Corte costituzionale), sono stati chiamati al capezzale del Paese malato personalità come Ciampi, Monti e Draghi. Ciò dovrebbe far riflettere anzitutto i politici – ma forse ancor prima i cittadini elettori – sulla loro formazione e preparazione.

La classe politica, specialmente dopo la scomparsa dei partiti strutturati e provvisti di solidi riferimenti ideali, pare composta di persone intente a inseguire più il facile consenso (magari attraverso le cosiddette “comunità mediatiche”) o addirittura i propri interessi che il bene della collettività.

Certamente in democrazia tutti possono aspirare a ricoprire cariche politiche; anzi è auspicabile che i giovani sentano la responsabilità di occuparsi della res publica. A condizione però che facciano una preparazione adeguata di studio, di lavoro e di pratica politica “dal basso”. Ora come ora, eletto Sergio Mattarella quasi all’unanimità, mentre nell’immediato il Paese deve anzitutto svelenirsi dopo una tormentata fase preparatoria, c’è da prevedere un periodo non facile perché il travaglio della scorsa settimana ha creato un vero e proprio terremoto politico, del quale è ancora presto per contare le vittime: fuori e dentro i partiti! 

(Articolo pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno,,30 gennaio 2022)          

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.