Il mito della legge elettorale

Sottotitolo: 
Politica e polemiche La mancanza della legge elettorale e la serietà del Paese.

In politica tre anni sono un tempo corto o lungo a seconda dei problemi che Parlamento e Governo decidono di affrontare. Mancano tre anni alle elezioni politiche: sembra un tempo lungo, ma non lo è se si volesse confezionare una nuova “legge elettorale”, capace tra l’altro di contrastare l’alto “astensionismo”. L’intervento, di competenza del Parlamento più che del Governo, è essenziale alla vita democratica del Paese. Eppure è accantonato con la scusa che ci sono altri problemi urgenti. Ai quali tocca la precedenza: non tanto perché risolverli serva davvero all’Italia quanto perché serve alla destra di governo per fingere di rispettare il “suo” programma. Sopperisce così alle promesse mancate e tenta di mantenere consenso e suffragi. Certo il consenso è il chiodo fisso di tutti i soggetti politici, di destra e di sinistra. Se non altro perché l’Italia è in perenne campagna elettorale col continuo susseguirsi di varie elezioni.

Ultimamente elezioni europee e regionali; a breve elezioni in Regioni cruciali del Nord-Italia; e poi quelle amministrative, specie nei grandi Comuni. C’è da chiedersi onestamente: il “regionalismo differenziato” della Lega-Nord – che spacca il Paese aumentando le diseguaglianze tra i cittadini – e il cosiddetto “premierato” – un pasticcio giuridico che sovverte l’assetto democratico-parlamentare della Costituzione – sono davvero più importanti e urgenti della legge elettorale? Pare che adesso a nessuno interessi più.

Poco prima e subito dopo le elezioni politiche del 2022, tutti parlavano della necessità di rifare la legge elettorale – riconosciuta da Calderoli come una sua “porcata” – e indurre i cittadini a votare. Certamente, a ritenere importante la legge elettorale, dovrebbe essere più la sinistra che la destra che s’è trovata a vincere l’elezione nel ‘22 proprio grazie a “quella” legge elettorale e all’alto astensionismo. Intanto però il centro-sinistra non ne fa menzione tra i punti intorno ai quali dice di voler costruire il cosiddetto “campo largo”. Insomma, per una ragione o per l’altra, la legge elettorale è finita nel dimenticatoio.

Intendiamoci: la ragione del silenzio, di maggioranza e opposizione, dipende dall’assenza di veri partiti che discutono di politica e insegnano a fare politica. Il paradosso è che non si fa una buona legge elettorale, pilastro della democrazia, perché la politica spicciola prevale sulla Politica alta. Difatti l’ostacolo è che nessuna coalizione gode di buona salute.

A parte le anime vaganti nel purgatorio del “centro-centro”, in tutte le aggregazioni esistono divisioni profonde sui grandi problemi del momento, che non sono soltanto nazionali ma pure europei e internazionali. Ogni coalizione aspetta il posizionamento nell’agone politico delle varie componenti e dei vari leader dei partiti nonché dei cespugli disseminati qua e là.

Fratelli d’Italia, partito di maggioranza relativa, si presenta granitico intorno alla Premier Meloni, ma più in apparenza che in realtà: sorvolando sulla penuria di classe dirigente, il potere è il collante tra la componente “vetero-fascista” e la componente per così dire “liberale-europeista”. Forza Italia si barcamena tra destra e centro. La Lega-Nord si muove tra le uscite impulsive di Salvini, le ambiziose fantasie di Vannacci e il rigore di Zaia. Il Movimento Cinque Stelle, mentre litigano Conte e Grillo, punta sull’Assemblea (ri)costituente. Il PD vorrebbe fare il campo largo e si dibatte tra chi guarda più al centro e chi più alla sinistra radicale. Mah.

In questo quadro molto instabile, dominato da partiti deboli – dove contano financo simpatie e antipatie personali – è oggettivamente complicato trovare la quadra d’una legge elettorale che soddisfi mire e pretese dei vari soggetti (individuali e collettivi).

C’è chi vorrebbe il sistema proporzionale e chi il maggioritario; chi le preferenze e chi le liste bloccate e via dicendo. Giorgia Meloni ne approfitta tagliando la testa al toro (e non solo) e puntando direttamente allo strano “premierato”.

Ma con quale legge elettorale?

La verità è che, in un Paese serio, i tre anni che ci dividono dalle elezioni politiche sono pochi in un Paese afflitto da continue urgenze ed emergenze. Questo tempo andrebbe impiegato nell’aperta discussione – “dentro” e “tra” i partiti – nello studio e nel confronto istituzionale sulla legge elettorale. Che, in quanto rafforza la democrazia, è nell’interesse generale; e non può aspettare la vigilia delle elezioni per soddisfare l’interesse di questo o quel leader sulla cresta dell’onda in quel momento.

Ma qualche dubbio sorge proprio sulla serietà del Paese.
-------------
(Editoriale del Corriere del Mezzogiorno, 22 settembre 2024)

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.