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L'Italia e la Spagna dovranno passare sottole Forche Caudine della supervisione di Bruxelles e Francoforte, mentre il futuro dell'euro rimane incerto per la mancanza di crescita dei paesi in difficoltà.
“Credetemi, sarà sufficiente”; Draghi (fine luglio) si riferiva all’intervento anti-speculazione della BCE. Dopo un momento di incertezza i mercati finanziari hanno deciso di credere al presidente della BCE e di speculare contro i titoli italiani e spagnoli. La riunione del 6 settembre ha dato attuazione alle parole di Draghi, con il solo voto contrario di Jens Weidmann (Bundesbank), ma con il voto favorevole di Jorg Asmussen, tedesco, membro del comitato esecutivo. La riunione ha varato gli “Outright monetary transactions”, cioè gli acquisti di titoli con scadenza entro tre anni. La BCE non sarà creditore privilegiato (a differenza di quanto accaduto con il default della Grecia), e accetta come collaterale (quasi) tutto.
Tuttavia, come era già emerso, l’intervento della BCE è subordinato ad una richiesta ufficiale di aiuto a Efsf/Esm, secondo le linee del programma “Enhanced conditions credit line” (Eccl). A prima vista questa condizione appare illogica. Se infatti l’intervento della BCE non è un modo di finanziare i debito sovrani (come ha detto Draghi e il governo tedesco), ma ha lo scopo di ristabilire una ordinata politica monetaria, non si capisce cose c’entra la richiesta di aiuto al fondo che invece finanzia proprio gli Stati. Ma è chiaro che la condizionalità è un accordo politico tra Draghi e la Merkel.
Il punto è che in Germania vi è una forte opposizione (dalla Buba a vasti settori di destra ai giornali popolari) che mira alla fine dell’euro, o almeno ad un euro senza i paesi latini (l’Irlanda è in forse; tra parentesi questo è il motivo per cui i banchieri centrali degli altri paesi del nord hanno appoggiato Draghi, o almeno non si sono opposti: rimanere sotto il tallone della Buba non è una prospettiva piacevole). Quindi Merkel e Schauble dicono ai loro oppositori: non c’è da preoccuparsi, perché per ottenere l’intervento della BCE Italia e Spagna devono passare sotto le forche caudine dell’Eccl, anzi ci mettiamo anche la partecipazione del FMI. Come ha detto Asmussen in un discorso ufficiale, dovrà essere impossibile ripetere ciò che il governo Berlusconi fece durante l’estate 2011 quando la BCE incominciò a comprare titoli italiani. Non si sa esattamente cosa il programma Eccl implica; sicuramente il rispetto dei vari patti (six pacts, fiscal compact), ma in più un dettaglio preciso sulle misure, sui tempi, con controlli periodici.
Prima di parlare della politica “fare i compiti a casa” della Merkel, diamo un’occhiata ai risultati degli spread bonos-bund e bpt-bund. Ricordiamo che alla fine di febbraio di questo anno entrambi gli spread erano scesi a 300 punti, con una discesa molto forte per l’Italia e più debole per la Spagna. Nella prima metà di marzo lo spread italiano continuò a diminuire scendendo a 280 punti, ma in Spagna invece le brutte notizie sulle banche incominciarono a far risalire lo spread, che prese a trascinarsi anche quello italiano (nell’estate-autunno 2011 era successo il contrario). La salita degli spread è continuata fino a luglio, superando i 600 punti (Spagna) e i 500 (Italia). La ragione è semplice: dietro il dollaro c’è la Federal reserve, dietro la sterlina c’è la Bank of England, mentre chi c’è dietro i titoli italiani e spagnoli in euro?
Mettiamoci nei panni di un manager di un fondo pensione o di un’assicurazione: costui non è uno speculatore, ma deve garantire le prestazioni di lungo periodo, e quindi non si fida dei titoli italiani e spagnoli; più a lungo sono meno di fida. Ed infatti oltre 200 miliardi di bonos e btp sono passati dagli operatori esteri alle banche italiane e spagnole. Ma un gestore di fondi hedge speculerà sulla caduta dei titoli, vendendo allo scoperto. Ecco perché dopo il discorso di Draghi e le decisioni della BCE gli speculatori hanno dovuto correggere la loro strategia comprando titoli italiani e spagnoli, e gli spread sono scesi per oltre 150 punti.
La Corte Costituzionale tedesca ha approvato il 12 settembre e il Fiscal Compact, per cui è probabile che il movimento verso la riduzione degli spread continuerà, con una diminuzione dei tassi italiani e spagnoli ed un aumento di quelli tedeschi. Ma altre nuvole si stanno addensando, sia per il pericolo di default o uscita della Grecia (o entrambi), ed ancor di più per l’aggravarsi della recessione. La Merkel certamente vuole evitare di avere grane fino alle elezioni in Germania (autunno del prossimo anno), e le decisioni della BCE permettono di prendere tempo.
Ma il futuro dell’euro è ancora in forse; la fine potrebbe avvenire non a causa dell’alto costo del debito, ma per colpa di una crescita economica troppo bassa (se non negativa). Il punto è che la politica economica imposta dalla Germania produce recessione in tutta Europa; alla favole dell’austerità espansiva credono solo alcuni economisti con un tasso ideologico troppo alto. L’Europa ha bisogno di investimenti, sia privati che pubblici, sia a livello continentale che nazionale. Fino ad ora non si è fatto praticamente nulla, e la paura è che si debba attendere ancora fino alle elezioni tedesche, perdendo un intero anno.