"Lavoro povero" e diritti negati

Sottotitolo: 
Lavoro nero e sfruttamento nel Mezzogiorno - il lavoro  sottostimato e malpagato della maggior parte dei lavoratori.

Da tempo gl’imprenditori del variegato settore turistico lamentano di non trovare lavoratori qualificati e soprattutto motivati per mandare avanti, con diverse mansioni, alberghi, ristoranti, bar, villaggi turistici, stabilimenti balneari ecc.(introvabili sia direttori e controllori, sia cuochi, camerieri, lavapiatti ecc.). Fenomeno sorprendente, specie nel Mezzogiorno: dove la disoccupazione raggiunge cifre preoccupanti.

Molti imprenditori ritengono che la causa maggiore della situazione stia in particolare in due fattori: uno di carattere sociale, l’altro di carattere personale. Il primo è l’insieme delle forme assistenziali, anzitutto il “reddito di cittadinanza”: perché – si dice – chi lo percepisce non è incentivato a svolgere un lavoro che, a conti fatti, è retribuito grosso modo in egual misura. Il secondo è la poca voglia di lavorare dei giovani: che, nei colloqui aziendali, appaiono demotivati. Si dichiarano addirittura non disposti a lavorare il sabato e la domenica. Forse tali ragioni hanno qualche fondamento. Ma, per capire un fenomeno grave e inquietante, occorre articolarne l’approfondimento. Cioè riflettere: 1) sulle contraddizioni, in materia, della società italiana; e 2) sulle carenze istituzionali e organizzative del mercato del lavoro. Le une e le altre, come al solito, accentuate al Sud.

1.   Tra le contraddizioni, la più vistosa è che – a eccezione degli esercizi gestiti da rinomate imprese turistiche (grandi catene alberghiere) – i piccoli esercizi, pur di risparmiare, impiegano per lo più lavoratori in nero: extracomunitari senza permesso di soggiorno (quindi ricattabili); oppure, ancora meglio, percettori del reddito di cittadinanza (dei quali diventano complici). E nel lavoro nero ovviamente si fa presto ad arrivare all’ipersfruttamento delle persone con orari di lavoro umanamente insopportabili.

Lo sfruttamento è figlio di più contraddizioni a monte. Delle quali una sta nei tempi e modi burocratici dei permessi di soggiorno agli extracomunitari, la cui vivace protesta comincia infatti a montare (come davanti alla Prefettura di Caserta). Un’altra contraddizione, più generale, sta nella politica salariale nel nostro Paese, dovuta anche all’attuale debolezza sindacale (a sua volta dovuta al diffuso precariato). Il lavoro è sottostimato e malpagato, se confrontato con la media delle retribuzioni nei paesi industriali dell’Europa occidentale.

Naturalmente parliamo del lavoro medio-basso – la stragrande maggioranza – perché invece quello alto raggiunge spesso vette vertiginose, creando diseguaglianze pazzesche. Il cosiddetto “lavoro povero”, si sa, dipende soprattutto dal cuneo fiscale: il costo del lavoro, causa i contributi previdenziali, è alto per l’azienda (che rispetta le regole), mentre è basso il salario dei dipendenti.

Se poi dal discorso generale si passa a quello particolare del settore turistico la situazione peggiora. Qui infatti i rapporti sono stagionali, cioè a termine, e quasi sempre
part-time, secondo convenienza del datore (in pratica tutto precariato). Nel lavoro quindi alla scarsa incentivazione corrisponde la scarsa motivazione, specie di lavoratori con buona qualificazione professionale.

Come se non bastasse, sono basse financo le retribuzioni previste nel recente contratto collettivo nazionale: se non erro, al livello più alto si arriva sì e no a 2500 euro e a quello più basso si va intorno ai 1200 mensili lordi. Vero è che queste sono le retribuzioni minime, suscettibili quindi di aumento nei contratti aziendali, ma è vero pure che in genere contrattano in azienda le sole imprese medio-grandi, laddove la maggior parte dei lavoratori occupati nel settore turistico sta nelle piccole aziende. Le cose migliorerebbero se si diminuissero gli oneri contributivi: lo si dice sempre e non lo si fa mai.

 

2.    Quanto alle carenze istituzionali risalta subito il solito problema della burocrazia. Stato e Regioni sono incapaci di organizzare le strutture per l’efficiente gestione del mercato del lavoro. In realtà, se funzionassero a dovere Agenzia nazionale e Centri regionali dell’impiego, si faciliterebbe l’incontro “legale” tra domanda e offerta di lavoro, senza intermediari e caporali.

Come sarebbe facile il controllo costante sui percettori del reddito di cittadinanza. Non solo s’eviterebbe l’assurdità di darlo pure ai delinquenti, ma sarebbe anche facile gestire le occasioni di lavoro da offrire a chi legittimamente lo percepisce. Il quale lo perderebbe se rifiutasse quell’offerta senza giustificato motivo, come espressamente prevede la legge. La quale rimane criticabile per la confusione tra l’assistenza sociale a chi non è davvero in grado di lavorare e chi, in possesso della relativa formazione, può essere avviato a un lavoro, magari “socialmente utile”. Sebbene siano da riformare gli ammortizzatori sociali, ora dunque è carente non tanto la legislazione quanto l’organizzazione per applicarla.

Un esempio d’uso razionale dei percettori del reddito di cittadinanza pare adesso offrirlo il Comune di Napoli, che li impiega nella manutenzione dei giardini. Comunque i benpensanti continuano a rileggere candidamente l’art. 4 della Costituzione: “la Repubblica riconosce….il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Essi sanno che non bastano le norme a riconoscere il diritto al lavoro, ma retoricamente si chiedono: Stato e Regioni fanno realmente il loro dovere per promuovere le condizioni d’effettività del diritto? 

(Da Corriere del Mezzogiorno, 22 maggio 2022)         

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.