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La nuova organizzazione aziendale riduce il lavoro, lo frammenta e disperde in vari modi.
Oggi è la festa del lavoro. Un tempo grande festa: cortei, bande, bandiere; canti, comizi e concertoni. Per i lavoratori l’occasione di rivendicare dignità e benessere. Per i sindacati l’occasione di dimostrare forza e unità (talora finta), fare proselitismo e affermare rappresentatività. D’altronde la data ricorda la sanguinosa repressione di lavoratori che rivendicavano diritti (1886 a Chicago; 1947 a Portella della Ginestra in Sicilia).
Ai cortei sindacali man mano s’accodano altri soggetti, discriminati per vari motivi. Invocano “pari dignità sociale” ed eguaglianza “senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali” (art. 3 Cost.). Sono anzitutto disoccupati (più o meno organizzati). E poi: studenti; femministe; disabili; persone senza casa; abitanti di periferie dimenticate, giovani di centri sociali (non sempre pacifici); immigrati ecc.. Sollecitano lo Stato a combattere ingiustizie, disuguaglianze e povertà. Il 1° maggio è la “festa della rivendicazione sociale”: di lavoratori verso datori di lavoro; di diseredati verso il potere pubblico. Questa però è storia del XX secolo (il “secolo del lavoro”!).
Già verso la sua fine e all’inizio del XXI lo scenario socio-economico muta e il 1° maggio inizia a perdere mordente. Globalizzazione e innovazione tecnologica rivoluzionano l’organizzazione produttiva: tramonta l’impresa taylor-fordista, la vecchia classe operaia s’avvia all’oblio e il sindacato s’indebolisce. Arriva poi la pandemia che da un paio d’anni aggrava la situazione dei lavoratori in molti settori. Diminuisce il lavoro e aumenta la disoccupazione, non certo arginata dal blocco dei licenziamenti, misura transitoria d’emergenza.
La nuova organizzazione aziendale riduce il lavoro, lo frammenta e disperde in vari modi. E il legislatore risponde inventando nuove figure professionali che abbassano il confine tra lavoro subordinato e autonomo. Le novità colgono impreparato il sindacato che fa fatica ad agire contro la deindustrializzazione (specie del Mezzogiorno), l’articolarsi inconsulto delle organizzazioni aziendali e le delocalizzazioni (caso Whirlpool). Difficile tenere assieme interessi di vecchie e nuove categorie professionali e trovare nuove strategie di tutela dei lavoratori.
Con queste vistose metamorfosi e colla tragica pandemia, il 1° maggio perde l’antica essenza della festa (ora peraltro impossibile da celebrare causa divieto d’assembramenti), ma non l’ideale di difendere dignità e tutela del lavoro. Difatti la relativa disciplina va oltre la cerchia di una sola classe ampliando il raggio d’azione. Anzi, proprio nel nuovo e complicato contesto socio-economico, fa risaltare l’attualità della Costituzione. Se “l’Italia è una “Repubblica democratica fondata sul lavoro” (art. 1), questo va tutelato “in tutte le sue forme ed applicazioni” (art. 35). Mentre un tempo la tutela era (quasi) riservata ai soli lavoratori subordinati contrapposti agl’imprenditori, oggi non è così. Poiché alla “subordinazione tecnica” s’affiancano “subordinazione socio-economica” e “subordinazione organizzativa”, sorgono altre forti contrapposizioni, disuguaglianze e sfruttamenti. “Partite-Iva”, “collaboratori part time” di più datori di lavoro, riders ecc. sono i “presunti” lavoratori autonomi che stanno peggio di tanti subordinati e molto peggio dei dipendenti pubblici (pur se non tutti naviganti nell’oro).
Insomma le nuove figure professionali, a prescindere dall’inquadramento formale, richiedono nuove tutele a salvaguardia appunto della dignità del lavoro. Ciò naturalmente prescinde dal disastro della pandemia. I tanti cui essa ha tolto lavoro (ristoratori, albergatori, artigiani, taxisti, ambulanti ecc.) vanno aiutati coi famosi ristori, cioè con ammortizzatori sociali riservati a chi, anche temporaneamente, non ha mezzi di sussistenza (art. 38 Cost.). Intanto però occorre non cedere alla facile tentazione di trasformare il 1° maggio nella festa del sussidio statale, specie dopo la pioggia di soldi del Recovery Plan.
Ora il modo appropriato di celebrarlo è collegare il clima tempestoso del Paese al dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.). Che incombe su ciascun cittadino cosciente della situazione del Paese. E’ enorme il debito dell’Italia e non sarà facile impiegare il finanziamento europeo fruttuosamente e rapidamente. Peraltro i soldi dell’UE solo in piccola parte sono “regalati”; la maggior parte farà aumentare il vertiginoso debito. Per fronteggiare il quale occorre far crescere l’economia.
(Corriere del Mezzogiorno,1 maggio 2021)