La crdibilità dei titoli di studio
Sottotitolo:
Il caso dei "diplomifici". Il problema della consapevolezza e responsabilità delle famiglie nell’educazione dei figli. Possibile che si speculi sulla Scuola facendo affari su uno dei pilastri della conoscenza, della cultura, della società? Purtroppo sì. Causa l’idea folle che, più dell’effettivo apprendimento, conti il formale “titolo di studio” (diploma di maturità). Laddove ovviamente il “pezzo di carta” o conclude un serio “percorso formativo” o è una presa in giro. Con effetti negativi sulla crescita degli alunni e anche sulla civilizzazione della società. I tragici episodi di violenza di questi giorni non scaturiscono forse dall’ignoranza selvaggia dei giovani? Ma se quel pezzo di carta è burocraticamente indispensabile – ad esempio per un’occupazione nell’impiego pubblico – come ottenerlo senza tante storie? S’imbocca la scorciatoia d’iscriversi a un “istituto privato” (cosiddetto “diplomificio”) che assicura, dopo l’ultimo anno, un “pezzo di carta” dietro lauto pagamento. Il fenomeno è più radicato nel Mezzogiorno. Da un lato per l’alta dispersione scolastica, l’alta disoccupazione giovanile, il terribile degrado dei contesti sociali (su cui, nel nostro giornale, Massimiliano Virgilio, Biagio De Giovanni, Marco D’Isanto). Dall’altro per l’ingegnosa iniziativa di chi coglie ogni occasione per fare affari, magari illeciti. Nell’area napoletana (non a Napoli), esistono fabbriche di titoli di studio rilasciati da “istituti privati”, arricchitisi iscrivendo al 5° anno migliaia di “diplomandi” provenienti dall’Italia intera (molti dal Nord). Finché la stampa (non solo locale) pubblica statistiche di corsi di studio e diplomi e sorgono dubbi sull’autenticità del pezzo di carta rispetto all’effettiva preparazione dei diplomati. Emerge così che nell’area napoletana – forse pure in altre zone – c’è un traffico di titoli cartacei formalmente validi agli effetti di legge (compresa l’eventuale iscrizione a qualche Università). Intendiamoci: il fenomeno non è nuovo. Ci sono sempre stati istituti privati o parificati (anche religiosi) a pagamento, cogli studenti meno esigenti della scuola pubblica (gratuita). Non sono mai arrivati però a ledere la dignità degli studi. Anzi c’erano istituti parificati seri per reputazione del rigore didattico. D’altronde la Costituzione contempla espressamente l’istruzione privata: comunque vigilata e controllata dallo Stato (Ministero dell’Istruzione e organi periferici). Stabilisce (art. 34) “scuola per tutti”, “obbligo scolastico”, “diritto allo studio”, “sostegno dei meritevoli” (privi di mezzi). E fissa regole all’art. 33: <<l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento>> (comma 1); <<la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi>> (comma 2); <<Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato>> (comma 3). Ma subito aggiunge: <<la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali>> (comma 4). L’equipollenza di trattamento assicura il controllo pubblico mediante <<un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale>> (comma 5). Seppure niente in Costituzione permetta diplomifici, non si possono escludere ovviamente accordi (illeciti) tra titolari d’istituti privati e insegnanti di scuola pubblica chiamati a esaminare, con dovuta imparzialità, i “privatisti”. Lasciando stare l’antico problema della libera competizione tra “pubblico” e “privato” nell’istruzione dei giovani, una cosa è certa. Solo l’attenta vigilanza – non limitativa della libertà d’insegnamento – degli Organi dello Stato (non della Regione, come pretenderebbero i fautori dell’autonomia differenziata) può garantire credibile autenticità dei titoli di studio. Ma il contrasto del diplomificio parte dal contrasto della dispersione scolastica, al quale logicamente devono contribuire le famiglie (anche per evitare lauta spesa del “pezzo di carta”). L’aspetto spinoso del problema è questo: consapevolezza e responsabilità delle famiglie nell’educazione dei figli. Virtù rare in quest’epoca di crisi dei valori, della famiglia e dell’educazione familiare. Che pregiudica lo stesso rapporto scuola-famiglia. Sicché i genitori spesso mandano i figli a scuola e poi li difendono a spada tratta se non studiano: nella peggiore delle ipotesi aggredendo gl’insegnanti; nella migliore ricorrendo al Tribunale amministrativo, che per qualche cavillo burocratico tranquillamente li promuove contro il giudizio dei docenti. Ma con la Scuola non si può scherzare. Il sistema complessivo va ripensato. Esige non soltanto equilibrate revisioni legislative, ma soprattutto investimenti nell’organizzazione e nella vigilanza costante. Perché la scuola, inutile ripeterlo, non è soltanto un servizio essenziale, è il bisogno primario d’una società civile e democratica. (Da Corriere del Mezzogiorno, settembre 2023) Mario Rusciano
Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II. |