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La Troika ammette il fallimento della politica imposta alla Grecia, basata sul consolidamento di bilancio. Si è determinato, infatti, un circolo vizioso tra tagli di bilancio, deflazione, peggioramento del saldo di bilancio, nuovi tagli e così di seguito.
Un recente documento della Troika “strettamente confidenziale” ammette che qualcosa non ha funzionato in Grecia, e che il consolidamento di bilancio non ha avuto effetti espansivi: “i recenti sviluppi richiedono un riesame delle ipotesi utilizzate per l’analisi della sostenibilità del debito. Dalla quarta revisione, la situazione in Grecia ha preso una brutta piega, con l’economia sempre più tendente alla recessione … Le manovre di politica fiscale e di crescita assunte nell’ambito del programma hanno dei precedenti nella esperienza di altri paesi, ma fino ad oggi l’esperienza del programma suggerisce che la Grecia non sarà in grado di rappresentare un altro precedente,realizzando nello stesso tempo, e partendo da condizioni iniziali molto deboli, una grande svalutazione interna, un riequilibrio fiscale e un programma di privatizzazioni.”( http://www.linkiesta.it/sites/default/files/uploads/articolo/troika.pdf )
In questi anni i cittadini greci si sono sentiti dire che i tagli alle spese pubbliche e gli aumenti di imposte erano necessari per espiare i peccati (commessi dal governo Karamanlis) ed indirizzarsi per una nuova e sostenibile via allo sviluppo economico. Tra le esperienze precedenti cui fa riferimento il documento della Troika ci sono quelli della Danimarca, nella prima metà degli anni ottanta, e dell’Irlanda, nella seconda metà. Tuttavia, se si guarda attentamente a queste due esperienze si vedrà che in entrambi i casi i due fattori decisivi sono stati la svalutazione del cambio, che ha dato una spinta alle esportazioni, e la discesa dei tassi d’interesse che hanno sostenuto gli investimenti delle famiglie e delle imprese.
Mentre entrambe le condizioni erano presenti nei casi danesi ed irlandesi, entrambe sono assenti nel caso greco, poiché i tassi sono saliti e, essendo la Grecia nell’euro, ha subito il processo di rivalutazione degli anni passati.
Inoltre c’è una contraddizione di fondo nel combinare una politica di bilancio fortemente restrittiva con una deflazione interna di prezzi e salari, necessaria per guadagnare competitività. La deflazione interna è appunto necessaria non essendo possibile la svalutazione della moneta nazionale, che non esiste più, ma ciò determina una caduta dei redditi (nominali ma anche reali) e quindi delle entrate, con la conseguenza di non raggiungere gli obbiettivi di deficit prefissati. Si determina un circolo vizioso in cui i tagli di bilancio determinano deflazione che peggiora il saldo di bilancio ed induce un nuovo taglio e così via.
Citando di nuovo il documento della Troika, troviamo la seguente ammissione: “uno shock combinato che rappresenti uno scenario di forte svalutazione interna causata da una profonda recessione – farebbe crescere nettamente il debito nel breve termine. … Attraverso una recessione e una deflazione molto profonda il divario di competitività sarà liquidato entro il 2017, invece che nel prossimo decennio. L’aggravarsi delle turbolenze dovute alla profonda recessione si presume che ritarderà di tre anni il raggiungimento degli obiettivi di politica fiscale e la privatizzazione. Mentre l’economia si contrarrà rapidamente, il debito raggiungerà livelli estremamente elevati nel breve periodo, al 208 per cento del PIL … L’accesso al mercato non sarà probabilmente ripristinato fino al 2027 … cumulando necessità di finanziamento aggiuntive … che potrebbero avvicinarsi € 450 miliardi“.
Tornando ai casi danesi ed irlandesi, va ricordato che entrambi i paesi beneficiarono di un buon tasso di crescita economico in Europa, dopo il rallentamento dei primi anni ottanta, che favorì una crescita export led (particolarmente in Irlanda); le prospettive odierne in Europa sono molto tristi. Draghi pochi giorni fa ha parlato di una “leggera” recessione nei prossimi mesi, e Fabrizio Galimberti (Il Sole 24 ore 5-11) ha notato che è come dire di una donna che è “leggermente incinta”. Come mai le previsioni sono cambiate così rapidamente? Certamente per via di una crescente incertezza sui debiti sovrani, sulla solidità delle banche ecc…, ma anche perché tutti i paesi si sono imbarcati contemporaneamente in politiche di bilancio restrittive.
L’idea, condivisa ancora da molti economisti, è che il taglio delle spese pubbliche oggi porta a minori imposte domani, e ciò ha un effetto positivo su consumi ed investimenti; questa posizione (nota come “expectation view” o anche “German view”) potrebbe in teoria essere giusta. Ricorda la tesi ricardiana dell’equivalenza tra debito pubblico ed imposta straordinaria. Ma forse il problema è che i consumatori non sono così intelligenti come quegli economisti, e quando vedono che il loro reddito disponibile viene tagliato, tagliano i consumi, e le imprese a seguire tagliano gli investimenti.
Come ha scritto Parenteau, “per essere chiari, la Grecia non è un caso speciale, ma piuttosto un caso esemplare di ciò che accade quando si tenta un risanamento delle finanze pubbliche in paesi con alto debito privato in rapporto al PIL, e grandi, ostinati deficit di conto corrente. Le contrazioni fiscali espansive sono possibili, ma non sono automatiche: infatti, richiedono condizioni molto particolari. Perseguire la svalutazione interna e al tempo stesso un riequilibrio finanziario assicura che l’impegno verso quest’ultimo verrà ostacolato dalla deflazione dei redditi domestici. Dobbiamo concludere che la strategia politica della Troika è stato un misero fallimento – anzi, sembrano finalmente essersene resi conto anche loro. E’ ora di esplorare delle direttive politiche completamente nuove prima che le economie della zona euro rimangano impantanate in quella che sembra essere la politica economica sbagliata e ideologica della Troika”.