Il tentativo di Draghi e Macron

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Dopo i passati fallimenti francesi, i due leader si propongono di cambiare la politica che frena la crescita dell'eurozona. Una proposta che sarà difficile far accettare

A fine 2021 Mario Draghi ed Emmanuel Macron hanno adottato una posizione comune sulla politica europea in vista del nuovo anno. (Financial Times- “Le regole di bilancio dell'UE devono essere riformate.”, Opinion, 24 dicembre). Insieme hanno espresso la necessità di rilanciare l'economia, promuovendo “grandi investimenti in ricerca, infrastrutture, digitalizzazione e difesa”. Evidentemente, un modo per sostenere la crescita. Una presa di posizione importante per combattere le conseguenze della pandemia, la compressione della crescita, l'aumento della precarietà e della disoccupazione di massa.

Tra Jospin e Kohl

È una posizione che rievoca un episodio simile più di 20 anni fa, nel 1997, quando l'Europa stava per adottare l'euro, i cui principali protagonisti furono Lionel Jospin, il nuovo capo del governo in Francia, e Helmut Kohl, il cancelliere tedesco.

L'obiettivo era quello di rilanciare una crescita che aveva languito per molti anni. Il programma di Jospin era caratterizzato da importanti riforme economiche e sociali come la nazionalizzazione di importanti imprese, la riduzione a 35 ore settimanali di lavoro, l'aumento del salario minimo, e così via. La Francia aveva acclamato il programma di Jospin, che appariva in pieno contrasto alla politica di destra di Chirac, l'allora Presidente della Repubblica, che aveva incautamente indetto le elezioni nella speranza di rafforzare la sua maggioranza di destra in Parlamento.

Ma il programma di Jospin aveva seriamente messo in allarme Kohl. Il loro primo incontro nel luglio 1997, poche settimane dopo il sorprendente risultato elettorale francese, segnò la divergenza tra i due capi su un punto essenziale. Per la Germania, la condizione per il passaggio alla moneta unica era la riduzione del disavanzo al 3 per cento e, tendenzialmente, a zero, e il del debito pubblico al 60 per cento del reddito nazionale. La divergenza rimase evidente nei mesi successivi fino all'incontro di tutti i paesi membri della Comunità europea in ottobre, quando Jospin dovette alla fine cedere su questo punto essenziale.

Ma la situazione economica era comunque favorevole alla crescita. La comunità europea aveva approfittato dello  straordinario successo dell'economia americana.  L'aumento generalizzato della crescita permise alla Francia di attuare il suo programma di riforme sociali e di ripresa, pur rimanendo in un quadro tollerabile di deficit e debito pubblico. Sulla base dell'accordo franco-tedesco, anche se in contrasto con la posizione originaria francese, stava finalmente nascendo l'Unione Europea.

La fine del millennio coincise, tuttavia, con l’arresto della crescita che aveva caratterizzato il mondo occidentale negli ultimi anni del secolo. Nell'estate del 2001, gli Stati Uniti avevano subito un'improvvisa recessione. E gli eventi dell'11 settembre 2001, con l'attentato alle Torri Gemelle, avevano profondamente mutato lo scenario americano. Il neonato euro rimase intrappolato in una fase di recessione economica accompagnata dalla rigidità fiscale imposta dalle regole della nuova Unione Europea.

In Francia, Jospin si trovò ad affrontare una nuova situazione di stagnazione economica e di aumento della disoccupazione in un contesto di crescente delusione sociale e politica che metteva a dura prova la sua popolarità. Le elezioni nazionali francesi del maggio 2002 ebbero un esito inaspettato. Non solo il partito conservatore, guidato da Chirac vinse ma, sorprendentemente, il Fronte nazionale di estrema destra guidato da Jean-Marie Le Pen sopravanzò il Partito socialista al primo turno elettorale, favorendo la vittoria di Chirac. Dopo l'inaspettata e pesante sconfitta del governo di sinistra francese, Jospin annunciò il suo ritiro dalla vita politica.

Dieci anni dopo, nel 2012, il Partito socialista francese vinse di nuovo le elezioni e François Holland assunse la presidenza della Repubblica. Ma il seguito registrò un fallimento storico. Alle elezioni nazionali del 2017 il partito socialista subì la peggiore sconfitta della sua storia, scomparendo sostanzialmente dalla scena politica, dopo un secolo e mezzo durante il quale i predecessori di sinistra erano stati in vario modo al centro della vita politica francese.

L'euro e i fondamenti della politica economica europea erano definitivamente nelle mani della Germania, con il supporto della Banca Centrale Europea e della Commissione Europea.

La natura del debito

Poiché il debito si misura in percentuale del reddito, la sua riduzione percentuale dipende direttamente dal livello del reddito nazionale, essenzialmente dalla sua crescita. Non mancano gli esempi. Gli Stati Uniti hanno subito nel 2020 una crisi fiscale a seguito della pandemia e del calo del PIL con un conseguente forte aumento della percentuale di debito. La decisione del presidente Biden di investire 1900 miliardi di dollari tra la fine del 2001 e il 2002 ha fatto crescere il PIL insieme ai consumi pubblici e privati. E la disoccupazione è scesa dal 10 al 3,8 per cento alla fine del 2021, uno dei livelli più bassi degli ultimi decenni. Ora sono previsti nuovi importanti investimenti per rilanciare lo sviluppo nei prossimi anni.

Il Giappone ha investito l'equivalente di 1250 miliardi di dollari nei due anni della pandemia. Il debito nazionale è esploso fino al 250 per cento del PIL, il più alto registrato a livello globale, ma la crescita è tornata a livelli normali e la disoccupazione si attesta al 2,7 per cento.

La Cina è un caso specifico per il suo regime politico, ma non per questo meno significativo. Dopo lo scoppio della pandemia, produzione e consumi sono diminuiti drasticamente. L'intervento in questo caso si è concentrato sulla crescita degli investimenti. Gli elevati investimenti nel settore pubblico, dalle strade alle ferrovie, hanno dato impulso all'occupazione, al reddito delle famiglie e ai consumi. Il 2001 ha visto un aumento di circa l'8% del reddito nazionale, uno dei più alti dell'ultimo decennio.

Nell'Unione Europea prevale una posizione diversa. La disoccupazione nazionale colpisce tutti i maggiori paesi ma con forti differenze, raggiungendo un limitato 3,3 per cento in Germania contro il 7,6 per cento in Francia, il 9,4 per cento in Italia e il 14,5 per cento in Spagna.

La pandemia ha, come era inevitabile, aumentato il debito pubblico in tutti i Paesi, toccando circa il 120 per cento del PIL in Francia e Spagna, e il 155 per cento in Italia. Ma secondo le regole dell'Ue deve essere ridotto al 60 per cento del PIL nel corso di un certo numero di anni. Un compito evidentemente impossibile in un contesto di bassa crescita e alta disoccupazione.

La recente posizione assunta da Macron e Draghi va letta come una chiara alternativa a questa posizione astratta. “Le regole di bilancio dell'Ue – hanno scritto - devono essere riformate… Non sono nemmeno riuscite a fornire incentivi per dare priorità alla spesa pubblica chiave per il futuro e per la nostra sovranità, compresi gli investimenti pubblici… Non possiamo aspettarci di farlo attraverso tasse più alte o tagli insostenibili nella spesa sociale, né possiamo soffocare la crescita attraverso un aggiustamento fiscale non redditizio”. (Financial Times, 24 dicembre 2021).

Una posizione di due principali paesi dell'UE chiaramente in contrasto con l'attuale politica dell'Eurozona. Non a caso, un lettore irlandese ha scritto in una lettera al Financial Times: “le proposte avanzate dai signori Mario Draghi ed Emmanuel Macron sono sconsiderate e profondamente preoccupanti” (30 dicembre 2021). Una valutazione che riflette la posizione di una grande parte dei paesi dell'UE sotto l'egemonia tedesca, che detengonoo un debito minore o vicino al 60 per cento fissato dai Trattati europei.

Il prossimo futuro

Il corso degli eventi sarà ancora una volta cruciale, come lo era ai tempi di Jospin e poi di Hollande. Poi prevalse la politica conservatrice tedesca e la posizione francese fu sconfitta. Ora il problema si ripresenta.

I prossimi mesi ci mostreranno quale direzione prenderà la politica europea. Draghi potrebbe salire al Quirinale come presidente della Repubblica, oppure restare alla guida del governo per un altro anno. Macron dovrà affrontare il test elettorale della prossima primavera, con un esito per molti versi incerto. In ogni caso, i prossimi mesi ci diranno se la posizione di Francia e Italia è destinata a sciogliersi come neve invernale al sole delle prossime stagioni.

L'importante articolo a cui ci riferiamo, non a caso firmato insieme da Macron e Draghi, allude due volte al ruolo della sovranità nazionale. Un riferimento alla sovranità che è generalmente esclusa nei documenti ufficiali dell'UE. Sapremo se si tratta di una clausola di puro stile volta a rafforzare la posizione dei rispettivi governi, destinata al fallimento, come è avvenuto in passato. O se, sono la prova del ruolo che i due Paesi intendono effettivamente svolgere nel cambiare la controversa e, finora, deludente politica europea.

Antonio Lettieri

Editor of Insight and President of CISS - Center for International Social Studies (Roma). He was National Secretary of CGIL; Member of ILO Governing Body and Advisor for European policy of Labour Minister. (a.lettieri@insightweb.it)