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La pandemia ha sì un profilo preminentemente sanitario, ma i suoi esiti sono ricaduti pesantemente anche su tutti gli altri settori di interesse collettivo, a cominciare dalla scuola.,
Come è noto, negli ultimi dieci anni (almeno) i settori più toccati dalle politiche di Austerità e di riduzione del Welfare sono stati quelli della sanità e della scuola, con una diminuzione degli investimenti di oltre 30 e di oltre 15 miliardi di euro rispettivamente.
Le strutture sanitarie, quelle investite direttamente dalla pandemia e che hanno dovuto sopportare il peso immane dell’ondata infettiva, hanno tuttavia “imparato qualcosa”, poiché potevano comunque contare su alti livelli di competenza, riconosciuti a livello mondiale.Oggi dunque, trovandoci in quella che viene definita la Fase 2 a cui spiegabilmente seguirà la Fase 3, cioè a dire quella della riconquistata normalità, le strutture sanitarie sono più pronte di quanto non fossero tre mesi fa a reagire a un’eventuale recrudescenza del male: sono stati previsti, tra l’altro, 60 ospedali Covid-19 a livello regionale, sono state più che raddoppiate le Unità di rianimazione e di cure intensive, sono state assunte diverse migliaia di medici e di infermieri.
Per la scuola il discorso si fa più difficile, anche perché la struttura scolastica ha un grado di complessità ben maggiore, coinvolgendo quotidianamente e in forme differenti qualcosa come 9 milioni di persone (alunni, insegnanti, personale amministrativo), senza contare le famiglie. Ma soprattutto a causa della scarsa considerazione che se ne ha, al di là delle roboanti parole della retorica politica e giornalistica, palpabile anche nel pensiero dominante le menti in questi giorni: se le scuole non riaprono, io i figli dove li metto? Ciò ha fatto sì che il problema fosse relegato in seconda linea o addirittura ignorato, se non fosse per l’incombere di “acuzie” (gli esami di stato), sulle quali si sono concentrate le attenzioni della grande stampa, drammatizzando l’evento (rito di passaggio) oltre il suo autentico significato. Ricordo solo che, in tempi normali, all’esame di stato viene promosso il 99,5% e oltre dei candidati. Più grave e urgente è invece la questione del rientro scolastico a settembre.
La proposta che ha inizialmente formulato la ministra Azzolina, che prevede una metà degli alunni di una classe a scuola, l’altra metà a casa, impegnata con la didattica a distanza) a me pare, nella realtà delle cose, impossibile ad attuarsi in modo quantomeno dignitoso. L’estrema rigidità d’impianto del sistema scolastico e la varianza territoriale delle risorse impediscono un’attuazione almeno “decente” in tutte le scuole italiane di un sistema di erogazione del servizio che si presenti troppo articolato e “sofisticato”.
Le classi-pollaio, contro le quali la ministra rivendica di essersi sempre battuta, restano ahinoi una realtà che la sciagurata politica di risparmio a tutti i costi ha seguito con pervicacia, in un’azione ancora una volta parallela a quella sviluppata nel settore sanitario: qui si è assistito alla chiusura di molti ospedali territoriali medio-piccoli, che, in circostanze come quelle attuali, avrebbero potuto svolgere un’azione di prevenzione e contenimento assai efficaci; nel mondo della scuola si è patita una analoga “concentrazione” delle attività in istituti molto grandi (ben oltre i mille alunni, distribuiti fino a sette sedi territoriali non autonome) e in spazi già prima inadatti e “fuorilegge”. Quante sono infatti le scuole italiane che a tutt’oggi non hanno la certificazione di agibilità?
Questa realtà non la si può certo cancellare in pochi mesi. Né è pensabile mettere i bambini e gli alunni più piccoli per una settimana davanti al PC, per poi rimandarli a scuola “a singhiozzo”. La didattica “intra moenia” e quella “extra moenia” dovranno differenziarsi oppure saranno sostanzialmente identiche, tranne che nei modi di relazione e di trasmissione? Saranno le scuole “autonome” a decidere Unità Didattiche, tempi e verifiche?
Tanti gli interrogativi che il pochissimo tempo a disposizione rende – o dovrebbe rendere - drammatici.
Quale può essere una soluzione? Procedere per fasi.
Prospettiva a breve:
- Rientro a settembre “nella normalità”, con classi tutte in presenza, eliminando, quantomeno per le classi iniziali dei cicli, l’attuale, folle coefficiente e portandolo a 20.
- Assunzione rapida, come è stato fatto per medici e infermieri, delle necessarie risorse di personale, a copertura delle maggiori spese
- Igienizzazione accurata dei locali prima dell’inizio delle attività e durante (pulizie straordinarie da trasformare in ordinarie, almeno fino alla fine del 2020, accrescendo le relative risorse da destinare al settore).
- Uso obbligatorio per tutti di mascherine, schermi e di ogni altro apparato anti-contagio (guanti, se necessario, disinfettanti per le mani, ecc.)
- Assemblee (collegi, consigli, ricevimenti) da tenersi solo se compatibili con il rispetto delle distanze e quindi in locali adatti, da reperire, se del caso, anche al di fuori della scuola.
Prospettiva a lungo:
- Imparare dall’esperienza del confinamento e iniziare a studiare seriamente una didattica “blended”, che integri la Didattica A Distanza e quella in presenza senza improvvisazioni e artifici, con procedure destinate a durare nel tempo, al di là delle attuali contingenze sanitarie. In questo ambito i contributi, le proposte e le elaborazioni venute dal basso, dalle scuole oltre che dagli esperti in questi mesi sono state numerose e spesso di elevata qualità.
La pandemia ha sì un profilo preminentemente sanitario, ma i suoi esiti sono ricaduti pesantemente anche su tutti gli altri settori di interesse collettivo. Il dramma delle migliaia di morti che abbiamo dovuto subire è acuto, lacerante, tragico. Ci sono tuttavia altre “morti”, meno immediate ed evidenti, quelle cioè provocate dal collasso del sistema di istruzione e formazione e che, distese nel tempo scandito dalle generazioni, possono provocare il lento, inesorabile declino dell’intero Paese.