La Corte costituzionale riapre la questione dei licenziamenti illegittimi

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La Corte, costoruzionale ha giudicato contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza la liberalizzazione dei licenziamenti - un segno caratteristico dela tendenza neoliberista dei passati governi di centrosinistra..un giudice dalle “mani bloccate” , a cui si toglie ogni discrezionalità valutativa, è un controsenso rispetto agli stessi principi di fondo di un assetto liberale dei poteri. Ed è appunto su questo profilo che interviene ora la Corte costituzionale affermando  l’illegittimità del JobsAct  proprio laddove “determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificativamente licenziato”. E’ un modo per riaprire l’intera questione della regolamentazione del lavoro nell’epoca postliberista.

La Consulta si è finalmente pronunciata sulla legittimità della disciplina dei licenziamenti introdotta dal JobsAct nel 2015. Secondo la Corte costituzionale l’art.3, comma 1, del dlgs n.23/2015 è illegittimo “nella parte che predetermina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato motivo”.  In particolare “la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione”.   Così recita lo scarno comunicato dell’Ufficio stampa della stessa Corte costituzionale del 26 settembre 2018. Si tratta di una decisione di grande portata.

Ricordiamo i termini essenziali della questione. Il JobsAct aveva abolito l’art.18 dello Statuto dei lavoratori (cioè l’obbligo di reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo) per i lavoratori assunti a partire dal momento della entrata in vigore della nuova normativa, ovvero dal 7 marzo 2015. In molti avevamo osservato che questa differenziazione di trattamento tra vecchi e nuovi assunti su un tema cruciale del rapporto di lavoro, quale la disciplina del licenziamento, costituiva di per sé un evidente vulnus al principio di uguaglianza. Si aggiunga che la nuova normativa non si limitava ad abolire la reintegrazione dei lavoratori licenziati illegittimamente ma si spingeva a predeterminare la stessa  misura della indennità che il giudice avrebbe dovuto stabilire ove accertasse l’illegittimità del licenziamento, secondo un minimo e un massimo rapportato al mero criterio della anzianità di lavoro.

Abolendo ogni margine di valutazione sullo stesso piano del risarcimento economico il JobsAct trasformava così il giudice del lavoro in una sorta di notaio o contabile. In tal modo rendendo del tutto inutile il ricorso alla tutela giurisdizionale anche perché nel frattempo si introduceva una sorta di conciliazione coatta, consentendo al datore di lavoro di offrire brevi manu  una indennità dimezzata con un assegno circolare per  giunta defiscalizzato.

Una previsione con evidenza in contrasto persino con i principi etici del liberalismo classico e ispirata da una impostazione meramente mercantilista della gestione dei rapporti di lavoro, secondo i canoni predicati da quella scuola cosiddetta di law and economics che suggerisce di applicare al diritto del lavoro gli stessi criteri su cui si fondano gli scambi commerciali. Come se il lavoro fosse, appunto, una semplice merce da trattare, sul libero mercato, come tutte le altre merci. E’  Inutile,  in questa sede,  smentire l’ideologia e le motivazioni di questo indirizzo di pensiero, sostenuto da tesi inconsistenti e contraddette dall’evidenza empirica secondo le quali maggiore è la libertà di licenziamento più cresce la propensione delle imprese ad assumere. Come dire che più si riducono le tutele del lavoro più cresce l’occupazione.

Stiamo al punto di diritto, poiché un principio di diritto per fortuna esiste come ora dichiara la stessa Corte costituzionale. E tale principio di diritto, affermato da un complesso imponente di principi fondamentali affermati dalla nostra Costituzione (dall’art.3 agli artt. 4 e 35 espressamente richiamati dalla Consulta, e dallo stesso art.24  secondo il quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”) implica anzitutto che il ricorso alla tutela giurisdizionale sia utile. Cosicchè un giudice dalle “mani bloccate” , a cui si toglie ogni discrezionalità valutativa, è un controsenso rispetto agli stessi principi di fondo di un assetto liberale dei poteri.

Ed è appunto su questo profilo che interviene ora la Corte costituzionale affermando  l’illegittimità del JobsAct  proprio laddove “determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificativamente licenziato”. E tutto ciò a prescindere dal fatto che il recente decreto-dignità abbia alzato, con un intervento di grande modestia, la quota delle indennità di licenziamento. La Corte costituzionale sembra dire: non è una questione del quantum, ma del come. Sembra poco invece è molto. E’ un modo per riaprire l’intera questione della regolamentazione del lavoro nell’epoca postliberista.

Luigi Mariucci
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