J.P. Morgan contro le Costituzioni del Sud-Europa

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Sono Costituzioni - scrive la grande Banca d'affari americana - che "mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo".

Un documento di JP Morgan, una delle maggiori banche d’affari del mondo, afferma che le Carte fondamentali dei paesi del Sud Europa “mostrano una forte influenza delle idee socialiste” e impediscono di prendere i provvedimenti necessari, come eliminare le tutele dei lavoratori e “la licenza di protestare”. Di loro sì che possiamo fidarci: senza i salvataggi pubblici sarebbero già falliti due o tre volte

Il sogno dei finanzieri (non di tutti, si spera) è uno Stato che funzioni come un’azienda, ma un’azienda tipo Wal Mart, il gigante americano dei supermercati dove i sindacati non sono mai riusciti ad entrare. Basta col bilanciamento dei poteri, ci vuole un governo forte. Basta con le protezioni del lavoro. Basta con queste Costituzioni antifasciste contaminate dalle idee socialiste. Basta con la libertà dei cittadini di protestare. E’ un sogno che JP Morgan, la più importante banca d’affari del mondo insieme a Goldman Sachs, ha messo nero su bianco in un documento sulla crisi in Europa di cui stranamente non si è parlato. Ad occuparsene sono stati il sito WallStreetItalia e un altro sito francese.

Il paragrafo più significativo vale la pena di leggerlo per intero. “I sistemi politici della periferia meridionale (dell’Europa) sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell'esperienza. Le Costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo. Questi sistemi politici e costituzionali del sud presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenze portino queste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)”.

Con un fantastico rovesciamento dei fini e dei mezzi, JP Morgan ci spiega dunque che il buon funzionamento dell’economia non è un mezzo attraverso cui si cerca di migliorare il benessere collettivo, ma il fine da perseguire a costo di stracciare le garanzie e i diritti che definiscono uno Stato democratico. Questo, naturalmente, perché si presuppone che gli Stati siano guidati da élites che, senza tutti quegli impacci politici, saprebbero benissimo quali sono le cose giuste da fare. Sorprende, a questo punto, che i nostri finanzieri non abbiano menzionato esplicitamente la sospensione del diritto di voto come altra condizione necessaria, anche se la adombrano quando si preoccupano della “crescita di partiti populisti”.

E sì che l’élite che guida la JP Morgan non è che le abbia azzeccate tutte. Già salvata dal fallimento negli anni 80, poco dopo lo scoppio della crisi ha ricevuto ben 25 miliardi di dollari dal governo americano, senza i quali avremmo visto anche i suoi dipendenti lasciare tristemente la sede con le loro cose nelle scatole di cartone, com’è avvenuto per quelli della Lehman Brothers. Poi, nel maggio dello scorso anno, ha fatto tremare i mercati ammettendo una perdita di due miliardi di dollari causata dai traffici con gli strumenti derivati, e molti analisti finanziari hanno sospettato che le perdite reali nascoste nei suoi bilanci fossero molto più elevate. Ancora una volta, senza la politica di sostegno della Federal Reserve la banca sarebbe andata a gambe all’aria. Insomma, non esattamente le persone a cui affidare ad occhi chiusi la gestione dei propri affari.

Nel documento si prevede che, anche a causa di questo “eccesso di democrazia”, il periodo dell’austerità in Europa sarà ancora molto lungo. Su questo JP Morgan ha sicuramente ragione, anche se la causa indicata è sbagliata. Quella corretta va cercata nelle politiche economiche imposte dalla Germania e dalle tecnocrazie europee.

Carlo Clericetti

Giornalista - Collaboratore di "La Repubblica.it." Membro dell'Editorial Board di Insight. Blog: http://www.carloclericetti.it