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Verso l'indipendenza americana dal petrolio - un breve commento alle tesi di Daniel Yergin.
“L’indipendenza americana per l’energia, che è stata per decenni un’area d’inutile retorica, è diventata una seria possibilità grazie alla ripresa della produzione americana di petrolio e di gas... gli Stati Uniti possono superare l’Arabia Saudita per diventare il maggior produttore mondiale per il 2020.” Così scrive Daniel Yergin, autore di famosi libri sull’industria petrolifera.
Tuttavia, l’argomento del suo articolo sul Financial Times del 18 Novembre, non riguarda i livelli di produzione e i volumi producibili, né le grandi cifre che potremo vedere fra poco. Esso parla invece delle conseguenze politiche della nuova situazione, che arriva quasi di sorpresa, e comincerà ben presto ad avere i suoi effetti. “Il significato del ribilanciamento della produzione mondiale di petrolio va aldi là del Medio Oriente, e riguarda il rapporto più critico, quello fra gli Stati Uniti e la Cina.” scrive Yergin.E dice che la Cina in ogni caso dipenderà dalla sicurezza di quella regione creata e mantenuta dagli Stati Uniti ”per mantenere aperte le linee di trasporto marittimo.“
Ma, in realtà, il petrolio del Medio Oriente fornisce solo il 12% circa delle importazioni di petrolio degli Stati Uniti, e queste importazioni probabilmente si ridurranno o, comunque, perderanno il loro carattere di necessità. Yergin vede ancora la Cina che ha bisogno degli Stati Uniti come “poliziotto mondiale”, l’unico capace di intervenire non solo per proteggere i propri interessi, ma anche per garantire lo “status quo” tra i grandi poteri di quell’area. Fino ad ora, non sembra però che la Cina abbia bisogno di protezione o di garanzie di politica internazionale. La Cina ormai è presente ovunque, e non ha certo bisogno di appoggi. Questa situazione può cambiare, ma soltanto in una direzione, dato che la Cina sta aumentando la sua aggressività a livello internazionale.
In più, Yergin non considera il declino della domanda di petrolio in Europa, che dipende dal Medio Oriente ben più degli Stati Uniti, ma ha diviso la sua importazione di petrolio e di gas fra il Medio Oriente, la Russia e il Nord Africa. In Europa, la domanda di petrolio e di gas cala, spinta dalle fonti rinnovabili che concorrono con il gas naturale per la produzione di elettricità, e dal progresso tecnico nelle automobili, nelle industrie ed anche per consumatori domestici.
Perciò forse noi vedremo un forte cambiamento nel rapporto fra domanda e offerta per l’Europa, non solo perché gli Stati Uniti diventeranno esportatori, ma anche per la domanda stagnante, che non cambierà se e quando l’economia europea riprenderà a svilupparsi. La composizione della domanda di energia è cambiata in Europa e continuerà a cambiare nella stessa direzione. Perciò i cambiamenti saranno più rilevanti e multilaterali.
Ogni barile di petrolio esportato in Europa dagli Stati Uniti troverà una domanda stagnante, il che, se vogliamo essere per un momento ottimisti, avrà un effetto sui prezzi. Fino ad ora, gli speculatori sul mercato dei futuri sono riusciti a creare la psicosi della scarsità, così che ogni possibile evento crea la paura di non trovare petrolio e minaccia il crollo generale dell’economia mondiale. Quest’atmosfera è sempre meno in linea con la realtà della domanda e dell’offerta. Sarà l’aumento della produzione petrolifera americana capace di aprire un periodo di energia a buon mercato?