La fine di una guerra sbagliata

Sottotitolo: 
Quelli che hanno perduto  la guerra non porssono ottnere, tanto meno imporre, nulla.   

"Questo non è il momento dei "ve l'avevamo detto" e dei "non poteva che finire così".

Di fronte alla tragedia che si sta svolgendo in Afghanistan, in queste ore più precisamente intorno all'aeroporto di Kabul, siamo tutti colpevoli in diverso modo. Innanzitutto coloro che la guerra l'hanno inventata, voluta, condotta e persa. A cominciare da chi, da Washington ha armato i Taleban, loro futuri avversari,  contro l'allora governo insediato dall'Unione Sovietica, per poi scatenare un'intervento militare durato vent'anni, in virtù dell'art. 5 della NATO.

A costo di usare come occasione un altra tragedia, quella dell'attacco alle Due Torri, atta a scuotere il latente isolazionismo statunitense, con i cosi detti governi alleati al seguito, compreso il nostro. Ma anche coloro  - e qui neppure noi siamo esenti- che, passo passo, non hanno avuto la capacità di opporsi  a quanto stava maturando in quel paese; non importa se per difetto di fermezza, tenacia, comprensione e persuasività, con una sinistra in disarmo. Ci restano soltanto, quali esempi, Gino Strada e gli altri che, in condizioni proibitive restano sul campo a soccorrere il popolo afghano, quale che ne sia il sesso e l'orientamento.

Ora restano a tutte e a tutti alcuni precisi doveri. Il primo, quello di esercitare sul proprio governo e sulle organizzazioni a cui aderisce - Italia, Europa, Nato, Onu - la massima pressione per salvaguardare il maggior numero di vite umane: nella gestione delle fughe da Kabul attraverso la costruzione di canali umanitari; nella predisposizione dell'accoglienza e nella condivisione degli oneri che ne derivano.

Il secondo, di favorire una tempestiva iniziativa negoziale dell'ONU,  che sostenga una gestione non cruenta dei poteri ora acquisiti e insediati in Afghanistan, a partire da quanto da essi affermato. Coloro che questa guerra l'hanno persa non possono ottenere, tantomeno imporre, alcunché. Esiste, invece, una finestra di opportunità dovuta al fatto che tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, nessuno escluso - nemmeno Russia e, soprattutto, Cina - devono fare i conti con cospicue minoranze interne di fede e cultura musulmana, variamente influenzate da quanto avviene in quel paese. La presidenza italiana del G 20 offre anche opportunità e precisi doveri.

Il terzo, più specificamente riferito all'Italia e ad altri paesi membri della Nato, di vigilare, ove possibile impedire la ripresa, da parte degli Stati Uniti, di bombardamenti, provocazioni, sostegni, inflitrazioni di attività violente, in quel territorio, magari con l'intento di alimentare una nuova contrapposizione bipolare con la Cina. Compito particolarmente arduo per una classe dirigente, quale la nostra, di regola ligia e unita nell'esecuzione di ordini provenienti da una capitale mondiale ormai in declino (Washington), anche a costo di esporre la vita dei propri soldati attraverso la manipolazione interpretativa dell'art.11 della Costituzione. Nassirya docet.

In quarto luogo, con i tempi dovuti, promuovere e diffondere una discussione ai fini di un'adeguata ricostruzione storico-politica di quanto avvenuto e di disegnare una nuova sinistra europea, degna di questo nome.

Gian Giacomo Migone

President of the Foreign Relations Committee of the Senate, Republic of Italy, 1994-2001; former Fprofessor of U.S. History, University of Torino

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