Lo spettro della crisiMa resta lo spettro della crisi Chissà se — ricorrendo tra una settimana anche la Pasqua cristiano-ortodossa — il Patriarca Kirill suggerirà a Putin almeno un temporaneo «cessate il fuoco»; o se invece la Russia continuerà imperterrita a bombardare le città dell’Ucraina e quanto questa riuscirà a resistere. Chissà infine quanto il conflitto s’allargherà e allungherà, da un lato, per le minacce di Putin all’Occidente e, da un altro lato, per l’invio di armi all’Ucraina di Europa, Nato e Usa. Intanto, mentre pandemia (in lenta discesa) e guerra (in rapida ascesa) distraggono l’attenzione generale, viaggia per conto suo e a gran velocità il rischio di recessione economica. È naturale che entrambe si ripercuotano pesantemente sulla nostra economia e costringano il Governo a rivedere buona parte dei progetti del Pnrr, specie a seguito della crisi energetica e dell’aumento dell’inflazione. Ovviamente tutto ciò scombina pure le carte nel gioco politico. Lo dimostra la confusione che monta nelle strategie dei partiti, nei quali pare risvegliarsi una gran voglia di campagna elettorale. Poco rassicurante per la stabilità della multicolore maggioranza di governo. A un anno dalla naturale scadenza della legislatura tutti a parole dichiarano di non volerne la fine anticipata, ma i comportamenti concreti fanno prevedere ben altri esiti. In questo quadro mondiale così preoccupante, unito alla proverbiale litigiosità delle forze politiche, si potranno mai affrontare seriamente le riforme strutturali richieste dall’Ue quale condizione dei finanziamenti del Next Generation Eu ? Sulle prime e più importanti riforme in cantiere — giustizia, fisco, appalti e concorrenza — pare al momento assai difficile un accordo tra le componenti della contraddittoria maggioranza che sostiene il Governo. A destra e a sinistra riprendono vigore le tradizionali posizioni di schieramento circa la tutela dei contrapposti e molteplici interessi, spesso corporativi, della frammentata e stratificata società italiana. Prendiamo la riforma della giustizia: pur mettendo per ora da parte la grave e intollerabile minaccia di sciopero politico da parte della Magistratura, è pensabile approvare un provvedimento di questa portata col voto di fiducia al Governo? Non parliamo poi della riforma del fisco — legata naturalmente alle difficoltà finanziarie dello Stato e all’enormità del debito pubblico — che vede su opposte posizioni destra e sinistra. Tutti vogliono che il Governo risolva con l’intervento del bilancio statale i mille problemi economico-sociali: dai ristori post-pandemia alla cassa integrazione; dai costi vertiginosi dell’energia all’aiuto di famiglie e imprese per il caro-bollette e a quant’altro. Nessuno però si fa carico del fatidico «conto della lavandaia», indicando entrate e uscite «prima» di avanzare una valanga di bisogni. E mentre la sinistra non vuole che si compri il gas dall’Egitto, ma non dice come fare per sopperire alla probabile chiusura del rubinetto da parte di Putin, la destra inorridisce di fronte alla revisione del catasto. Figuriamoci cosa farebbe di fronte alla proposta di un piccolo «contributo di solidarietà» sui grandi patrimoni o sui redditi più alti, secondo il criterio costituzionale della progressività. Di evasione fiscale e di lotta al lavoro nero poi meglio non parlare a un anno dalle elezioni! Sulle prospettive politiche si possono fare tre ipotesi. La prima: le riforme si realizzano, almeno sulla carta, perché Draghi riesce a trovare il compromesso tra forze contrapposte. Ma saranno riforme serie, cioè non annacquate? Una logica compromissoria tra schieramenti così disomogenei è concettualmente contraria a vere riforme nell’interesse oggettivo della collettività. Seconda ipotesi: la maggioranza funziona a geometria variabile. Non tutti i partiti della maggioranza votano tutte le riforme. Già alcuni disegni di legge passano in Commissione parlamentare con maggioranza risicata, nell’attesa di emendamenti in aula con inevitabile pregiudizio della chiarezza normativa. La terza ipotesi: il Governo, come suol dirsi, va sotto ed è costretto a dimettersi aprendo la strada alle elezioni anticipate. Nessuna delle ipotesi induce all’ottimismo, ma forse a questo punto — purtroppo — la terza non è la peggiore! Mario Rusciano
Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II. |