Le “Riforme” governative nelle strettoie del “Campo Largo”

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Gl’italiani – molti del Nord – vogliono contrastare il regionalismo differenziato. Nell’attuale quadro drammatico il regionalismo della Lega-Nord danneggia l’intero Paese.

Il Partito Democratico vorrebbe il “campo largo” del centro-sinistra: ardua impresa per Schlein. Vero è che se il centro-sinistra non trova l’unità – almeno programmatica – non diventerà mai, da minoranza d’opposizione, maggioranza di governo, alternativa alla destra di Meloni, Salvini, Tajani. Adesso poi due ragioni, decisive per l’Italia, sollecitano urgentemente l’unità. La prima è l’avvicinarsi della scadenza elettorale d’autunno in Regioni del Nord governate dalla destra. Diviso il centro-sinistra perde, mentre l’unità del centro-destra è scontata: per conservare il potere si supera ogni dissenso. La seconda ragione è l’indispensabilità di bloccare le tre riforme, una peggiore dell’altra, frutto dell’insano scambio politico tra Lega, FdI e FI.

 1.  Peggiore in assoluto è l’Autonomia regionale differenziata di Calderoli: ormai legge 86/2024. Che separa il Nord dal Sud e divide l’Italia – che già conta poco nel mondo globale – in venti staterelli insignificanti. Le Regioni avrebbero competenze che esigono invece “unità” e “indivisibilità” del Paese: per logico pragmatismo non per l’astratto dettato dell’art. 5 Cost. E’ penoso che, dopo un quarto di secolo, la destra continui a dire ironicamente di limitarsi ad attuare la riforma della sinistra, nel 2001, del titolo V Cost.

Priva di senso storico, la destra non capisce che, se all’epoca quella riforma fu avventata, oggi è anacronistico e irrazionale attuarla (con o senza lep). Prescindendo dalle ideologie, c’è l’elementare necessità organizzativa ed economica della Nazione. Quel contesto è parecchio superato dagli eventi eccezionali – italiani, europei, mondiali – degli ultimi venticinque anni, che richiederebbero semmai una coerente revisione del titolo V. Peraltro, dieci anni fa, la Presidente Meloni proponeva addirittura l’abolizione delle Regioni. Evidentemente la “Signora Storia” non è “Maestra” di Calderoli.

Abbiamo vissuto: la crisi economico-finanziaria del 2008; lo smisurato spread del 2011; l’avvento di populismi antisistema; la riduzione dei parlamentari; il Covid mondiale del ‘20-21, dimostrazione dell’assurda regionalizzazione della sanità. Ultimamente poi due guerre vicine all’Italia. Inoltre: globalizzazione; immigrazione; evoluzione tecnologica; crisi industriali; aumento di disoccupazione e povertà; trasformazione del lavoro; crisi energetiche; cambiamento climatico; allargamento dell’Unione Europea. Il cui ordinamento condiziona gli ordinamenti nazionali, in controtendenza con le politiche sovraniste delle destre europee. Bocciate nell’elezione recente del Parlamento europeo (seppure aumentate nelle percentuali). Ma l’enorme raccolta di firme referendarie per abrogare la legge 86/2024 dimostra che tutti gl’italiani – molti del Nord – vogliono contrastare il regionalismo differenziato. Hanno capito quanto non capisce Calderoli: nell’attuale quadro drammatico il regionalismo della Lega-Nord danneggia l’intero Paese.

2) Il Premierato è per Meloni la “madre di tutte le riforme” ma è una madre non troppo onesta. Vuole trasformare la nostra democrazia parlamentare – basata su pluralismo, partecipazione civica, equilibrio dei poteri – in una “democratura”: si vota ogni cinque anni un “capo” per farne in sostanza un dittatore eletto dal popolo. Magari un capo all’apparenza vivace e seducente, ma di fatto un demagogo incapace di governare. Che, senza mediazioni e col Parlamento asservito, diventa l’unico interprete dell’interesse nazionale, cioè l’unico vero legislatore col potere d’esautorare financo l’autonomia dei venti legislatori regionali a dispetto di Calderoli. E tale mostro giuridico-costituzionale dovrebbe assicurare la stabilità del governo?

3) Infine la Riforma della giustizia, da tutti ritenuta necessaria. Non solo da FI e Nordio ma pure dalla magistratura con diversità di punti di vista. A nessuno sfugge la sua complessità, data l’interdipendenza tra norme penali (sostanziali e processuali); pene e relativa certezza; carceri civili e umane (ora inesistenti); più magistrati e operatori giudiziari. Ottima l’idea d’affidare a un collegio di tre magistrati la decisione della custodia cautelare: ma dove stanno tanti giudici? Sicuramente la riforma è irrealizzabile senza dialogare con magistrati, avvocati e operatori del “sistema-giustizia”. Il Governo però ascolta più balneari e tassisti che magistrati, sebbene costoro costituiscano un autonomo “ordine costituzionale”, sottoposto solo alla legge.

Ora certamente la maggioranza di governo naviga in acque agitate: sia per queste riforme sia per vari altri problemi, non ultimo l’jus scholae. Ma sono maggiori gl’inciampi nel percorso unitario del centro-sinistra. Delle cui componenti, ciascuna ha i suoi travagli più o meno vistosi. Esistono tensioni nel PD; ambiguità nel M5S; titubanze e veti incrociati tra Conte, Calenda e Renzi. Tutti guasti d’un mediocre leaderismo: mancando partiti veri, ci sono molti generali impreparati e poche truppe d’assalto elettorale. Riusciranno questi eroi a costruire l’alternativa ai governi della destra, nazionale e regionali? 

-(Corriere del Mezzogiorno, 18 agosto 2024)

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.