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Mentre il timore tedesco di una ripresa dell'inflazione come problema centrale dell'Europa è ingiustificato, le poltiche restrittive imposte ai paesi in dificoltà accrescno la disoccupaizone di massa e con la depressione, aggravano il debito pubblico.
Continua la lunga crisi deidi paesi in difficoltà dell'eurozona , soggetti alle “condizionalità “ di ogni aiuto offerto dagli altri paesi europei, che seguono la Germania. Questa non cambia né allenta le sue posizioni, nonostante le insistenti richieste americane, e persino cinesi di por fine alla crisi economica e alla depressione Europea.
I limiti imposti dalla Germania sono spesso giustificati dalla paura che si ripeta un evento che avvenne in quel paese intorno al 1923, una grande inflazione post-bellica che, fra l’altro, non ebbe nessuna connessione con l’arrivo al potere di Hitler, che avvenne anni dopo, a causa della grande depressione e della disoccupazione di massa. La paura di un’incontrollabile inflazione in Germania, o in Europa, è oggi del tutto ingiustificata. Si tratta di un evento molto improbabile, dati gli strumenti che gli Stati e l’Europa Unita hanno per controllare l’economia.
Ben pochi in Europa temono un evento di questo genere; di fatto, temono il suo contrario, una drastica caduta della domanda e una crescente disoccupazione. Molti sospettano, oggi, che i tedeschi non vogliono aiutare davvero gli altri membri dell’Europa Unita, poiché li considerano incapaci di gestire una moderna economia , e quindi pensano che essi debbano essere puniti da un padre che li ama , ma per il loro bene, li punisce ogni qualvolta commettono un errore. Perciò, la crisi continua, e si approfondisce, con la disoccupazione, la stagnazione e nessuna prospettiva per il futuro.
La Germania è probabilmente il paese che ha avuto il maggior vantaggio dall’Unione Europea, e dal grande mercato da essa creato. Il paese aveva una lunga tradizione d’industria e di tecnologia, specie nella chimica e nell’acciaio, e delle grandi compagnie industriali capaci di approfittare appieno del Mercato Unico Europeo, e così è riuscito a far sì che la sua economia diventasse la più grande d’Europa.
Tuttavia, il merito dello sviluppo del mercato unico non è soltanto della Germania, perché anche gli altri paesi l’hanno adottato, anche quando ne ottenevano un minor vantaggio. Perciò, il successo tedesco non può essere convertito in un Primato Europeo, che è quello che gli altri Europei vedono dietro alla paura dell’inflazione e al desiderio di imporre a tutti un “corretto” sistema di gestione dell’economia. Se ogni misura per alleviare le difficoltà dei paesi a rischio avrà bisogno di una precisa luce verde da parte della Germania, un paese ossessionato (così si dice) da una crisi avvenuta circa un secolo fa (fino al punto di scriverlo nella loro Costituzione) e quindi richiede un tempo lungo per essere messa in pratica, il futuro dei paesi in difficoltà non sembra avere grandi speranze di migliorare.
Può essere che questi paesi siano indotti dalle loro difficoltà a pensare che l’Europa Unita non è oggi un’alleanza fra paesi uguali, né un’alleanza che potrà risolvere i loro problemi, ma un gruppo di paesi con un leader molto forte, e dei seguaci molto deboli. Può essere che questi ultimi cerchino quindi una diversa forma di alleanza, per esempio, il vecchio desiderio di certe regioni di uscire dal paese e diventare del tutto autonome; o qualche progetto di tornare alle vecchie, svalutabili monete. Questo segnerebbe il fallimento della più grande speranza che si sia mai prospettata per il futuro dell’Europa, una grande area multiculturale, in cui vari paesi vivono senza dover rinunciare al loro caratteristico modo di vita, e senza dover obbedire a degli ordini che essi ritengono irragionevoli.
Il problema reale è che la “ricetta” che viene prospettata, o meglio, ordinata, ai paesi in difficoltà è semplicemente quella di ridurre la spesa pubblica, senza considerare non sola la sofferenza dei cittadini, ma anche le sue ripercussioni politiche ed economiche. Premere sulla popolazione non è una buona idea. Questa politica distrugge molte piccole imprese, che potrebbero invece crescere, e dovranno scomparire, riducendo a zero la possibilità che i nuovi imprenditori crescano ad allargare le loro attività e a renderle più profittevoli. In realtà la “ricetta” è contraddittoria.
La “liberalizzazione” dell’economia significa in primo luogo la riduzione dei salari e delle pensioni dei lavoratori, una parte rilevante della domanda globale. Ciò non soltanto riduce l’attività economica e il reddito, ma rinforza la tendenza ad accentuare la differenza di reddito fra i cittadini, il che finirà per distruggere la minor differenza fra poveri e ricchi che, a differenza degli Stati Uniti, vige ancora in Europa, ed è la base della nostra democrazia.
La depressione della domanda e la disoccupazione di massa non metterà certo quei paesi in condizione di pagare i debiti. La situazione attuale non ha quindi sbocco alcuno. I paesi in sofferenza continueranno ad avere una domanda scarsa, e quindi non potranno aumentare la produzione. Lo stesso effetto avrà la riduzione del credito delle piccole e medie imprese.
La risposta che è spesso data a tutto ciò è che, quando il reddito dei lavoratori sarà diminuito, e le piccole e medie imprese saranno tutte morte per mancanza di credito, i paesi saranno pervasi da una magica ondata di ottimismo, e per miracolo l’economia ritornerà dinamica, perché tutti riprenderanno a investire. Chi avrà le risorse per investire non è certo ovvio. Forse coloro che rifiutarono di investire perché i lavoratori erano organizzati , e potevano lottare per il loro salario?