Il labirinto della politica italiana

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Le elezioni italiane hanno provocato una storica sconfitta dei governi passati, e messo in discussione la poltica dell'eurozona.

La possibilità di formare un nuovo governo compare e scompare con la velocità con la quale un raggio di sole si manifesta in queste piovose giornate di maggio. Più di due mesi dopo le elezioni del 4 marzo il labirinto politico appare sempre intricato, e Il presidente Mattarella ha concesso un tempo imprevedibilmente lungo per uscirne. Ma c’è un masso che ostruisce la strada: il rapporto con i vincoli di bilancio posti dall’eurozona. Né Cinque stelle, né la Lega chiedono l’uscita dall’euro. Ma un fatto è certo: i loro programmi, quale più quale meno, sono incompatibili con i vincoli di bilancio posti da Bruxelles. Tre membri della Commissione europea lo hanno ricordato con tono arrogante e minaccioso.

Il fatto che le elezioni decretino la sconfitta dei governi che si sono succeduti da Monti in poi e propongano una radicale alternativa fa parte di un normale esercizio democratico. I risultati del 4 marzo possono non piacere, ma il significato è inequivocabile. I due partiti che hanno dominato la politica italiana dell’ultimo quarto di secolo hanno guadagnato un numero complessivo di voti inferiore al solo movimento delle Cinque stelle. E la Lega ha scavalcato Forza Italia, per un quarto di secolo al centro della politica italiana.

 Il Financial Times ha scritto che i nuovi barbari sono scesi a Roma. La stampa italiana si è indignata. La domanda è: indignati perché sono stati offesi i due partiti che hanno vinto le elezioni? Ne dubitiamo. Il giornale della City, dopo aver rievocato con un tono semiserio il sacco di Roma del 410 a opera dei Visigoti di Alarico, esprime un giudizio che, questo sì, non può non urtare la sensibilità della grande stampa italiana.

Cinque stelle e la Lega – scrive il FT – non sono i barbari di Alarico. “Godono di un’incontestabile legittimità politica avendo democraticamente vinto le elezioni…E’ giusto che gli sia data un’opportunità di governo dopo una storia ventennale di stagnazione e cattiva politica, Se falliranno, gli elettori avranno la possibilità di punirli alla prossima tornata elettorale”. Ma non basta. E’ la conclusione, che provenendo da un giornale non liquidabile come “populista”, traccia una linea di demarcazione che la politica tradizionale considera invalicabile. “Non non ci si può stupire – conclude il giornale britannico – che un governo Cinque stelle-Lega si collochi all’opposizione della politica dell’ortodossia fiscale dei governi e della Commissione europee…Il principale problema italiano degli ultimi venti anni non è stato il deficit di bilancio, ma l’assenza di crescita economica e le insufficienti riforme istituzionali. Sono questi i temi sui quali l’Unione europea dovrebbe dialogare costruttivamente con il nuovo governo italiano, anche al di là dell’iconoclastica retorica di Cinque stelle e Lega!. (Rome opens its gates to the modern barbarians”,15 maggio). Ce n’è, indubbiamente, abbastanza per fare infuriare la grande stampa italiana.

Si può e si deve, certamente, guardare con spirito critico al programma (o “contratto”, secondo Di Maio) che i due partiti si sforzano di comporre, superando o cercando di mediare posizioni originariamente contrastanti. Ma il giudizio non può prescindere dal fallimento dei governi che hanno preceduto la novità del 4 marzo.

L’eurozona nata nel 1999, al culmine di una fase di sviluppo economico dell’Unione europea, con la promessa di mantenere e migliorare gli standard economici dei paesi aderenti, venti anni dopo è l’area che registra la minore crescita e il più alto tasso di disoccupazione del mondo occidentale. E l’Italia, all’interno dell’eurozona, è il paese con la crescita più bassa e il livello di disoccupazione più alto dagli anni ottanta, e fra i più alti dell’eurozona. Se questi dati non sono sufficienti per dare un normale giudizio di fallimento sulle maggioranze che si sono alternate al governo del paese, bisogna chiedersi su quale altro metro dovrebbe essere giudicata una classe di governo.

Certo, sarebbe stato di gran lunga più rassicurante e apprezzabile se il cambiamento ora reclamato da due partiti sostanzialmente nuovi alla politica nazionale ed europea si fosse manifestato sotto le spoglie di una chiara alternativa di sinistra. Con una piattaforma basata sulla regola d’oro della progressività delle imposte, senza favorire i più ricchi. E con una politica di civiltà e comprensione, diversa da quella che anima la Lega, nei confronti degli immigrati provenienti da paesi come la Siria, vittima della guerra che l’ha devastata con la complicità occidentale; come nei confronti dei migranti provenienti dall’Africa, sospinti dalla povertà che affligge una grande parte dei vecchi imperi coloniali. Una diversa politica rimane auspicabile non solo in Italia ma anche in Europa, a partire dalla Francia che ha sigillato i suoi confini.

In ogni caso, la sconfitta del centrosinistra in Italia non è un episodio isolato. La débacle del PD di Renzi non è stata un’eccezione. In tutta l’eurozona la sinistra socialdemocratica è stata umiliata dal voto popolare. La Francia è l’esempio più scioccante. Senza la determinazione di Mitterrand e Delors, difficilmente l’euro sarebbe venuto alla luce. Oggi il Partito socialista francese, dopo cinque anni di governo di François Hollande, è scomparso dalla scena, ridotto al 6 per cento dei voti.

La SPD tedesca che fu di Willy Brandt e Helmut Schmidt, dopo il più basso risultato del dopoguerra, è il cagnolino al guinzaglio dell’inossidabile signora Merkel. Si potrebbe continuare col PSOE, il partito che più a lungo e con maggiore prestigio ha guidato la Spagna post-franchista, ridotto ad appoggiare dall'esterno il governo superconservatore di Rajoy. Matteo Renzi può consolarsi, la sua sconfitta non è stata solitaria. L’intera sinistra europea si è immolata sull’altare dell’euro. E il risultato del 4 di marzo non è stato anomalo, benché inatteso nelle proporzioni che ha assunto, se lo iscriviamo nel quadro della politica europea.

Sul nuovo governo che si annuncia (salvo incidenti di percorso) si possono avanzare giudizi e previsioni diverse. Ma un fatto è certo: la sfida più importante, per molti versi vitale, è costituita dal rapporto con l’eurozona. Una missione per nulla facile, soprattutto se si considera la rabbiosa opposizione interna che vede in Bruxelles e Berlino la stella polare della politica italiana.

Rimane il fatto che le politiche dei passati governi sono state sperimentate in tutte le loro varianti, e si sono mostrate tutte fallimentari. L’elettorato italiano, avendone avuto l’occasione, le ha democraticamente bocciate. Del resto, è questo il sale della democrazia. La scommessa sul futuro è per sua natura incerta. Ma il giudizio sul passato non ammette alcuna ragionevole incertezza. Non rimane che provare a uscire dal labirinto in cui il paese si è cacciato, sperimentando, quale che ne sia il giudizio, l’unica alternativa che il 4 marzo ci ha offerto.

Venerdì, 18. Maggio 2018

Antonio Lettieri