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La batosta elettorale ai partiti di governo influenzerà il futuro dell'eurozona. E con Weidemann, possibile successore di Draghi alla presidenza della BCE, l'euro potrebbe avere i giorni contati.
Nel paese diventato leader indiscusso dell’Europa, con il bilancio pubblico in pareggio e un surplus stratosferico dei conti esteri, con una crescita soddisfacente e il tasso di disoccupazione mai così basso, gli elettori hanno dato una bastonata da 14 punti percentuali ai due partiti di governo: quasi oltre l’8,5 alla Cdu-Csu di Angela Merkel e oltre il 5 alla Spd di Martin Schulz, crollata al 20,6%, quasi esattamente la metà del 40,9 ottenuto nel 1998 da Gerhard Schröder all’inizio del suo mandato.
I tedeschi sono impazziti? Oppure c’è qualche altra spiegazione? Forse sì, visto che una cosa simile era accaduta per esempio anche in Irlanda, dove nonostante i numeri da economia con il turbo il governo in carica aveva ricevuto una legnata del tutto simile. Magari la spiegazione sta nel fatto che i numeri delle grandi variabili dicono poco su come viva la maggioranza dei cittadini, cioè su come sia distribuita quella ricchezza, e ancora meno su quali siano le condizioni di chi lavora o cerca di lavorare.
Il welfare tedesco è molto esteso (neanche paragonabile con il nostro), ma chi deve ricorrere alla sua assistenza si trova spesso in condizioni al limite della vessazione, come racconta un bell’articolo di Le Monde Diplomatique, tradotto in italiano da questo sito. In Germania sono soprattutto i lavoratori dell’industria ad avere alti salari e posto quasi garantito, ma accanto a loro ci sono quelli del vasto settore dei servizi, dove invece è assai diffuso il precariato non meno che da noi, e i mini e midi-jobs, che coinvolgono oltre il 20% degli occupati. Insomma, è difficile meravigliarsi che ci sia molta gente che non è tanto contenta.
Questi scontenti, però, non si sono rivolti a sinistra. La Linke, il partito più a sinistra, ha raccolto appena un decimo del voto in fuga dalla Spd. Quest’ultima resta evidentemente, per la maggior parte dei tedeschi, il partito di sinistra per antonomasia, nonostante la sua deriva liberista (anche se “alla tedesca”) dai tempi di Schröder. Il malcontento è andato tutto a destra, ai liberali (Fdp) e soprattutto all’estrema destra di Alternativa per la Germania (Afd), che con il 12,6% è andata addirittura meglio di quanto prevedessero molti sondaggi.
Così, il probabile governo di Angela Merkel con Verdi e Liberali farà una politica certamente più di destra di quella attuata finora dalla cancelliera. Soprattutto nei confronti dell’Europa, dove le posizioni dei Liberali sono molto rigide: nessuna condivisione dei rischi o altre forme di solidarietà tra paesi. Questo è particolarmente importante in questa fase, in cui si sta discutendo di riforme dell’Europa. E l’aria che tira non è affatto buona, soprattutto per noi. Tanto da spingere a preoccuparsi persino un esponente del pensiero dominante come Francesco Giavazzi.
In un altro articolo Giavazzi spiega che si sta pensando a costruire un bilancio comune e che questa è un’ottima cosa, ma mette in guardia da due rischi. “Poiché un bilancio comune comporta condivisione del rischio (appunto perché sarebbe finanziato con titoli garantiti da tutti), esso non può nascere, secondo Berlino, prima dell’introduzione di regole che riducano l’ammontare di quel rischio nei mercati finanziari dell’Eurozona”.
E qui viene il bello (ovvero, per noi, il brutto). Ridurre il rischio, secondo l’interpretazione dei tedeschi e dei loro sodali, comporterebbe che “la quantità di titoli pubblici emessi dal proprio governo che una banca può detenere dovrebbe dipendere dalla loro rischiosità. Poiché i titoli pubblici tedeschi e francesi sono giudicati dagli investitori privi di rischio, o quasi, il loro possesso continuerebbe a non essere soggetto ad alcun limite. I titoli italiani invece, che il mercato considera più rischiosi, avrebbero dei tetti di possesso. Una banca italiana cioè, non potrebbe detenere Btp oltre un certo livello”. Giavazzi ritiene che la conseguenza sarebbe di far salire il costo del nostro debito, ma probabilmente non accadrebbe “solo” quello. Potrebbe benissimo, questo fatto, essere la causa scatenante di un nuovo attacco speculativo contro il nostro debito pubblico, proprio mentre il QE (l’acquisto di titoli da parte della Bce) volge al termine. Ma non è tutto.
Un’altra regola riguarda la possibilità di default per gli Stati, cioè di non rimborsare il debito pubblico. Dice Giavazzi: se questa regola entrasse in vigore prima dell’entrata in funzione del bilancio comune, di fronte a un attacco speculativo (che, si può aggiungere, sarebbe reso più probabile dalla regola precedente) l’Italia resterebbe indifesa e al default potrebbe essere costretta, con gravissimi perdite per chiunque detenga titoli pubblici.
Il rischio è correttamente individuato, ma siamo sicuri che un bilancio comunitario, che disporrebbe di risorse limitate che difficilmente sarebbe consentito di mobilitare per il salvataggio di un solo paese, costituirebbe una salvaguardia sufficiente? Ciò che è accaduto dopo la liberalizzazione dei movimenti di capitale ci dice che una sola cosa può battere la speculazione: gli interventi illimitati delle banche centrali. Ne abbiamo avuto una prova con la crisi del ’92 (ne riparleremo più avanti) e una riprova proprio in questa crisi, con il "whatever it takes” di Draghi che stroncò di colpo la speculazione.
Weidmann e Merkel qui arriviamo al motivo per cui la Germania può far crollare l’euro, se si verificano alcune condizioni. La più rilevante di queste condizioni è che il successore di Draghi alla presidenza della Bce sia Jens Weidmann, attuale presidente della Bundesbank. La cosa non è improbabile. Di fronte ad alcune reazioni negative espresse quando se ne è cominciato a parlare, Angela Merkel ha dichiarato che non ci può essere una pregiudiziale contro un tedesco alla Bce: dichiarazione inevitabile, e principio persino difficile da contestare.
Una spia del fatto che Weidmann ci speri è il suo comportamento degli ultimi mesi, insolitamente accomodante: mai più una critica a Draghi, fine della continua opposizione alle decisioni del Consiglio Bce. Per arrivare a quel posto ci vuole un consenso largo, che non si ottiene facendo il bastian contrario. I risultati delle elezioni rafforzano molto il consenso per lui all’interno del paese: di certo i partiti di destra (Afd compresa) faranno il tifo per lui. La Merkel, prima che alla Buba, l’aveva nominato direttore della divisione finanziaria della cancelleria, quindi può essere considerato un suo uomo. Insomma, le premesse ci sono tutte.
Weidmann ha una convinzione incrollabile: il concetto di “illimitati”, quando si parla di interventi delle banche centrali, è praticamente una bestemmia. Lo ha dimostrato facendo ricorso alla Corte Costituzionale tedesca proprio contro il "whatever it takes”, dimostrando così di incarnare la tradizione tedesca. Nella crisi del ’92 il Sistema monetario europeo crollò quando la Bundesbank annunciò che avrebbe interrotto gli interventi. Le regole dello Sme prevedevano che, quando una delle monete avesse raggiunto il limite della banda di oscillazione stabilita, tutte le banche centrali del Sistema dovessero intervenire in modo illimitato. Ma la Germania dichiarò che nessun trattato poteva costringerla a mettere in pericolo la sua stabilità, e se ne infischiò di quella regola, con le conseguenze che si videro.
Ecco dunque come il cerchio può chiudersi. Weidmann diventa presidente della Bce, le nuove regole europee provocano un attacco della speculazione, il bilancio comune, se pure ci fosse, non basterebbe, e a Francoforte non c’è nessuno che proclami il "whatever it takes” (anzi). L’euro fa la fine dello Sme. Weidmann, personalmente, non ne sarebbe dispiaciuto. Dai suoi comportamenti si può dedurre che preferirebbe guidare la Banca centrale più importante d’Europa piuttosto che essere uno dei membri del Consiglio Bce dove spesso è andato in minoranza (da quando c’è Draghi, quasi sempre: tranne, come si è detto, questi ultimi mesi).
Merkel, finora, nei momenti cruciali ha dato più retta a Draghi che a lui; ma quando Draghi non più alla BCE? Paradossalmente, un ostacolo maggiore potrebbe venire da un personaggio che condivide con Weidmann la fama di “più cattivo del reame”, il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. In una mail a Hillary Clinton diffusa da Wikileaks, Schäuble affermava che l’euro era fondamentale per la Germania, perché un ritorno al marco avrebbe comportato una forte rivalutazione che avrebbe danneggiato l’export tedesco. Ma la Germania, nelle varie fasi della crisi, ha mostrato più volte di decidersi a fare qualcosa solo quando la corda stava per spezzarsi. La prossima volta, di fronte alla determinazione di Weidmann, l’intervento in extremis potrebbe arrivare toppo tardi.
I prossimi mesi ci diranno se questo possibile scenario perde consistenza o si rafforza. Speriamo che il nostro prossimo governo sia all’altezza dei problemi da affrontare.