L'intreccio perverso tra crisi bancaria e debti sovrani
Sottotitolo:
I fondi di intervento previsti per l' assistenza finanziaria ai paesi in difficoltàtrati sono insufficienti e troppo costosi, mentre servirebbe un piano di ricapitalizzazione e ristrutturazione del settore bancario esteso all’intera area europea.
La crisi dell’euro nasce - com’è noto - da un complesso di fattori che si possono riassumere nell’interazione perversa in un certo numero di paesi tra l’enorme crescita del debito privato e pubblico, da un lato, e l’accumularsi di squilibri competitivi sempre meno sostenibili, dall’altro. Il fatto che questi paesi facessero parte di una unione monetaria ha conferito alla crisi caratteri sistemici, che richiedono risposte in grado di rafforzare l’intero sistema, e non solo le misure di intervento caso per caso varate finora - e sempre con notevole ritardo - dall’Europa. Tutti i paesi periferici in difficoltà, quali la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna, hanno adottato, sotto la spinta degli ispettori dell’Ue e del Fondo monetario internazionale, politiche e misure di risanamento assai severe. Sia di consolidamento fiscale finalizzate a riportare le finanze pubbliche sotto controllo, sia di riforme strutturali atte a ridare slancio al potenziale di crescita. Alcuni primi risultati positivi si cominciano a vedere e la nuova disciplina prospettata dal patto di stabilità e da quello per la convergenza servirà certamente a rafforzare tali processi di aggiustamento. Se i piani di risanamento nazionali, per quanto dolorosi, rappresentano strumenti indispensabili in molti paesi per affrontare le crisi del debito sovrano, è anche vero che va messa a disposizione di questi stessi paesi tutta la liquidità necessaria perché il processo di ripianamento del debito non venga impedito e alla fine soffocato da processi deflazionistici. Il problema è che i fondi di intervento oggi a disposizione per fornire assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà (Efsf) sono insufficienti in termini di quantità di risorse e troppo costosi. Per aumentare le possibilità di successo delle risposte nazionali tali fondi andrebbero dunque rafforzati significativamente e resi più convenienti, come d’altra parte chiedono da tempo i mercati. A questo riguardo è comunque importante l’impegno, sottolineato nelle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo e da Angela Merkel alla presentazione del Patto franco-tedesco, di aumentare le risorse a disposizione dell’Efsf. Più difficile che il fondo salva stati sia autorizzato ad acquistare - come richiesto da molti - i titoli dei paesi in difficoltà sul mercato secondario, vista la forte resistenza dei paesi più forti, con in testa la Germania, che temono soprattutto ripercussioni negative in termini elettorali e di politica interna. Il che lascia prevedere che la Banca centrale europea continuerà ad acquistare titoli di stato in tutte le situazioni in cui i mercati non siano disposti a fornire le risorse liquide richieste. Oltre alle modifiche dell’Efsf, l’altro tema chiave del negoziato europeo riguarda la creazione del suo successore nel 2013, il cosiddetto Meccanismo europeo di stabilizzazione (Esm). Circa il suo funzionamento si continua ad insistere - anche in questo caso soprattutto da parte della cancelliera Merkel - sul ruolo centrale da assegnare alla possibilità di default del debito sovrano dei paesi della periferia, prevedendo altresì in questi casi una sorta di ‘tosatura’ dei creditori privati quale deterrente per future incaute esposizioni a favore di paesi debitori inaffidabili. Se sul piano teorico ipotesi di default di singoli paesi appaiono, in realtà, pienamente gestibili e percorribili, non vanno affatto sottostimate le gravi ripercussioni che il default del debito sovrano avrebbe all’interno della zona euro, a partire dall’impatto devastante sui bilanci delle banche di molti paesi europei. Molto meglio sarebbe prospettare un Esm che sia una sorta di Fondo monetario europeo, in grado di contemperare l’assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà con una condizionalità adeguata a stimolare le necessarie riforme dei singoli paesi con crisi debitoria. Le risorse per farlo funzionare potrebbero essere reperite attraverso varie strade, e proposte interessanti in merito non mancano. Ma l’ostacolo maggiore per una decisione in tal senso è eminentemente politico ed è legato ai trasferimenti di risorse - seppur modesti e più che compensati da ritorni complessivi - dai paesi più forti ai paesi in difficoltà che un fondo permanente anticrisi di questo genere potrebbe contemplare. Questi trasferimenti sono giudicati inaccettabili in molti paesi oggi in Europa, in primo luogo in Germania, dove a fine marzo si svolgeranno nel Baden-Wűrttemberg elezioni molto importanti anche per gli equilibri politici nazionali. Il terzo e ultimo tema chiave per una soluzione positiva della crisi europea riguarda la stabilità finanziaria. Misure e meccanismi importanti sono stati varati in questi mesi, ma resta il problema chiave di riuscire a separare la crisi bancaria dalla crisi dei debiti sovrani. Esse sono oggi strettamente intrecciate attraverso i salvataggi bancari operati con denaro dei contribuenti, come nel caso dell’Irlanda. Servirebbe un piano di ricapitalizzazione e ristrutturazione del settore bancario, che sia ampio, complessivo ed esteso all’intera area europea. A questo scopo andrebbero approntati meccanismi di risanamento dei sistemi bancari di alcuni paesi, così da isolare le banche di fatto fallite - e da chiudere - dal resto del sistema che può essere invece ristrutturato e risanato. Non è facile valutare l’ammontare esatto di risorse che costerebbe un insieme di interventi di questo genere. Le stime sono assai varie, e indicano comunque cifre importanti, oscillanti tra i 100 e i 200 miliardi di euro. A questo riguardo lo “stress test” effettuato lo scorso anno per accertare le condizioni di salute di circa 90 banche medio-grandi europee avrebbe potuto rafforzare la credibilità del sistema finanziario europeo e la sua capacità di sostenere la ripresa in corso. Si è trattato in realtà di un test all’acqua di rose e, comunque, ispirato a criteri troppo blandi. Basti pensare che il fabbisogno di ricapitalizzazione venne stimato pari ad appena 3,5 miliardi di euro. Si è deciso di riprovarci e condurre tra un po’ un nuovo check-up del sistema bancario europeo avvalendosi questa volta della nuova Autorità bancaria europea (Eba). L’obiettivo è arrivare a fornire nuovo capitale là dove necessario. Ma le anticipazioni che si sono potute cogliere finora sono tutt’altro che rassicuranti circa la ‘severità’ degli esami che verranno condotti. Uno scetticismo dettato in particolare dalla cautela che continua a caratterizzare la Germania nella valutazione delle difficoltà delle sue banche. Su questo e altri aspetti della governance economica europea i paesi della zona euro e l’intera Ue saranno comunque chiamati a dare risposte chiare per fronteggiare la situazione di crisi che rimane aperta e foriera di rischi per la stabilità dell’euro. (L'articolo è tratto da "Il futuro dell’euro passa per Berlino" www.affarinternazionali.it/) Paolo Guerrieri
Paolo Guerrieri, economista, è professore ordinario alla ‘Sapienza’ Università di Roma e Vice-presidente dello Istituto Affari Internazionali. |