Il piano (bluff) Junker, un anno dopo

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il Piano Juncker, oltre alla pretesa di rilanciare la crescita con risorse irrisorie, è ancora lontano dal diventare operativo. Intanto, l’Italia, che contribuisce con otto miliardi, ne avrà due. E il resto non è sicuro.

E’ passato giusto un anno da quando Jean-Claude Junker, il presidente della Commissione europea, annunciava trionfalmente un piano di investimenti da 315 miliardi per rilanciare la crescita. Già di primo acchito c’era poco da trionfare: Obama, rispetto a un Pil americano più o meno simile a quello dell’Unione, di miliardi di dollari ne aveva stanziati 800, ossia circa due volte e mezzo. E lo aveva fatto subito, senza aspettare che la crisi si trascinasse per sette anni producendo danni terribili.

Subito dopo si è saputo che quella cifra sarebbe stata spalmata su 5 anni, che già avrebbe fatto 63 miliardi l’anno.”Avrebbe fatto”, perché quella cifra era in realtà immaginaria: dal bilancio comunitario si sarebbero rimediati 16 miliardi, altri 5 li avrebbe messi la Bei. Il resto sarebbe arrivato dagli investitori privati, incoraggiati dalle garanzie date dall’Unione con quelle somme, che dunque si sarebbero magicamente moltiplicate per 15. I soldi veri del piano, dunque, erano appunto quei 21 miliardi. In cinque anni, per 28 paesi.

Ma i soldi per gli investimenti potevano aumentare anche per un’altra via, ossia i contributi volontari dei paesi membri. E perché mai si sarebbero dovuti mandare a Bruxelles invece di impiegarli direttamente? Per spirito europeistico, naturale: ma per stimolare questo spirito le somme conferite non sarebbero state conteggiate ai fini delle regole del deficit e del debito.

Intanto il tempo passava, le foglie dell’estate ingiallivano e poi cadevano nei rigori dell’inverno. Ma queste mica sono cose che si fanno in cinque minuti. Bisogna decidere gli strumenti, i meccanismi, le procedure decisionali, un sacco di cose. E poi ci sono i progetti da preparare. Lavori complessi, che richiedono tempo. Certo, intanto non si rilancia un bel niente, ma mica si possono fare regole raffazzonate.

Mentre i tecnici lavorano alacremente se ne passa l’inverno e poi fa il suo ingresso laprimavera, ma finalmente il 15 marzo scorso l’Ecofin (i ministri economici dei 28 paesi) dà il via libera. Anche se forse non è ancora tutto pronto, visto che il nostro Pier Carlo Padoan, in un’audizione alla Camera, “ha sottolineato i problemi che l’Efsi continua ad avere in termini di governance”: detto più chiaro, non si sa bene chi decide quali progetti si approvano e quanto si finanziano. L’Efsi è il fondo creato per gestire il piano.

Esaminerà i progetti, e non è detto che i paesi che hanno fatto versamenti volontari ottengano finanziamenti equivalenti: dipenderà dal giudizio sui progetti. In ogni caso l’Italia (come vari altri paesi) fa il suo versamento: 8 miliardi (neanche pochissimo), attraverso la Cassa depositi e prestiti.La primavera cede il passo all’estate rovente, e di cominciare a spendere ancora non si vede traccia. E meno male che Romano Prodi, parlando all’Accademia dei Lincei il 6 novembre dell’anno scorso, dopo aver osservato che il piano “è indubbiamente interessante e va nella giusta direzione ma è del tutto inadeguato dal punto di vista quantitativo”, aveva affermato che di quegli investimenti “c’è urgente bisogno”. Evidentemente a Bruxelles tutta questa urgenza non la percepiscono.

Così arriviamo all’altroieri, quando viene diffusa la lieta novella: arrivano i primi soldi! Beh, arrivano, ma non proprio domani: in autunno, forse ottobre, sempre che non ci sia qualche ritardo. Gli eurocrati devono essere molto rispettosi della saggezza popolare: “La gatta frettolosa fece i gattini ciechi”, recita un vecchio proverbio.

E quanti soldi arriveranno? Due miliardi. Ma non ne avevamo dati otto? Sì, però per ora sono due. Gli altri forse arriveranno, forse no. Magari l’Austria o la Lettonia sono più brave di noi a fare i progetti, e i soldi andranno a loro. E’ la meritocrazia, bellezza, e tu non puoi farci niente.

Quindi, ricapitolando: dopo più di un anno e mezzo dall’annuncio del piano, e dopo aver cacciato 8 miliardi (0,5% del nostro Pil), ci stanno per arrivare fondi pari allo 0,125% del Pil. Un affarone in termini di valore, e sicuramente una spinta decisiva per la ripresa della nostra economia. Se pure arriveranno altri soldi, sarà, come dicono in Toscana, “a babbo morto”, visti i tempi biblici delle decisioni. E il tempo in economia non è una variabile irrilevante.

Così l’Europa combatte la crisi.

Post scriptum
Un economista che svolge un importante ruolo presso il Parlamento europeo, oltre ad esprimere il suo disappunto per questo articolo, ha fornito alcune interessanti precisazioni sui prossimi passi da compiere. L'accordo inter-istituzionale fra Commissione e Bei per la costituzione del Fondo Europeo degli Investimenti Strategici è stato firmato il 22 luglio scorso. Non è ancora stato nominato il direttore generale e nemmeno il suo vice (che devono poi essere approvati dal Parlamento). E' ancora aperto il bando per le posizioni di esperto nel comitato degli investimenti; finché non saranno completate queste procedure nessun progetto potrà essere approvato. Manca anche l'approvazione da parte del Parlamento di un atto delegato per l'introduzione di una "scoreboard" per definire ex-ante la bontà dei progetti e la Cassa depositi e prestiti non ha ancora versato quanto stabilito.

Insomma, ipotizzando l'arrivo dei primi soldi in autunno siamo stati troppo ottimisti. Visto quel che c'è ancora da fare, prima del nuovo anno non se ne parla di sicuro e non ci sarebbe da stupirsi se anche un altro inverno passasse senza che accada nulla.

Carlo Clericetti

Giornalista - Collaboratore di "La Repubblica.it." Membro dell'Editorial Board di Insight. Blog: http://www.carloclericetti.it