La solitudine della Grecia
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L'incontrastato dominio tedesco sulle decsioni dell'eurozona. Mentre il governo greco, pressato dalla fuga di capitali e lasciato solo da tutti, appare chiaramente che le istituzioni comunitarie, da qualche tempo e in particolare in questa fase, sono una finzione, visto che la linea la dettano la cancelliera tedesca Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze Wolfgang Shaeuble, che si pronunciano su qualsiasi cosa prima e senza curarsi delle istituzioni suddette. E se qualche rara volta qualcun altro esprime una posizione non gradita viene richiamato all’ordine e rimesso prontamente in riga. Così è accaduto con il timido tentativo di mediazione del francese Pierre Moscovici, che peraltro, essendo il Commissario responsabile di questi problemi, aveva ogni titolo per occuparsene. E così persino per il (teoricamente) presidente della Commissione, Jean-Claude Junker, e persino per il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem (che pure è annoverato tra i “falchi”), quando si sono sbilanciati in dichiarazioni solo vagamente più possibiliste verso le richieste greche. Ebbene, la situazione era già questa – cioè di effettivo e incontrastato dominio tedesco sulle decisioni comunitarie – quando è scoppiata la crisi greca. Il cosiddetto salvataggio è stato dunque deciso, nel tempi e nei modi, dal governo di Berlino, secondo le sue convenienze. I tempi sono stati dilatati – mentre si sa che le crisi finanziarie richiedono decisioni rapidissime – in attesa che si svolgessero le elezioni in un importante Land, per paura che i cittadini tedeschi pensassero che si stavano sprecando i loro soldi per darli a quegli imbroglioni dei greci. Questo ha fatto sì che la situazione si aggravasse enormemente, e quello che poteva essere risolto con una manciata di miliardi è diventato un problema dalla gestione costosissima e nemmeno risolutiva. Quanto ai modi, si dovevano far passare quelli più adatti a risolvere, più che la crisi della Grecia, quella delle banche che avevano incautamente prestato montagne di soldi a quel paese. E quelle banche, come abbiamo già detto, erano francesi (le più esposte) e tedesche, seconde a non molta distanza. Con grande abilità la gestione tedesca ha socializzato le perdite, accollandone una buona parte agli altri paesi europei. E l’Italia è quella che ci ha rimesso di più. Una tabella pubblicata dal Sole24Ore riassume la situazione meglio delle parole. Come si vede, prima della crisi gli Stati avevano esposizione zero verso la Grecia, mentre ad essere esposte erano le banche dei due paesi citati con al terzo posto un altro campione del rigorismo, l’Olanda. Ora quasi tutti i crediti sono in carico agli Stati, cioè ai contribuenti. Questo capolavoro è opera dello stesso governo che ha sempre rigettato con orrore qualsiasi ipotesi di soluzione per la questione dei debiti pubblici, persino quelle che non comporterebbero trasferimenti di risorse fra Stati, come l’ipotesi P.A.D.R.E. Due pesi e due misure, non è vero? Ricapitolare questa vicenda serve anche a capire come mai la Francia, guidata dai (teoricamente) socialisti, sia tanto acquiesciente verso i tedeschi. Ne ha i suoi vantaggi, come si è visto anche quando la signora Merkel si è fatta accompagnare da Francois Hollande a trattare con Putin sull’Ucraina (anche qui, senza minimamente curarsi non solo dell’Alta Rappresentante (!) Federica Mogherini, ma anche di concordare la linea con gli altri europei): forse Hollande si illude che qualcuno pensi che ha contato qualcosa, ma si dovrebbe rendere conto che ha fatto la figura del cagnolino al seguito. Si può capire anche il silenzio della Spagna, che dopo l’Italia è quella che ci ha rimesso di più. Il premier Mariano Rajoy è un conservatore, politicamente in sintona con Merkel e Schaeuble; e in cambio ha il permesso di sforare da anni (come la Francia, del resto) quei parametri europei in base ai quali a noi fanno le pulci per una differenza dello zero-virgola. Quello che davvero non si capisce è l’atteggiamento dell’Italia. Che sta zitta, paga e viene tenuta inflessibilmente in riga, nonostante che abbia – giustamente – contestato la metodologia sbagliata dei calcoli europei. Ma già, anche noi abbiamo ottenuto qualcosa: uno 0,25% di “flessibilità”. Carlo Clericetti
Giornalista - Collaboratore di "La Repubblica.it." Membro dell'Editorial Board di Insight. Blog: http://www.carloclericetti.it |