La falsità delle gabbie salariali

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Il salario minimo legale  non risolve il problema dei salari, ma almeno combatte il cosiddetto “lavoro povero”, cioè lo sfruttamento del lavoratore. la Presidente Meloni non argomenta il rifiuto del Governo ma attacca la sinistra e il sindacato.

Tuttora misterioso il motivo per cui la scorsa settimana il Governo Meloni ha affossato, coi tafferugli alla Camera, la proposta di “salario minimo legale”. Forse andava bocciata per principio: proveniva dalla sinistra e, approvandola, si rischiava d’aumentarne i consensi. Eppure, nella democrazia parlamentare, più che la provenienza, dovrebbe contare l’utilità della proposta, nel caso condivisa dal 70% degl’italiani. Altrettanto misterioso è l’annunciata legge-delega del Governo, alternativa al progetto dell’opposizione.

 Negli editoriali del nostro Corriere s’è detto che, per Costituzione, il trattamento retributivo dei lavoratori spetta alla contrattazione sindacale. Eccezionalmente interviene il legislatore perché la contrattazione non tutela tutti i lavoratori delle diverse categorie. Su questo l’ordinamento italiano è monco: la Costituzione contempla, oltre alla libertà sindacale, l’efficacia generale e vincolante della contrattazione, rimasta però inattuata sulla Carta. Pure l’art. 36/1 Cost. – che stabilisce il diritto del lavoratore alla retribuzione proporzionata e sufficiente – fatica a concretizzarsi senza mediazione sindacale. Senza la quale l’accordo individuale tra datore e lavoratore equivale a lasciare il secondo in balia del primo. Perché al lavoratore, “contraente debole”, non resta che ricorrere al Giudice. Può farlo alla fine del rapporto, mentre il salario gli serve per la sopravvivenza quotidiana.

In pratica la lacuna dell’ordinamento provoca diseguaglianza tra lavoratori coperti dalla contrattazione (in alta percentuale) e quelli non coperti (più di tre milioni, soprattutto al Sud). Di qui la necessità del salario legale, raccomandato infatti dall’Unione Europea quando manchi la tutela sindacale. Il minimo legale è dunque un ripiego: non risolve il problema, ma almeno combatte il cosiddetto “lavoro povero”, cioè lo sfruttamento del lavoratore.

Intanto la Presidente Meloni non argomenta il rifiuto del Governo ma attacca la sinistra e il sindacato. Alla sinistra chiede perché non ha introdotto il salario legale quand’era al Governo. Giusta domanda visto che lo sfruttamento del lavoro, nelle diverse forme, è fenomeno antico (specie al Sud). Dimentica però che il lavoro davvero povero s’è affermato di recente, causa pandemia e inflazione. Al sindacato invece rimprovera l’incoerenza d’invocare in piazza il salario legale mentre ha firmato contratti con salario inferiore ai nove euro. Osservazione esatta che però prova troppo. Coll’alta disoccupazione (specie al Sud) e la precarietà, il sindacato è più debole e non sempre riesce a imporre giusti salari per lavori di scarsa professionalità. Perciò il salario legale aiuterebbe anche la contrattazione collettiva, impedendo al sindacato di firmare contratti con salario sotto il minimo legale. 

Insomma, poiché sul piano tecnico non ci sono serie ragioni di rifiuto del salario legale, la polemica politica appare pretestuosa. Si spiega soltanto col clima di campagna elettorale in vista delle elezioni europee del 2024. Preoccupa che si scelga la materia del lavoro per fare propaganda. Si tratta d’un campo delicato e variegato dove coesistono lavori di basso servizio e lavori di alta professionalità. Tra gli uni e gli altri c’è una vasta gamma d’altri lavori.

Mentre per quelli di basso profilo il salario minimo legale è vitale, i lavoratori altamente professionalizzati possono permettersi di rifiutare orari e turni incompatibili con le loro esigenze di vita, talora ritenute più importanti del lavoro. E’ infatti un’ottima notizia che alcune grandi aziende del Nord – come EssilorLuxottica e Lamborghini – abbiano firmato col sindacato accordi aziendali che prevedono la settimana lavorativa di soli quattro giorni a retribuzione invariata. E’ ovvio che la produttività aumenti colla felice condizione lavorativa degli addetti. Ne fu apripista Adriano Olivetti negli anni ’60 del ‘900.

Il problema grave è che, guardando il salario legale colla lente del lavoro, riemerge la disattenzione, o meglio la contrarietà,di questo Governo alla crescita del Mezzogiorno. Nonostante il PNRR miri anzitutto al superamento delle diseguaglianze territoriali, il Governo al contrario s’impegna sul disegno di “autonomia regionale differenziata”. Da una parte, in un contesto di disoccupazione e precariato, boccia il salario minimo legale perpetuando al Sud lavoro nero e sfruttamento. Da un’altra parte insiste sulle “gabbie salariali” col falso argomento che al Sud la vita costerebbe di meno. La destra dimentica l’enorme spesa che i meridionali devono accollarsi privatamente mancando i servizi pubblici essenziali (asili-nido; scuola; sanità; trasporti ecc.). Essa strombazza il ponte sullo stretto e gl’interventi a Caivano: così accarezza il Mezzogiorno ma solo per abbandonarlo al suo destino!  
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Editoriale del Corriere del Mezzogiorno, 10 dicembre 2023

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.