Le elezioni tedesche e la sconfitta della SPDIl partito storico della socialdemocrazia tedesca fondato ai tempi di Marx. ha subito un’amara e disastrosa sconfitta dopo sette anni di direzione del governo guidato da Gerhard Schroeder e quattro anni di compartecipazione nella Grande Coalizione.
Le elezioni di fine settembre in Germania hanno decretato la fine della Grande Coalizione insieme con la disfatta della SPD, il partito storico della socialdemocrazia tedesca fondato ai tempi di Marx. Un’amara e disastrosa sconfitta dopo sette anni di direzione del governo guidato da Gerhard Schroeder e quattro anni di compartecipazione nella Grande Coalizione. Una sconfitta prevista, ma non per questo meno clamorosa: la SPD passa dal 34 al 23 per cento dei voti, perdendo un terzo dei suoi elettori.
La dimensione del crollo appare ancora più drammatica se si considera che solo dieci anni or sono, la SPD aveva ottenuto oltre il 40 per cento dei voti, quando assunse il cancellierato Gerhard Schroeder. Cosa può essere accaduto di tanto grave da provocarne una così rovinosa dèbacle? In effetti, bisogna dire che essa segue
la sconfitta dei socialisti francesi e precede quella annunciata dei laburisti inglesi nelle elezioni del 2010, per non parlare del drastico ridimensionamento del PD in Italia. In altri termini, l’interrogativo può essere esteso, in misura diversa, ai partiti del centrosinistra dei quattro più grandi paesi dell’Unione europea. Qual è la causa della loro inarrestabile deriva? La tesi corrente è che la crisi della sinistra europea è da attribuire a un certo conservatorismo, a un residuo ideologico del XX secolo, all’incapacità di cogliere le novità del tempo presente e di adeguarvi la propria politica. Ma è veramente questo il caso della SPD?
La socialdemocrazia tedesca, da Schroeder in qua, non ha fatto altro che adeguarsi all’analisi corrente dei cambiamenti sociali. Ha sposato la linea della responsabilizzazione individuale, del ridimensionamento del ruolo dello stato in economia, di una crescente deregolazione del mercato del lavoro, della riduzione dello stato sociale. Il governo socialdemocratico non si è sottratto a nessuno di quelli che sono considerati i nuovi principi del riformismo: le cosiddette “riforme strutturali”. Il Neue Mitte, il “Nuovo centro”, sulla scia della Terza Via di Tony Blair, divenne alla fine degli anni Novanta la stella polare della modernizzazione socialdemocratica. All’inizio del secondo mandato, nel 2003-2004, il governo Schroeder dette corpo , con l’Agenda 2010, a uno dei più ambiziosi programmi in senso riformista conosciuti in Europa. Tra i suoi capisaldi spiccavano: la riduzione delle indennità di disoccupazione per favorire la mobilità del lavoro; l’ampliamento della libertà di licenziamento; l’allungamento dell’età pensionabile fino a 67 anni, e così via. Cose che Ichino e altri consiglieri economici del PD non avrebbero potuto non apprezzare e sottoscrivere.
Ma l’adesione alla visone neoconservatrice dominante, appena velata dalle mistificazioni della “terza via”, non ha portato fortuna alla socialdemocrazia tedesca. Ha contribuito invece allo smarrimento della sua identità. Aveva provato a inseguire il fantomatico “centro”, luogo mistico delle aggregazioni politiche e elettorali, e invece ha perduto consensi tanto nella classe operaia quanto nei ceti medi. Un destino isolato, o una deriva del riformismo di una grande parte di partiti della sinistra europea? Sarebbe interessante sapere se vi sono sedi nelle quali i diversi candidati alla segreteria del PD abbiano discusso la sconfitta della SPD e, eventualmente, quali conclusioni ne abbiano tratte.
Ma torniamo alla Germania. Il collasso della SPD non segna una sconfitta irrecuperabile della sinistra tedesca. La Link, il partito della sinistra fondato nel 2007 sotto la guida del vecchio capo carismatico della socialdemocrazia tedesca, Oskar Lafontaine, uscito dalla SPD al tempo del primo governo Schroeder, ha conquistato il 12 per cento dei voti, oltre un milione dei quali provenienti dalla SPD. I Verdi hanno raggiunto con oltre il 10 per cento il miglior risultato della loro storia. Nell’insieme lo schieramento che si colloca alla sinistra del prossimo governo CDU-liberali può contare sul 46 per cento dell’elettorato contro il 48 per cento della maggioranza di governo.
Dopo la sconfitta è stato avviato il cambiamento del gruppo dirigente della SPD. Alla presidenza è stato designato Sigmar Gabriel e alla segreteria Andrea Nahales, una donna di 38 anni della sinistra del partito. Il primo segnale di svolta è stata l’apertura del dialogo con la Link. Un nuovo schieramento di sinistra, insieme con i Verdi, può proporsi di conquistare il governo di un certo numero di Lander. Per la prima volta una maggioranza “red-red”, formata da SPD e Link è pronta a insediarsi al governo del Brandeburgo. E nel 2010 si gioca la grande partita del Nord Reno-Westfalia, un land di 18 milioni di abitanti, dove la sinistra potrebbe scalzare il governo CDU. La partita che si gioca negli Stati ha un’importanza nazionale perché può modificare la composizione del Bundesrat, la Camera alta dove sono rappresentati i Lander, con effetti generali sulla politica del governo federale.
Insomma, dopo la sconfitta si prefigura uno spostamento programmatico e politico della SPD a sinistra. Un tentativo illusorio, o la possibilità concreta di una svolta politica importante non solo per la Germania ma anche per il resto della sinistra europea? L’interrogativo rimane sospeso in attesa di sviluppi concreti. Ma qualcosa è già successo e bisognerebbe prenderne atto. La socialdemocrazia tedesca (e non solo questa) ha inseguito il riformismo senza principi ispirato alle politiche neoliberiste e ha pagato un prezzo quasi mortale.
Tornando in casa nostra (o più precisamente al PD alla ricerca di una nuova identità), il risultato delle elezioni in Germania potrebbe essere considerato un “avviso ai naviganti”. Un invito ad abbandonare le tentazioni del magma centrista e dall’ambiguo riformismo sociale di destra che nei maggiori paesi europei ha condannato all’irrilevanza la sinistra. Uno sviluppo tanto più paradossale, se si considera che la crisi in corso a livello globale ha dimostrato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, la vacuità delle ideologie neoconservatrici che hanno dominato gli ultimi due o tre decenni.
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