Il PIL e l'economia criminale

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I dati sull'economia crminale sono, allo stato attuale, inattendibili, e il loro inserimento nel Prodotto interno lordo (PIL) può diventare fonte di molti paradossi.

Il tema dell' economia criminale rientra fra le consuete discussioni sulla metodologia e sul significato dei conti nazionali. In questo caso si affronta purtroppo il criterio della esaustività e della confrontabilità, non della qualità dei microdati sottostanti le stime. Le linee guida valgono per tutti i gli uffici di statistica nazionali dei paesi dell'Onu, e quindi anche per Eurostat e Istat.  Associare questa revisione ad un allentamento dei parametri di Maastricht è pura fantasia ed ennesima dimostrazione che  le statistiche bisognerebbe conoscerle prima di usarle e anche questo consiglio è noto ma sovente   trascurato.   
 
Esiste un  filo rosso che collega le burocrazie statistiche nazionali e internazionali. Uso questa espressione come riferimento alla cucina della contabilità nazionale che è diversa nei diversi paesi  ma in tutti i casi il suo compito consiste nel passare dai dati amministrativi e/o esito di indagini ai dati elementari (microdati), quindi  alle stime successive (i mesodati) per arrivare alle variabili aggregate (i macrodati).  Se la qualità dei dati amministrativi è scadente questo avrà un effetto negativo sulle variabili aggregate (incluso il prodotto interno lordo, Pil). Ebbene i dati elementari nell'ambito dell'economia criminale sono scarsi, falsati dal reato e sovente da immaginifici tutori dell'ordine e della giustizia, eppure si superano queste obiezioni come se fossero disponibili indagini del tipo prezzi al consumo oppure archivi come Asia  (l'archivio delle imprese), ossia esistessero manuali per ottenere statistiche   trasparenti, esaustive, confrontabili nel tempo e nello spazio  .

Prima di avventurarsi nei conti nazionali della economia criminale, i singoli governi avrebbero dovuto richiedere agli statistici una verifica della qualità dei dati  disponibili o almeno potenziali e solo a valle di questa verifica autorizzare a procedere e modificare, quindi,  le indagini giudiziarie e le indagini multiscopo presso le famiglie e le imprese. Questo avrebbe messo in discussione le legislazioni dei singoli Stati  e quindi la confrontabilità delle statistiche (consumo di alcune droghe, prostituzione, falsi marchi, ecc.). E' questa difficoltà di confronto che inficia la correttezza statistica e quindi l'esaustività e subentrano le decisioni politiche avallate da burocrati internazionali che non conoscono le statistiche e sovente le considerano inutili. Questi accordi internazionali  alimentano il sospetto che le decisioni siano politiche e come tali possano influenzare i conti nazionali. Uno spiacevole passatempo di chi utilizza e/o studia i conti nazionali è, appunto, cercare le motivazioni politiche sottostanti la revisione dei conti nazionali.
 
E' inutile ricordare che la revisione del 1987 dei conti nazionali italiani, ossia l'inclusione dell'economia sommersa, ha richiesto cinque anni di ricerche e studi, oltre al consiglio di una commissione internazionale di statistici. Nel caso dell'economia criminale, invece, sono oltre venti anni che si discute, ero presidente dell'Istat ed ero e sono contrario al suo inserimento organico nei conti nazionali per la scarsa qualità dei dati elementari, come è noto ai magistrati e agli studiosi.
 
Finora il  trasferimento forzoso di reddito destinato al settore pubblico per pagare ad esempio la cura per la sopravvivenza di un drogato e per combattere chi gli fornisce la droga non modificava il prodotto interno lordo perché il prelievo sul mio reddito diventava valore aggiunto della PA. La stima del valore aggiunto dell'economia criminale modifica, invece, il PIL con il risultato che se la lotta alla droga e/o al contrabbando ha successo, si riduce il PIL con conseguenze numeriche sulla pressione fiscale, sui parametri di Maastricht, ecc. Se, invece, queste attività criminali aumentano di valore si ottiene spazio per aumentare il disavanzo pubblico (sic!).
 
Se queste attività criminali fossero in seguito in tutto o in parte legalizzate si modificherebbe la struttura della produzione, del consumo (privato e pubblico) e dell'accumulazione. E' un'esperienza già vissuta con la fine del proibizionismo negli USA e mostra la differenza esistente fra libero mercato e mercato illegale nonché la difficoltà di inserire l'economia criminale nei conti nazionali. In questo caso non può essere il prezzo l'indicatore dell'equilibrio del mercato perché oltre alla domanda e all'offerta svolgono, si spera, un ruolo fondamentale le politiche di contrasto. Il problema diventa delicato quando calcoliamo indicatori che hanno al denominatore il PIL allargato e al numeratore solo la componente di economia legale. Che ruolo assegniamo a questo indicatore per esempio nel caso della pressione fiscale oppure nel caso del rapporto Debito pubblico/PIL?

Nella elaborazione dei conti nazionali non si badava alla fonte del reddito ma alla tipologia di beni e servizi scambiati e, pertanto, gli acquisti di beni e servizi legali effettuati con redditi criminali rientravano nell'economia legale e in alcune zone del nostro Paese si osservavano situazioni di povertà associate a consumi affluenti. Pensare di risolvere questo problema inserendo l'economia criminale sarebbe una soluzione parziale perché in ogni caso non sarebbe possibile individuare i beni e servizi legali acquistati con redditi di origine criminale.

Io sono solo un economista a suo tempo prestato alla statistica ufficiale e considero responsabilità dello statistico la selezione degli indicatori e delle fonti dei dati elementari (i microdati), ma sovente questo dovere è sottovalutato perché si privilegia la completezza  formale rispetto alla correttezza del dato e si rischiano le situazioni greche. Il fenomeno economico criminale è quantificabile ma certo la qualità della stima è pessima e difficilmente confrontabile nel tempo e nello spazio.

Tenendo separati i due PIL (solo legale e sommato al criminale) si è in grado di non assimilare l'errore del Pil criminale a quello del PIL legale; ed è auspicabile che questa soluzione eviti le oziose discussioni  nate dal  confronto fra PIL Istat e PIL della Banca d'Italia oppure della CGIA di Mestre, last comer nella stima  dei conti nazionali. Saranno tempi duri per i contabili ISTAT se non riusciranno a spiegare in modo esaustivo la metodologia di stima dell'economia criminale.

Potrebbe  essere utile per una politica di lotta alla criminalità effettuare solo una stima aggiuntiva, necessariamente molto discutibile del PIL criminale. In questo modo la revisione dei conti nazionali potrebbe avere come obiettivo di politica economica anche  la riduzione del PIL criminale trascurando di considerare un problema il conseguente peggioramento di qualche indicatore fantasioso suggerito da qualche burocrate poco illuminato e accettato da qualche politico furbastro. Il tema del rispetto dei parametri di Maastricht passerebbe  in secondo piano se questa revisione dei conti nazionali potesse diventare, invece, l'occasione per un profondo cambiamento nell'etica e nella economia del nostro Paese come conseguenza di una decisione apparentemente tecnica presa nell'ambito dell'Unione europea e invece rifiutata, per esempio, nel caso degli USA.  
 
Spetta ai governi e alla società civile valutare la liberalizzazione del mercato di alcune  droghe e la  conseguente tassazione del loro consumo per fare fronte alle aumentate spese sanitarie, oppure la sanzione per il reato di violazione del brevetto e/o del marchio nel caso di merci copiate oppure contraffatte, infine l'obbligo fiscale per le prostitute. Sarebbe, invece, un errore gravissimo se gli statistici cercassero di limitare i danni sottostimando l'economia criminale perché si correrebbe il rischio di influenzare anche il giudizio sulla stima dell'economia legale. Una soluzione potrebbe essere un  conto-satellite che si caratterizza per un conto aggiuntivo che collega il PIL legale e il PIL criminale, per tenere ad esempio conto dei consumi intermedi acquistati dalle imprese criminali oppure dei beni e servizi legali acquistati con redditi criminali. E' una strada che si sta esplorando nell'ambito di una convenzione fra CNEL e Istituto di management della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa e il percorso si presenta lungo, accidentato ma anche promettente.

In conclusione, il mio auspicio è il rispetto della continuità nel calcolo del PIL dell'economia legale, ossia difendere il confronto nel tempo e il manuale che è alla base dei conti nazionali e che risale sostanzialmente all'intuizione e alla ricerca di formidabili economisti e statistici,  fra gli altri il premio Nobel Richard Stone.

Guido M. Rey

Economista. Già Presidente dell’Istituto Centrale di Statistica;