Il lavoro incerto

Sempre in primo piano i problemi del lavoro: cambia la morfologia non la drammaticità. Come spesso andiamo ripetendo, le trasformazioni aziendali sono di giorno in giorno più difficili da rincorrere e, nel rapido passaggio, lasciano a terra molta forza-lavoro. Lo dimostrano i tanti lavoratori mobilitati in Campania per vertenze non facili da risolvere: nell’industria e financo nella grande distribuzione (ma proprio ieri pare risolta quella dell’ex-Ipercoop di Afragola).

 D’altronde, già da alcuni decenni, le trasformazioni facevano prevedere il cambiamento del lavoro umano: da quello (non solo manuale) della società industriale del novecento a quello d’una società post-industriale, terziarizzata.

E adesso, correndo l’evoluzione tecnologica ad altissima velocità – e per giunta con l’avvento impetuoso dell’Intelligenza Artificiale – il futuro del lavoro umano (diciamo così: “vecchio stampo”) si fa molto incerto. Perché, diminuendo quello nell’industria manifatturiera, aumenta la disoccupazione; aumentando quello nei servizi, c’è il rischio, per molti lavoratori, di dividersi la povertà. Semplice previsione senza essere “profeti”.  

Tutto questo almeno finché non si troveranno nuovi assetti economico-sociali e antropologico-culturali. Come, per esempio, gli assetti che s’affermerebbero colla diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario e contemporaneo aumento della produttività, garantito da macchine tecnologicamente più avanzate e sofisticate. O ancora, a essere ottimisti, colla capacità delle persone d’impiegare il tempo libero in attività intellettuali culturalmente proficue.

 Sempre ovviamente in contesti politici – al momento difficilmente prevedibili – ispirati al rispetto dei valori fondamentali del lavoro, contenuti sia nella Costituzione sia nei Trattati dell’Unione Europea: dignità della persona; eguaglianza sostanziale dei cittadini, senza discriminazioni tra le Regioni italiane, da Nord a Sud; solidarietà umana; dialogo costante e leale tra poteri pubblici e rappresentanze sociali.

La politica attuale, non solo italiana, è affetta da miopia. Volendo procurarsi il consenso giorno per giorno, è più intenta a esercitare il potere in modo autocratico che a guardare al futuro con quel respiro largo, di lunga durata e aperto all’Europa e al mondo, richiesto dai tempi burrascosi che attraversiamo. E che di conseguenza inducono a guardare all’attualità fermandosi per ora alla precarietà e alla povertà del lavoro nei nostri territori del Sud: per noi nella Regione Campania.

A conferma di quanto detto è utile richiamare l’attenzione – sintetizzandone i contenuti – sull’ampio servizio di Paolo Grassi (Corriere del Mezzogiorno, martedì scorso). Grassi, illustrando dati e tendenze del “Dossier dei Consulenti del lavoro”, si sofferma sull’andamento del mercato del lavoro in Campania nel 2024. Qui, rispetto al 2023, l’occupazione è sì aumentata del 2,2%, ma grazie a un fattore importante: nato bene ma destinato a non lunga vita.

L’aumento dell’occupazione infatti deriva soprattutto dalle agevolazioni contributive, che non sono frutto delle politiche dell’attuale Governo bensì dell’utilizzo di quella misura, del 2021, definita “Decontribuzione Sud”: un consistente sgravio fiscale a sostegno dell’occupazione meridionale. Il Governo l’ha prorogato fino al 2029, prevedendone però la diminuzione di anno in anno fino ad arrivare al solo 10% e poi chissà.

Peraltro in Campania questa crescita dell’occupazione ha riguardato soprattutto persone adulte, mentre l’occupazione giovanile rimane di quasi otto punti inferiore alla media nazionale.

C’è stata, è vero, una crescita dell’occupazione femminile, permanendo però il divario rispetto al resto del Paese, visto che il dato è nettamente inferiore. Senza dire poi che ad aumentare sono stati comunque i contratti a tempo determinato, mentre sono diminuiti quelli a tempo indeterminato; e che la crisi di alcuni comparti ha segnato un incremento della Cassa Integrazione.

Come se non bastasse, a rendere quanto mai incerto il futuro dell’occupazione in Campania ci si mette anche Trump coi tanti dazi annunziati, che colpiscono gravemente l’export della nostra Regione. La Campania esporta parecchio negli Stati Uniti in vari settori: agroalimentare, moda, farmaceutico, meccanica di precisione ecc. Non solo e non tanto dalla grande impresa quanto piuttosto dalle piccole-medie imprese; e ovviamente col relativo indotto. C’è solo da sperare che il Governo Meloni si muova in modo tale da sostenere lo sforzo dell’Unione Europea di pilotare con fermezza e tempestività le trattative con l’enigmatico e irrequieto Presidente degli USA.

Da Corriere del Mezzogiorno: Campania il lavoro incerto

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.