La ribellione di Renzi nella crisi dell'eurozona
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L'atteggiamento conflittuale nei confronti di Bruxelles e Berlino è insolito tra i capi dei governi dell'eurozona. Al di là dei suoi possibili obiettivi elettorali, la polemica di Renzi tocca aspetti indubitabili della crisi dell'eurozona.. La crisi dell’eurozona nella quale abbiamo assistito alla ribellione di Matteo Renzi viene da lontano. L’origine risale alle conseguenze del collasso finanziario egli stati Uniti nel 2008. Ma la crisi dell’eurozona non era fatale. E’ il risultato di politiche sbagliate e autolesioniste. Il confronto fra le due sponde dell’Atlantico è istruttivo. Una politica equivalente fu negli anni successivi adottata in Europa. Gli stati investirono centinaia di miliardi di euro nel salvataggio delle banche: da quelle britanniche, che furono nazionalizzate, a quelle tedesche e francesi, nonché irlandesi, spagnole, e così via. Si trattò di una reazione analoga a quella adottata in America. Ma l’analogia si ferma qui. Otto anni dopo l’inizio della crisi, nell’eurozona il reddito nazionale rimane al di sotto di quello pre- crisi; il debito, che l’austerità doveva ridurre, è aumentato; la disoccupazione, che era circa il 10 per cento nelle due aree, è scesa al di sotto del 5 per cento negli Stati Uniti, mentre ha continuato a crescere nell’eurozona, toccando punto estreme del 25 per cento in Grecia e Spagna. 2. Un tentativo di uscire dalla trappola nella quale si è cacciata l’eurozona è stato fatto da Mario Draghi, con la decisione di salvare l’euro da un rischio di disintegrazione, facendo “qualsiasi cosa fosse necessaria”. In sostanza inondando di liquidità i mercati monetari. Una misura che se pure in ritardo, replicava la politica della Federal Reserve di Ben Bernanke. Ma, ancora una volta, l’analogia si ferma qui. L’abbondante liquidità consentita dalla BCE a tassi d’interesse vicino o al di sotto dello zero in termini reali avrebbe potuto incentivare gli investimenti pubblici per recuperare la crescita, fare da sponda agli investimenti privati, migliorare gli standard di efficienza del paese, combattere la disoccupazione di massa. Sarebbe stato ragionevole, ma è proibito: le regole della zona euro, infatti, impongono una chimerica marcia forzata verso il pareggio di bilancio. Non è possibile attuare una spesa di investimenti diretti alla crescita. E la mancanza di crescita aggrava gli squilibri della finanza pubblica. Un infernale circolo vizioso. Non sorprende che, al di là della retorica dell’ottimismo di facciata, Renzi si sia sentito in trappola. L’austerità è un macigno sulla crescita. E le riforme strutturali servono solo alla Confindustria e a guadagnare consensi a destra, ma non producono crescita. Col risultato di passare dopo la più lunga recessione della storia nazionale a una fase di sostanziale stagnazione.
Il vero problema non è questo. Ad aprile il governo deve presentare il programma di stabilità per il 2017 e il 2018. Il programma deve indicare le misure di bilancio per ridurre il disavanzo all1,1 per cento del PIL l’anno prossimo e pervenire al pareggio strutturale nel 2018. Semplificando la cabala dei numeri, questo significa che, mentre l'attuale contenzioso con la Commissione europea riguarda tre miliardi di euro, per i prossimi due anni il governo dovrebbe programmare e attuare una riduzione del disavanzo di circa quaranta miliardi. 4. Il 2015 è stato un “annus horribilis” per i governi al servizio di Berlino. In una sequenza impressionante, prima ha perduto le elezioni Samaras in Grecia, poi Passos Coelho in Portogallo, infine Rajoy in Spagna. La politica dell'asse Berlino-Bruxelles si dimostra letale per i governi che gli sono fedeli. Renzi è consapevole del rischio di fare la stessa fine, come dimostra in un’ ’intervista al “Financial Times” appena dopo la sconfitta di Mariano Rajoy in Spagna: “Non so come siano andate le cose col mio amico Mariano- dice- ma è un fatto che i governi che si sono esposti in prima linea come fedeli alleati della politica del rigore senza crescita ne sono usciti sconfitti…E’ successo a Varsavia, sia pure in circostanze particolari, è successo ad Atene, ed è successo a Lisbona”. La situazione non è più confortante per la Francia, dove François Hollande ha fatto registrare il consenso popolare più basso fra tutti i presidenti della V Repubblica. Mentre il Fronte Nazionale di Marine Le Pen si è collocato al primo posto nelle elezioni regionali, ed è pronta alla sfida del ballottaggio per la presidenza della Repubblica nelle elezioni del prossimo anno. In sostanza, Renzi teme di finire nella stessa trappola nella quale sono incappati i governi, non importa se di centrodestra o centro sinistra, fedeli alle politiche dell'eurozona. I governi ribelli rischiano la sorte della Grecia, come ha dimostrato la durezza del ricatto esercitato in prima persona da Schäuble nei confronti del governo Tsipras: o la piena sottomissione ai vincoli imposti da Bruxelles (e Berlino), o l’uscita dall’eurozona. Un risultato,in ogni caso, provvisorio. In Grecia la situazione sociale è peggiorata come esito delle micidiali riforme imposte dalla rediviva Troika, e sono ripresi gli scioperi. Ma il cambiamento appare inarrestabile. Il nuovo governo socialista portoghese di Antonio Costa si regge su una maggioranza che comprende due partiti anti-austerity, fra i quali il Partito comunista favorevole all’uscita dall’eurozona. In Spagna, la grande alleanza fra PSOE e Popolari, raccomandata da Berlino, si è dimostrata impraticabile. Pedro Sanchez incaricato di formare il nuovo governo ha bisogno della partecipazione di Podemos: un’alleanza possibile solo sulla base di un programma anti-austerity. L’alternativa sono nuove elezioni in primavera. 5. La politica dell’eurozona, autoritaria quanto inefficace ha provocato una profonda crisi nel funzionamento della democrazia. Il ruolo dei parlamenti degli stati membri è stato svuotato. Nel campo delle scelte economiche e sociali che definiscono per molti aspetti i diritti di cittadinanza e sono il sale della dialettica democratica , i governi sono sottoposti ai diktat imposti da una tecnocrazia priva di rappresentanza democratica. Agli stati nazionali è di fatto impedita la formulazione l'attuazione di politiche economiche e sociali basate sulle scelte democratiche espresse attraverso il voto dei cittadini. Le politiche sono subordinate al consenso preventivo di Bruxelles. Il voto popolare diventa un esercizio ridondante. Mentre i partiti e i movimenti di opposizione sono cumulativamente etichettati come “populisti” e anti-europei. Alla vigilia della conclusione della sua presidenza dell’Unione europea, Jacques Delors, che ne era stato, il principale architetto, espresse limpidamente in un libro-intervista, la sua concezione dei rapporti fra gli stati membri e l’Unione. “Lo Stato - disse - progetta, a medio e lungo termine lo sviluppo dell’economia e del sociale e, dopo aver definito gli orientamenti generali, fornisce, per realizzarli, i mezzi che il mercato non offre spontaneamente”. E per non lasciare dubbi sulla funzione dello stato nel quadro dell’Unione europea, riproponendo il concetto di funzioni essenziali e irrinunciabili dello stato, aggiungeva: “Respingo l’idea di uno “Stato modesto”, perché nella crisi attuale della società francese, c’è bisogno di uno stato forte… nel “villaggio globale”, lo stato ha un ruolo essenziale da svolgere”* 6. La ribellione di Renzi intreccia aspetti economici e altri esplicitamente politici. Prima si rivolge ai tecnocrati di Bruxelles: “Non si può mettere al centro l’ideologia dello 0,1% o 0,2% del deficit di bilancio”. E quanto alla minaccia di una procedura d’infrazione: “Facciano pure: noi andiamo avanti…il nostro mestiere non è andare in qualche palazzo di Bruxelles a prendere ordini".
Non ci si può sorprendere che Renzi, allarmato,nonostante i proclami di ottimismo mediatici,i abbia scoperchiato nei confronti delle autorità europee il vaso di Pandora. La domanda è: con quali sbocchi? Dall’altro, approfondire la linea della contestazione nei confronti delle autorità europee, rischia di innescare una rottura profonda con l’asse Berlino-Bruxelles. Ma, in compenso, potrebbe rafforzare la sua posizione elettorale soprattutto in vista delle possibili elezioni politiche anticipate al 2017, e favorire la costruzione del sempre più spesso evocato "Partito nazionale", conquistando voti sulle due sponde di destra e di sinistra oggi fuori dalla composita maggioranza d governo. Ma ogni previsione rischia di essere aleatoria, trattandosi di un politico che ha dimostrato di intrecciare senza remore ambizione personale e trasformismo politico. 7. Più sicuro è attenersi ai fatti. L’eurozona è entrata in una fase critica che può preludere alla sua disgregazione. Non a caso, quando si verifica la possibilità di fare una scelta politica effettiva attraverso il voto, un numero crescente di paesi membri coglie l’occasione per prendere posizione contro I partiti tradizionali, considerandoli asserviti agli interessi e al potere delle elite europee dominanti. La scelta di Renzi di aprire un confronto conflittuale, lontano dall’etichetta dei rapporti riservati, nascosti all’opinione pubblica, e destinati a essere perdenti, rappresenta una novità fra i capi di Stato e di governo. Al di là dell’opportunismo elettorale e del consolidato trasformismo politico che caratterizza il capo del governo italiano, l’apertura possibile di un dibattito a tutto campo e senza pregiudiziali sul ruolo dell’Italia nella crisi dell’eurozona si presenta come un’occasione salutare. Un’occasione da non perdere, *Jacques Delors: “L’Unité d’un homme” -, entretiens avec Dominique Wolton- 1994, pagg. 100-103, |