Le disavventure dell’orario di lavoro nel XXI secolo
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L'orario di lavoro era al centro del progresso sociale nella seconda metà del secolo scorso. Ora la deregolamentazione è diventata la regola, disarticolando la vita personale e familiare. La riduzione del tempo di lavoro è stata più fortunata di quanto aveva immaginato quasi un secolo fa il suo celebre sostenitore Lord Keynes, quando fece la famosa "profezia" in un discorso tenuto a Madrid nell'estate del 1930. In quell'occasione, Keynes sostenne che, nel corso di circa un secolo,il tempo di lavoro sarebbe stato ridotto a tre ore al giorno. La sua previsione entrò nella letteratura keynesiana, ma rimase sempre al margine del discorso sulla piena occupazione che divenne il centro della sua teoria nel campo della politica economica. Oggi, dopo quasi un secolo, dobbiamo chiederci: cosa ne è stato della sua profezia? In effetti, la domanda e la risposta sono meno ovvie di quanto potrebbero a prima vista apparire. Nei primi decenni del secolo scorso, l'orario di lavoro era generalmente di circa 3000 ore all'anno. È vero che, all'inizio del secondo decennio del secolo, Henry Ford, sviluppando la moderna teoria dell’organizzazione del lavoro di Frederick Taylor, aveva inaugurato la rivoluzionaria catena di montaggio nella sua fabbrica di automobili di Detroit, riducendo sorprendentemente a 8 ore i turni di lavoro. Tuttavia, questa rivoluzione era destinata a rimanere una sostanziale eccezione nei decenni successivi. Nei decenni successivi anche il limite delle 40 ore settimanali fu valicato. In Italia, in importanti settori pubblici, come il servizio postale e il sistema sanitario, il lavoro settimanale fu ridotto a 36 ore su iniziativa dei sindacati. Una tendenza che tuttavia si è arrestata successivamente, facendo dell’Italia, con 1730 ore, uno dei paesi dell’eurozona con il più alto orario di lavoro annuale. In Germania, a metà degli anni Novanta si adottarono le 35 ore settimanali nelle principali industrie manifatturiere, dall’ industria automobilistica alla siderurgia e all’industria chimica. Ancora più importante fu alla fine del secolo il superamento della barriera delle 40 ore con il passaggio generalizzato a 35 ore stabilite in Francia su iniziativa di Martine Aubry, ministro del Lavoro del governo socialista di Jospin E non si trattò solo della riduzione dell’orario settimanale. Non meno importante fu l’estensione delle ferie fino a cinque o sei settimane all'anno, contribuendo a un importante progresso nella vita individuale e familiare. Tuttavia, non furono questi gli unici cambiamenti. Abbiamo assistito, infatti, a una seconda rivoluzione rispetto alla tradizionale organizzazione del lavoro con l’innovazione del part-time e la sua crescente diffusione. Un passaggio che contribuì fortemente alla riduzione dell'orario di lavoro medio. Ad esempio, in Danimarca, nei Paesi Bassi e in Francia, abbiamo visto abbassare la media al di sotto delle 1500 e in Germania a1360 ore annuali – il livello più basso a livello globale. La novità non ha riguardato solo la forte contrazione quanto la possibilità di articolare il tempo di lavoro in relazione ai bisogni e alle preferenze nelle diverse fasi della vita lavorativa. Vi sono, infatti, da un lato, lavoratori che non hanno difficoltà a lavorare secondo il paradigma del tempo pieno di 40 o 35 ore settimanali, o addirittura di 30 ore come in alcuni esperimenti condotti in Svezia. Un medico in un ospedale, un ricercatore che lavora all'interno di un gruppo collettivo o un lavoratore manuale specializzato può considerare il tempo pieno come scelta coerente con il suo interesse professionale. In altri termini, una riduzione drastica, permanente e uguale per tutti non solo non è nell’ordine delle cose, ma nemmeno nelle aspirazioni di uomini e donne indistintamente considerati. Dall'altro lato, il lavoro a tempo parziale può essere preferito in una serie di circostanze nel corso della vita lavorativa, come l'impegno nello studio, la cura particolare della famiglia, o una minore necessità di guadagno nel corso del tempo, e così via. In breve, nell'organizzazione della società moderna, l'orario di lavoro individuale non può essere fissato allo stesso livello per tutti e per tutta la vita lavorativa. Ma che cosa è successo di questa combinazione, profondamente innovatrice, in grado di combinare le esigenze della produzione, in particolare nei sempre più ampi settori dei servizi, con le esigenze e le preferenze personali? Nei nuovi scenari, il lavoro a tempo parziale ha profondamente cambiato la sua natura iniziale. E’ in larga misura diventato un regime illimitatamente variabile volto a garantire molto più che le scelte dei lavoratori l'assoluta libertà dell'organizzazione aziendale, creando un vasto campo di subalternità del lavoro dipendente. Gli Stati Uniti sono stati ancora una volta al centro del cambiamento e, per molti versi, dello snaturamento della nuova combinazione dei tempi di lavoro. 2. Negli Stati Uniti, il lavoro a tempo parziale è in larga misura l’unico disponibile e retribuito sulla base del salario minimo legalmente fissato a 7,25 dollari l'ora circa dieci anni fa, ora corrispondente a circa 6 dollari. Tuttavia, la maggior parte degli stati ha un livello più alto con una media di circa 12 dollari l'ora - un tasso che i sindacati e i democratici chiedono di aumentare a 15 dollari. In ogni caso, l'effettivo reddito settimanale è influenzato non solo dal basso livello salariale prevalente, ma anche dalla variabilità del part time regolato su base giornaliera o settimanale in relazione alle decisioni del datore di lavoro. A causa della bassa retribuzione e dell'incertezza delle ore di lavoro non è rara la necessità di combinare due lavori part-time, a volte tre, per arrivare a fine mese. Walmart è un esempio lampante di deregolamentazione e sfruttamento. Com’è noto, si tratta della più grande catena di ipermercati e grandi magazzini del pianeta con circa un milione e mezzo di dipendenti negli Stati Uniti, e oltre due milioni a livello globale. Il suo salario orario è aumentato di recente a 11 dollari dopo che Trump ha ridotto le tasse per le grandi imprese. Come si può immaginare, non ci sono sindacati all'interno di Walmart. Dall'inizio degli anni '60, il fondatore Sam Walton aveva in mente un chiaro imperativo: i sindacati dovevano essere tenuti fuori dalla sua catena di supermercati. L'impegno è stato mantenuto. Dopo molti decenni di tentativi falliti, l’AFL-CIO, la confederazione dei sindacati americani, non è stata in grado di entrare nella più grande catena di ipermercati del mondo. E chiunque al suo interno sia stato sospettato di simpatie sindacali si è trovato irrimediabilmente licenziato. Walmart è un caso esemplare ma non un'eccezione. Negli Stati Uniti i sindacati sono presenti solo nel 7 percento delle imprese private. Non può stupire in questo quadro l’assenza di garanzie collettive. E non è un caso che circa la metà dei lavoratori che Walmart definisce "associati"(!)) siano part-time. Una condizione di lavoro che spesso costringe a combinare due lavori in imprese diverse per sfuggire a una inevitabile condizione di povertà. Una condizione, soprattutto diffusa tra le donne, che anche per l’incertezza e la variabilità degli orari contribuisce alla disgregazione della vita familiare, soprattutto in presenza di figli di minore età. 3. I mutamenti del tempo di lavoro sono stati altrettanto profondi nell’Unione europea, ma con modelli ed esiti difformi. Ci soffermeremo su tre casi emblematici: Germania, Regno Unito e Paesi Bassi. - In Germania, la deregolamentazione è, come prevedibile, organizzata secondo precise disposizioni di legge. La riforma avviata da Peter Hartz, sotto il governo Schröder nel 2003, è un caso esemplare di deregolamentazione dell'orario di lavoro. Il primo passaggio fu la formalizzazione dei cosiddetti mini-job. Caratterizzati da un orario di lavoro di 12 ore settimanali i mini-job procurano un salario massimo mensile di 480 euro. Questa categoria coinvolge oltre sette milioni di lavoratori, nella maggioranza donne. Trattandosi di circa un sesto del lavoro dipendente, consente alla Germania di esibire un tasso di disoccupazione fra i più bassi nell’Unione europea. Oltre ai mini-job, la legge prevede anche un salario minimo corrispondente, dopo l’ultimo aumento, a 9,35 euro l'ora e a una retribuzione massima di1.584 euro lordi al mese. Per fare un esempio, un lavoratore part-time che lavora 20 ore settimanali guadagnerà un salario netto mensile di 625 euro. Per avere un’idea della disintegrazione degli orari di lavoro e del ruolo selettivo svolto dal salario minimo legale, dobbiamo considerare che il guadagno medio mensile di un lavoratore a tempo pieno oscilla intorno a 4000 euro al mese. Poiché la precarietà dell’orario e del salario tocca nell’insieme circa 15 milioni di lavoratori (su 45 milioni di dipendenti), non può stupire la creazione di una imponente massa di lavoratori poveri nella maggiore potenza economica europea. - Nel Regno Unito, si può osservare un caso diverso ma non meno rappresentativo di una confusa deregolamentazione dell'orario di lavoro. Innanzitutto, tempo pieno e part-time non hanno confini precisi. Non esiste una definizione legale del part time che in linea di principio varia da una a 35 ore settimanali, senza escluderne il superamento. Potendo coincidere, in altri termini, col tempo pieno, secondo le scelte dell’azienda. Per cui non è raro che i datori di lavoro licenzino i dipendenti a tempo pieno per assumerli part time, sfruttando l’estrema variabilità degli orari, i salari più bassi e la libertà di licenziamento. I minimi salariali definiti dalla legge, generalmente applicati al lavoro part time, oscillano secondo l’età da 6,4 sterline l’ora per i più giovani a 8,7 sterline per gli adulti da 25 anni in su. Poiché l’orario medio di un lavoratore part time è intorno a 17 ore settimanali il salario corrispondente varia da circa 110 sterline per i più giovani a 150 sterline per gli adulti da 25 anni un su. Potremmo dire che la deregolamentazione dell'orario di lavoro, sotto la maschera di una flessibilità senza confini, è il finale coronamento del deperimento della contrattazione collettiva iniziato col governo di Margaret Thatcher. Inizialmente nimmaginata come uno strumento in grado di combinare le esigenze di un'impresa, in particolare in alcuni settori dei servizi, con i bisogni e le preferenze di un lavoratore o di una lavoratrice, la flessibilità si è trasformata in uno strumento arbitrano nelle mani dell'impresa. Secondo i calcoli del governo il part ime riguarda circa otto milioni di lavoratori e lavoratrici pari a circa il 27 per cento del totale del lavoro dipendente. In altri termini, una vasta area sociale che la progressiva disgregazione delle regole che in passato presiedevano alla gestione del lavoro hanno ridotto in una condizione di povertà milioni di famiglie in un paese che si colloca al secondo posto, dopo la Germania, fra i paesi col maggiore reddito nazionale in Europa. Il motivo è la possibilità di combinare il lavoro con l'organizzazione personale e familiare. In sostanza, il tempo parziale ha acquisito la stessa dignità del tempo pieno. Posto che anche fra il 25 e il 30 per cento dei maschi lavora in un regime di part time, nell’insieme il mondo del lavoro è diviso a metà fra lavoro a tempo pieno e part-time, secondo un criterio largamente improntato alla volontarietà della scelta, e senza discriminazioni dal punto di vista retributivo e professionale. Tuttavia, non è questo il punto principale. Keynes, coerentemente con il suo tempo, ipotizzò una riduzione uguale per tutti. Questa si è dimostrata una previsione non realistica. Ci sono persone che, durante le diverse fasi della loro vita, scelgono di lavorare un numero diverso di ore per motivi personali o familiari. In linea generale, è ragionevolmente prevedibile che, da un lato, il tempo di lavoro complessivo continui a diminuire in virtù di un’ininterrotta rivoluzione delle tecnologie; dall’altro, le ore di lavoro personali continueranno a variare in relazione alle tipologie produttive. Inoltre, la possibilità di effettuare una scelta individuale all'interno di una pluralità di schemi definiti collettivamente sarà sempre più importante. Purtroppo sempre più spesso in Europa i partiti di sinistra al governo hanno accettato la politica e la pratica di una falsa flessibilità che maschera la sostanziale deregolamentazione dell'orario di lavoro. Tuttavia, qualcosa sta cambiando. I vecchi partiti socialdemocratici sono in crisi ovunque. L'orario di lavoro, la sua distribuzione, la sua coerenza con le possibili diverse scelte individuali possono diventare il tema principale di una rinnovata politica sociale dei partiti e movimenti di sinistra oltre che dei sindacati. È rischioso fare previsioni. Tuttavia, l'orario di lavoro rimane un punto di riferimento centrale di un possibile disegno di cambiamento in una direzione progressista della politica sociale. Si muove in questa direzione il programma elettorale del candidato democratico di sinistra per la presidenza degli Stati Uniti, Bernie Sanders. E, in alcuni paesi europei, come recentemente in Spagna e Irlanda, i partiti di sinistra hanno ottenuto un notevole successo elettorale ponendosi come partner governativi. La deregolazione dell’'orario di lavoro, è sempre più diventata un asse delle politiche neoconservatrici. Un impegno per uscire dal labirinto delle politiche autolesioniste che hanno messo in crisi l’eurozona sotto il profilo economico e sociale non è solo auspicabile ma possibile. La naturale premessa è la presa d’atto del fallimento delle politiche economiche e sociali praticate nel passato decennio, di cui la disintegrazione dei tempi di lavoro è un esempio illuminante. Antonio Lettieri
Antonio Lettieri is Editor of Insight and President of CISS – Center for International Social Studies (Roma). He was National Secretary of CGIL; Member of ILO Governing Body,and Advisor of Labor Minister for European Affairs.(a.lettieri@insightweb.it) Insight - Free thinking for global social progress
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