L’Eurozona venti anni dopo
Sottotitolo:
Dopo l'ottimismo che accompoagnò la sua nascita, l'eurozona è vittima della più bassa crescita economica a livello globale. Venti anni fa, quando comparve la moneta unica, quella che sarebbe diventata l’eurozona si stava dirigendo verso la fine del secolo in un clima di grande ottimismo. Il processo che portò all’euro era maturato all’inizio dell'ultimo decennio del secolo scorso sotto il forte impegno di François Mitterrand e di Jacques Delors presidente della commissione europea. Aveva incontrato alcune incertezze soprattutto in Germania, ma l'euro era diventato l'obiettivo principale del cancelliere Kohl convinto assertore del partenariato -franco-tedesco come condizione dell’unificazione tedesca. Per l'Italia in particolare la partecipazione all’euro era un successo apparso fino all'ultimo momento incerto. La nascita dell'euro fu accolta in un quadro di grande, non infondato, ottimismo. Non a caso, alla fine degli anni Novanta, dopo anni di stagnazione, i paesi dell'UE avevano finalmente segnato, anche sotto l’impulso del boom americano, un elevato tasso di crescita. Essendo stato nominato dal governo D’Alema consigliere per le politiche sociali, organizzai un incontro a Parigi fra il ministro del lavoro Bassolino con Martine Aubry, ministro del lavoro francese –figlia di Jacques Delors e famosa per aver promosso in Francia le 35 ore settimanali. L’obiettivo dell’incontro era la definizione di una bozza di risoluzione della conferenza di Lisbona con il consolidamento dell’obiettivo della piena occupazione come traguardo strategico della neonata eurozona. In effetti, l’occupazione era negli ultimi anni Novanta cresciuta mediamente a un ritmo intorno al tre per cento annuo e la conferenza di Lisbona avrebbe dovuto consolidare anche per il futuro dell’eurozona quella linea di crescita. La risoluzione finale di Lisbona, sia pure con minore nettezza, consacrò il traguardo della piena occupazione come obiettivo centrale della poltica economica europea. E, nei mesi successivi, gli uffici della commissione europea misero a punto un documento che indicava con scadenze diverse per i paesi dell'UE, il raggiungimento della piena occupazione entro il primo decennio del nuovo secolo. Furono ridotte le indennità di disoccupazione e, soprattutto, fu ampliata la sfera del lavoro a tempo parziale e a tempo determinato fino a comprendere il 18 percento della popolazione attiva. I minijobs e i middle- jobs furono estesi i fino a coinvolgere quasi otto milioni di lavoratori. I minijobs erano pagati 400 euro al mese, aprendo così la strada a una nuova categoria di lavoratori poveri. La flessiblizzazione del lavoro diventava il principio guida della politica del lavoro che si sarebbe diffusa in tutta l’Unione europea. La poltica programmata nella conferenza di Lisbona al volgere del secolo era stata eclissata nell’economia che guidava l’eurozona nel rapido giro dei primi anni del neonato euro. Alla fine, la crescente impopolarità per le riforme neoconservatrici, la reazione dei sindacati e il dissenso dell’ala sinistra dell’ SPD costrinsero Schroeder alle dimissioni nel febbraio 2005 prima di completare il suo secondo mandato. Il primo quinquennio dell'eurozona si concludeva in Germania, l’economia dominante dell’eurozona, con una crescita complessiva del PIL del 3,5 percento: una distanza stellare dall'obiettivo della crescita media annua del 3 percento per l'Eurozona, concepita all'inizio del nuovo decennio. 3. Nell'autunno del 2008, la crisi scoppiata in America si ripercuote pesantemente sull’economia dell’eurozona. Le maggiori banche francesi e tedesche sono coinvolte nella crisi finanziaria di Wall Street. La Germania va incontro a una profonda recessione che causa un calo del PIL di circa il 5 per cento nel 2008(??).. L'Italia, come gli altri paesi dell’eurozona segue la stessa sorte. La crisi finanziaria colpisce in particolare paesi minori come la Grecia, l'Irlanda e il Portogallo. La Spagna che era ancora un paese con un debito pubblico particolarmente asso pari 36 per cento del PIL è fortemente esposta con le banche di carattere regionale coinvolte nella crisi immobiliare. E il loro salvataggio, imposto dalle autorità della eurozona a salvaguardia delle banche tedesche e francesi creditrici, apre una voragine nei conti pubblici della Spagna, avviando una fase di dura deflazione e di esplosione della disoccupazione che toccherà negli anni successivi il 25 per cento della forza lavoro. Tuttavia, nonostante le pesanti conseguenze della crisi bancaria, il 2010 fa registrare una ripresa dell’eurozona nel suo insieme. La crisi ha devastato alcuni paesi minori, ma la ripresa americana iniziata a metà del 2009 si riflette positivamente sull’economia globale. Sembrava in sostanza che l’eurozona considerata nel suo insieme si avviasse a superare la crisi, riprendendo un sentiero di crescita. Sappiamo che, invece, le cose andarono diversamente. Invertendo puntualmente la politica adottata in America, dove i tassi di interesse furono ridotti quasi a zero, Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea, temendo che la ripresa dell'economia potesse originare una fiammata inflazionistica, aumentò i tassi di interesse. Era una politica insensata che aveva il doppio effetto di uccidere nella culla i primi segnali di ripresa e al tempo stesso di aggravare il peso degli interessi pagati sul debito che la crisi aveva fortemente accresciuto. I paesi più indebitati si trovarono alle prese con la crescita del costo del debito insieme cin una compressione della crescita economica che si avviava. I mercati finanziari attaccarono i paesi più esposti che dovevano rimborsare o rinnovare i debiti accumulati nella crisi. In questo quadro, nell'estate 2011, la speculazione prese di mira le banche italiane, non ostante il disavanzo del bilancio pubblico, benché aumentato fino al 5 per cento del PIL, fosse tra i più bassi dell'eurozona. Mario Draghi, candidato a succedere a Jean-Claude Trichet, da governatore della Banca d’Italia aveva concluso a sua ultima relazione alla fine di maggio con accenti relativamente ottimistici sulla situazione italiana. Ma nel giro di poche settimane, nel mese di luglio, la Commissione europea, d’accordo con la Banca centrale, aveva deciso una poltica di rientro del disavanzo di bilancio sostanzialmente irrealizzabile in un quadro di riduzione della crescita. Era l’occasione offerta ai mercati finanziari per aggredire l’Italia oltre alla Spagna . È in questo contesto che la Germania elabora il Fiscal compact che impone l’azzeramento del disavanzo pubblico, in sostanza la paralisi dell’intervento pubblico che è servito non solo in America ma anche nei principali paesi europei a sostenere le banche in difficoltà fra le quali le banche tedesche. Il nuovo Patto fiscale è sottratto al dibattito del Parlamento europeo. La Germania col consenso della Francia di Sarkozy impone un patto di carattere intergovernativo con una durata di cinque anni. I paesi membri dell’Unione europea lo approvarono nel corso del 2012 con poche eccezioni fra cui la Gran Bretagna, votandosi a un destino di austerità che, nella sostanza, decretava l’inizio di una lunga fase di stagnazione quando non di aperta recessione dell'economia dell’eurozona. 4. In sintesi, la politica praticata nell’eurozona fu l’esatto rovescio della politica adottata negli Stati Uniti, dove la crisi era esplosa facendo inizialmente temere le conseguenze catastrofiche della Grande recessione degli anni Trenta. In America Paulson e Bernanke rispettivamente a capo del Ministero del Tesoro e della Federal Reserve avevano reagito, chiedendo e ottenendo dal Congresso la disponibilità di 700 miliardi di dollari da impiegare a sostegno delle banche per scongiurare il dilagare della crisi aperta con il fallimento della Lehman Brothers. Poi Barack Obama eletto alla fine del 2008, aveva fatto ricorso alla poltica fiscale deliberando la disponibilità di 800 miliardi di dollari, circa il 6 per cento del reddito nazionale per rilanciare l’economia con una forte spinta della spesa pubblica. Dieci anni dopo la crisi, l’eurozona è vittima della più bassa performance economica a livello globale. E come testimonianza definitiva dell'assurdità della sua politica è di fronte a noi la crisi della Germania. Vale a dire la crisi della principale economia, segnata fra il 2018 e il 2019 dalla recessione seguita da un tasso di crescita vicino allo zero. Una sorte non dissimile da quella subita dall’Italia, ma tanto più paradossale in quanto relativa a una delle maggiori potenze economiche a livello globale. In sostanza, i primi vent'anni dell'eurozona culminano in una fase di ribaltamento delle prospettive che hanno segnato la sua nascita. Doveva aprire la strada a una nuova potente Europa, al centro del mondo del nuovo secolo. È stato vero il contrario. La crescita economica è diventata appannaggio degli Stati Uniti che realizzano il più lungo e ininterrotto periodo di crescita che si ricordi. 5. Per uscire dalla crisi l'unica soluzione è un forte intervento pubblico diretto a rilanciare gli investimenti e ridare fiato alla crescita Dalla quale in definitiva dipende a medio termine la progressiva riduzione del debito paradossalmente aumentato negli anni dell’austerità. Un nuovo corso è possibile mobilitando i risparmi che la crisi immobilizza per tradurli in investimenti. I risparmi sono aumentati durante la crisi. Il risparmio privato sotto forma di depositi e conti correnti ha raggiunto nel 2018 la straordinaria cifra di 13 trilioni di euro, una dimensione maggiore del redito annuale dell’intera area. In Italia i risparmi privati hanno toccato circa 1500 miliardi di euro mentre i tassi di interesse sono prossimi allo zero, quando non sono negativi. Lo stato è Il soggetto che può attivarli sia direttamente che in combinazione col settore privato nelle infrastrutture con un elevato potenziale occupazionale, nei settori della ricerca e del progresso tecnologico, nell’ambiente, nel sostegno ai settori come la sanità e l'istruzione, per non parlare del Mezzogiorno e a di milioni di famiglie impoverite dalla crisi. Gli economisti che sostengono questa linea d'intervento sono consapevoli del fatto che la spesa pubblica accresce necessariamente il deficit di bilancio. Ma l'aumento del reddito derivante dallo sviluppo degli investimenti e dell’ dell’occupazione genera una crescita del PIL e delle entrate pubbliche che consentono, dopo un primo avvio, di ripagare il debito aggiuntivo. Che il passaggio alla moneta unica potesse essere un azzardo è stato un tema ampiamente sviluppato dagli economisti. Si era soffermato sulle sue contraddizioni Tony Judt già a meta degli anni Novanta nelle conversazioni tenute presso il Johns Hopkins Center di Bologna riprodotte in un volumetto del 1995, A grand illusion?, e poi riprese nella sua monumentale storia dell'Europa del dopo guerra, Postwar, pubblicata quindici anni dopo. Ma sarebbe difficile fare il conto degli economisti, da Krugman a Stiglitz a Galbraith ad Ashoka Modi che hanno con articoli e saggi mostrato le incongruenze della politica dell’eurozona. Alla critica si affiancano anche, sia pure indirettamente, le possibili soluzioni, come nel caso delle posizioni di Larry Summers. Per l‘economista di Harvard, ex ministro del Tesoro di Clinton e poi principale consigliere economico di Barack Obama, l'investimento pubblico aggiuntivo è in grado di generare un elevato multiplo del tasso di crescita mentre a medio termine l’aumento delle entrate fiscali consente una progressiva riduzione del rapporto debito / PIL. La politica europea si muove in senso contrario e condiziona la poltica degli stati membri, anche quando sarebbero orientati a uscire dalla gabbia in cui l’eurozona ha costretto la poltica economica. Il governo Conte è l’esempio lampante di un governo con le mani legate, costretto a immolarsi nel quadro di un'economia la cui crescita non solo è attualmente vicino allo zero ma che, secondo le previsioni del FMI, sarà ancora segnata dal misero aumento di qualche incerto decimale nel 2020-2021. Un quadro nel quale o il governo rielabora la sua politica puntando a un forte rilancio della crescita - con o senza il consenso della nuova commissione europea - o si avvia al fallimento per la sue a divisioni interne e sotto l'attacco dell'opposizione di destra guidata dalla Lega. L'eurozona si è rivelata il principale paradosso della storia europea dei primi venti anni del nuovo secolo. L'euro è nato per rafforzare l'economia europea e renderla un forte concorrente a livello economico globale. Il risultato è stato il contrario. La crisi che devasta l’eurozona non è una condanna divina, ma il risultato di una politica autolesionista .L’obiettivo del pareggio del bilancio in mezzo a una lunga stagnazione dell’economia e a un inarrestabile peggioramento delle condizioni sociali è privo di senso. I tempi e i modi di un possibile cambiamento rimangono incerti. Certo invece appare il giudizio sul fallimento di un’esperienza che venti anni fa fu inaugurata nel quadro di un grande ottimismo che all’epoca parve ragionevolmente motivato. Un ottimismo che la politica praticata nei venti anni che ora giungono a compimento ha clamorosamente smentito. Antonio Lettieri
Editor of Insight and President of CISS - Center for International Social Studies (Roma). He was National Secretary of CGIL; Member of ILO Governing Body and Advisor for European policy of Labour Minister. (a.lettieri@insightweb.it) Insight - Free thinking for global social progress
Free thinking for global social progress |